16 agosto 2025

Our Unwritten Seoul life lesson - Gemelle, ma distanti: il viaggio emotivo di Mi Ji e Mi Rae


Our Unwritten Seoul racconta il viaggio di scoperta e guarigione delle gemelle Yu Mi Rae e Yu Mi Ji, entrambe interpretate da Park Bo Young. Attraverso la loro storia, il drama affronta con delicatezza ma realismo numerosi aspetti legati alla salute mentale: dall’insicurezza al trauma, dalla depressione all’ansia, mostrando quanto sia difficile – ma necessario – imparare ad accettare le proprie ferite.

Il senso di inadeguatezza è uno dei fili conduttori del racconto. Yu Mi Ji si sente spesso inferiore, come se non fosse all’altezza della sorella Yu Mi Rae. Il confronto costante tra loro pesa sul suo cuore e sul suo sguardo su di sé. Mi Ji è tormentata dall’insicurezza per il proprio percorso di studi, interrotto, e per la disoccupazione che l'ha tenuta ferma per anni.

Allo stesso tempo, anche Yu Mi Rae e Lee Ho Su (interpretato da Jinyoung dei GOT7) lottano con un diverso tipo di fragilità: la loro salute fisica, incerta e fonte di preoccupazioni quotidiane.

L’ansia accompagna Mi Rae come un’ombra. Segnata da un passato doloroso, vive costantemente con il timore dei giudizi, delle voci maligne che si diffondono su di lei, alimentando l’insicurezza. Mi Ji, invece, scivola lentamente nella depressione. Dopo un infortunio alla gamba, decide di chiudersi in casa, isolandosi da tutto e da tutti. Nel frattempo, la pressione che grava su Mi Rae diventa insostenibile, tanto da farle maturare pensieri autodistruttivi.

Alcuni eventi scatenano in Mi Ji veri e propri attacchi di panico, legati a ricordi traumatici del passato che riaffiorano improvvisamente e senza pietà.

Anche i personaggi maschili portano il peso delle proprie ferite emotive. Lee Ho Su e Han Se Jin (Ryu Kyung Soo) condividono la stessa paura: quella dell’abbandono. Vivono nell’angoscia costante di non essere abbastanza, di essere lasciati indietro.

E poi c’è il vuoto lasciato dal padre. Yu Mi Ji e Yu Mi Rae desiderano, nel profondo, una figura paterna che possa finalmente dare loro sicurezza, affetto, attenzione. Una presenza stabile, che non hanno mai avuto davvero.

Our Unwritten Seoul dipinge con autenticità il tumulto interiore dei suoi personaggi. Ogni episodio diventa un’occasione per riflettere, per comprendere, per sentirsi meno soli. Un invito potente a guardare con empatia chi lotta in silenzio, ogni giorno. Queste sono alcune riflessioni che ho sentito il bisogno di scrivere durante la visione del drama. Buona lettura. 

