Chiunque abbia anche solo sfiorato la cultura coreana sa bene cos'è il kimchi. O meglio, pensa di saperlo. Perché il kimchi non è solo un contorno di verdure fermentate dal sapore piccante: è una tradizione, un gesto d'amore tramandato di generazione in generazione, un simbolo che profuma di casa per ogni coreano.
Il kimchi nasce da ingredienti semplici: cavolo cinese (o rapa e ravanello), sale, aglio, cipolle verdi, zenzero, peperoncino rosso e, spesso, frutti di mare. Ogni famiglia ha la sua ricetta, ogni regione il suo segreto. Il risultato? Un alimento povero di calorie e colesterolo, ma ricchissimo di fibre, vitamine e significato.
Ogni ingrediente racconta una storia. Il cavolo cinese, per esempio, non è solo l’ortaggio principale, ma anche una fonte sorprendente di proteine. Le sue foglie verde scuro sono cariche di vitamina A, mentre la parte centrale è ricca di vitamina C e minerali. Il ravanello, invece, porta in dote la diastasi, un enzima che aiuta a digerire i carboidrati, e profuma tutto con la sua croccante freschezza.
A insaporire il kimchi ci pensano crescione, cipolle verdi e frutti di mare come ostriche, acciughe, gamberetti o calamari: ingredienti che arricchiscono il piatto di sapore e lo trasformano in una bomba nutritiva, carica di ferro, calcio e proteine.
E poi c’è lui, il vero protagonista: il peperoncino rosso. Non solo colora il kimchi con quella tonalità vibrante e intensa, ma gli regala anche quel carattere deciso, quella piccantezza che rimane impressa in bocca e nel cuore. E pensare che non è sempre stato così. I coreani non conoscevano affatto il peperoncino fino alla fine del XVI secolo, quando fu introdotto dai portoghesi dall’America Centrale. Le prime versioni del kimchi, infatti, erano bianche e molto meno speziate. La prima testimonianza scritta dell’uso del peperoncino nel kimchi risale solo al 1765. Da lì, tutto è cambiato.
Nel tempo, questo piatto è diventato sempre più ricco e creativo. Carote, pere, pinoli, alghe, abalone… oggi si può trovare davvero di tutto dentro al kimchi. Ma ciò che non cambia è la divisione tra il kimchi stagionale e quello invernale: il più iconico è sicuramente il baechu kimchi, preparato con cavolo cinese alla fine di novembre, quando l’aria si fa frizzante e le famiglie si riuniscono per affrontare insieme l’inverno.
Questa tradizione prende il nome di gimjang: un rituale collettivo, soprattutto femminile, dove si lavora fianco a fianco per preparare scorte di kimchi che dureranno per mesi. Si taglia il cavolo, si immerge in salamoia, si risciacqua, si riempie con un composto speziato e profumato… e infine si sistema tutto in grandi vasi di terracotta. Una volta, questi vasi venivano seppelliti nel terreno per regolare la fermentazione; oggi, in città, si usano appositi frigoriferi creati solo per il kimchi. Sì, hai capito bene: un intero frigorifero dedicato solo al kimchi.
E non finisce qui: il kimchi si trasforma in mille piatti. Può essere saltato in padella con carne di maiale, fritto in pastella, oppure diventare protagonista del celebre kimchi jjigae, uno stufato bollente che riscalda corpo e anima.
Certo, i tempi cambiano. Oggi molte famiglie, soprattutto in città, non preparano più il kimchi in casa come una volta. Se prima si usavano 70 o anche 100 cavoli per il gimjang, oggi si scende a 20 o 30 per un’intera famiglia. Il motivo è semplice: le verdure sono disponibili tutto l’anno e il kimchi si trova ovunque, già pronto. Ma qualcosa si perde, nel passaggio. Fare kimchi era (ed è ancora, per molti) un rito collettivo, una coccola, un atto di cura. E rinunciarvi è come perdere un pezzetto della propria storia.
Nonostante tutto, però, il kimchi resiste. È sulle tavole di ogni famiglia coreana, ogni giorno. È nei ricordi d’infanzia, nei frigoriferi dedicati, nei sorrisi di chi lo prepara con le mani rosse di peperoncino. È diventato un simbolo della Corea in tutto il mondo. Un patrimonio da proteggere, più che un semplice piatto.
E forse è proprio per questo che, anche se non sei coreano, quando assaggi il kimchi… qualcosa dentro di te riconosce il suo sapore. Perché è un sapore che sa di casa. Anche se non è la tua.
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