  1. È strano come, a volte, la vita ci spinga a desiderare proprio ciò che non abbiamo. Mi Ji sogna la vita di Mi Rae, mentre Mi Rae sogna quella di Mi Ji. Due mondi diversi, due illusioni di felicità. Forse una delle prime lezioni che possiamo imparare è che nessuna vita è davvero semplice. Ognuno di noi, a qualsiasi livello si trovi — che sia alla base della piramide o sul tetto del mondo — affronta difficoltà, pressioni sociali, stanchezza, quella voglia improvvisa di mollare tutto. Chi è in alto spesso non vede la fatica di chi è in basso, e chi è in basso non immagina il peso che porta chi sta più in alto. Ma forse, se provassimo ad essere tutti un po’ più comprensivi gli uni con gli altri, il mondo sarebbe un posto più gentile.
  2. Il lavoro può essere uno strumento di emancipazione, ma anche la tua prigione. È quello che accade a Mi Rae, esclusa ed emarginata proprio per aver cercato di fare la cosa giusta. Ma nella realtà, scegliere la giustizia non sempre ti salva: a volte ti caccia solo nei guai. Ti espone, ti isola, ti fa diventare il bersaglio perfetto. Quando sei circondata da persone disoneste, stare dalla parte giusta diventa un atto di coraggio che si paga caro. Ti trattano come un nemico, ti tolgono il respiro, ti fanno sentire sbagliata anche quando stai difendendo ciò che è giusto. E questa è forse la faccia più dolorosa della giustizia: quando ti rende sola, invece che libera.
  3. Pensiamo di conoscere le persone, ma la verità è che non le conosciamo mai davvero. Non viviamo con loro 24 ore su 24, non possiamo leggere i loro pensieri, e spesso diamo per scontate troppe cose. In realtà, tutti custodiamo segreti che, se rivelati, direbbero molto di chi siamo… ma ci esporrebbero anche a una vulnerabilità che fa paura. Abbiamo il timore che mostrarci per ciò che siamo possa trasformarci in bersagli facili, così ci chiudiamo a riccio. Ma non lo facciamo solo con chi ci ha feriti — lo facciamo anche con chi ci vuole bene. E, così facendo, finiamo per allontanare proprio chi ci avrebbe capiti. È così che ci isoliamo, anche senza volerlo. E in questo isolamento, finiamo per sentirci terribilmente soli, anche quando non lo siamo affatto.
  4. A volte la vita prende strade che non avevamo previsto. Ci costringe a seppellire sogni a cui tenevamo con tutto il cuore. E quando succede, non è solo delusione: è un crollo silenzioso, un senso di vuoto che ti divora da dentro. Ti sembra di sprofondare, come se ogni cosa perdesse senso, come se la tua vita si fosse improvvisamente fermata… mentre il mondo, fuori, continua a scorrere come se niente fosse. È proprio quello che accade alla protagonista. I suoi sogni infranti l’hanno bloccata per anni. Il dolore, la delusione, la sensazione di aver fallito si sono trasformati in una gabbia invisibile. Una gabbia chiamata depressione. Per tre anni non ha più messo piede fuori di casa. Non perché non volesse, ma perché il mondo là fuori era diventato troppo grande, troppo rumoroso, troppo doloroso. Il drama tocca, con una delicatezza rara, un tema che spesso resta nascosto: quello della depressione. Specialmente il momento in cui a causa di essa non esci più di casa. Potremmo fare un parallelismo quasi con il fenomeno degli hikikomori.  Non si parla qui di isolamento portato all’estremo, ma di una condizione reale, tangibile. Una prigione emotiva in cui ogni gesto, anche il più semplice, come uscire a fare due passi, diventa una montagna impossibile da scalare. Eppure, c’è qualcosa che riesce a rompere quel silenzio: l’amore. Quando la nonna si sente male, la protagonista trova il coraggio di uscire. Per chi non ha mai vissuto quel tipo di dolore, può sembrare un dettaglio banale. Ma per lei, è stato un trauma. Quel tragitto che normalmente richiederebbe 30 minuti, le ha portato via quattro ore. Quattro ore di panico, respiro corto, battiti accelerati, lacrime trattenute. Quattro ore di lotta contro se stessa. Ma in quelle quattro ore c’era anche qualcosa di più grande: la forza dell’amore. Quell’amore che a volte ci salva, anche quando non siamo pronti. Quell’amore che non guarisce tutto, ma che almeno ci spinge a muovere il primo passo fuori dall’ombra. E forse è questo il messaggio più bello e straziante allo stesso tempo: che anche quando sembra tutto perduto, dentro di noi può ancora esistere una piccola scintilla capace di riaccendere la vita.
  5. Molto spesso il tuo aspetto descrive le tue ferite interiori. Yoo Mi Ji ha passato una vita a vivere secondo le aspettative degli altri, intrappolata in un'immagine che non le apparteneva. Ma ora, con quei capelli sciolti e luminosi, vuole essere semplicemente sé stessa. Vuole vivere secondo la propria volontà, non più secondo ciò che il mondo si aspetta da lei. Dopo infortuni, delusioni e ferite troppo spesso ignorate, Mi Ji decide di lasciarsi alle spalle la vecchia versione di sé. Quella che si adattava. Quella che taceva. Quella che cercava di tenere il passo con la perfezione di sua sorella. Essere una gemella, per lei, non è mai stato facile. Il paragone era costante, la fusione inevitabile: Mi Ji e Mi Rae viste come un unico pacchetto. Ma la realtà è diversa: sono due anime separate, con dolori, sogni e cicatrici diverse. I capelli biondi sono diventati la sua linea di confine. Un modo per dire al mondo: “Non sono Mi Rae”. Sono la rappresentazione visiva di una rottura. Da una parte il mondo ordinato, razionale, controllato della sorella. Dall’altra il suo, instabile, caotico, ma autentico. E anche se la sua vita resta piena di incertezze, anche se cammina nel buio, quei capelli brillano come una piccola luce alla fine del corridoio. Per Mi Ji, sono un'àncora. Una cosa che può controllare, in un mondo dove nulla sembra più stabile. Cammina a testa alta, con ogni ciocca che racconta il coraggio di essere diversa. Il coraggio di dire: “Sono qui. E sono io, non come voi mi volete.” Nel drama Our Unwritten Seoul, i capelli biondi di Yoo Mi Ji non vengono mai spiegati davvero, ma chi guarda con attenzione lo capisce: sono il simbolo di un tumulto interiore, di una rinascita silenziosa. Una ribellione gentile. Un atto di amore verso sé stessa.
  6. Chi si sente un’ombra, chi si percepisce “di troppo”, porta dentro di sé un dolore silenzioso che lo spinge a cercare, per tutta la vita, un luogo da chiamare casa. Mi Ji è cresciuta all’ombra di una sorella considerata “perfetta”. Mi Rae era brillante negli studi, aveva successo, e agli occhi di tutti — forse anche agli occhi della madre — sembrava sempre un passo avanti. Per questo, Mi Ji ha sviluppato dentro di sé un bisogno profondo e silenzioso: essere vista. Non ammirata, non celebrata. Solo vista. Solo trattata alla pari. Ma quel bisogno si è trasformato in una corsa disperata alla conferma. Pensava di dover fare qualcosa di grande, qualcosa che brillasse abbastanza da attirare l’attenzione di chi, per troppo tempo, sembrava non accorgersi di lei. Quando il sogno di diventare un’atleta si è infranto, Mi Ji ha sentito crollare tutto. Quel ruolo che avrebbe dovuto definirla, quel futuro che sembrava darle un posto nel mondo… spariti. E con loro, la sensazione di avere un valore. Il dolore si è trasformato in isolamento. La delusione in depressione. E quando chi le era vicino ha iniziato a cambiare — quando persino la sua amica più cara ha iniziato a rivolgere lo sguardo verso Mi Rae — Mi Ji si è sentita scartata. Come se fosse diventata invisibile. Come se, senza un talento da mostrare, non avesse più nulla da offrire. In quella spirale, ha iniziato a credere che fosse colpa sua. Che fosse solo un’aggiunta, un’appendice all’esistenza perfetta di sua sorella. Ha iniziato persino a pensare che sua madre non avrebbe mai dovuto metterla al mondo.E così, ogni volta che qualcuno fatica ad accettarla, Mi Ji non lo vive come un normale conflitto: lo sente come una chiusura totale. Come se quella porta, o quel cuore, non si aprirà mai per lei. 
  7. Le aspettative familiari non dette possono ferire più di mille parole, e lasciarti a vita con la sensazione di non essere mai abbastanza. Yu Mi Ji è forse uno dei personaggi che più rappresentano il dolore dell’abbandono emotivo. Non un abbandono fisico, ma qualcosa di più sottile: quel sentirsi lasciati indietro quando i propri sogni si infrangono, quando la vita prende una piega che non si era prevista, e nessuno sembra accorgersi di quanto si stia male. Mentre Mi Ji lotta con il senso di fallimento, Mi Rae confessa qualcosa che raramente si ha il coraggio di dire: pensava di aver vissuto una vita di successo, ma in realtà stava solo seguendo un copione che non aveva scritto lei. Un modello tramandato, fatto di scadenze imposte dalla società: quando avere successo, quando sposarsi, quando essere “stabili”. Eppure, a un certo punto, entrambe si rendono conto di sentirsi in ritardo. Di pensare che ormai sia “troppo tardi”. Ma lo fanno da prospettive completamente diverse. Mi Rae sente il peso della pressione di dover essere sempre quella che “conosce sé stessa”, perché è la figlia maggiore, quella da cui ci si aspetta tutto. Mi Ji, invece, confessa a voce alta — e davanti a sua sorella — di essersi sempre sentita solo un’ombra. Di essere vissuta perennemente nel confronto, sempre un passo indietro. Il loro confronto tocca una verità scomoda: dinamiche familiari che vengono considerate “normali”, ma che in realtà fanno molto male. Frasi come “sei la sorella maggiore, comportati di conseguenza” o “non mettere in imbarazzo la famiglia” sono come spine che si infilano sotto pelle e restano lì per anni. E, alla fine, il messaggio più umano di tutti emerge in silenzio: tutti, ma proprio tutti, vogliamo solo essere capiti. Anche quando non abbiamo più la forza di parlare, anche quando nessuno sembra ascoltarci davvero.
  8. cosa vuol dire davvero “sopravvivere”? Una vita ordinata è davvero più felice? O forse è più sano accettare il caos e viverci dentro con leggerezza? Il confronto tra le due sorelle apre una porta su qualcosa di molto più grande: la salute mentale. Perché non è solo una questione di stile di vita. Non si tratta solo di tabelle, obiettivi, ordine o libertà. C’è molto di più. Yu Mi Rae confessa finalmente qualcosa che teneva dentro da troppo tempo: il suo esaurimento. Parla di come la sua vita “produttiva” venga costantemente scambiata per una vita “di successo”. Soprattutto agli occhi della madre e degli abitanti della sua città natale, dove il ritmo urbano e la pressione sociale fanno sembrare tutto un dovere. Yu Mi Ji, dal canto suo, ammette che il suo stile rilassato non è sempre una forma di equilibrio. A volte, confonde il riposo con la fuga dalle responsabilità. A volte, quella libertà apparente è solo un modo per non affrontare il dolore. Le due sorelle affrontano un tema che tocca tanti di noi: la difficoltà di dire “sono stanca” senza sentirsi in colpa. Viviamo in un mondo che premia chi non si ferma mai, che celebra l’efficienza come se fosse una virtù morale. Eppure, a volte, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è la conferma che essere stanchi non è sbagliato. Che rallentare, restare in silenzio, o semplicemente non fare nulla dopo una giornata dura è non solo lecito, ma necessario. Alla fine, Mi Ji e Mi Rae capiscono che non esiste un solo modo giusto di vivere. Ma in qualunque “manuale di sopravvivenza” personale, dovrebbe sempre esserci spazio per prendersi cura di sé, a modo proprio. Anche solo per sedersi in silenzio, respirare… e ricordarsi che non siamo macchine. Siamo esseri umani.
  9. Le pagine bianche della nostra vita sono un'opportunità non un limite. Mi Ji, dopo anni passati a rimproverarsi per non essere riuscita a diventare un’atleta, comincia ad accettare il suo fallimento. Non come una condanna, ma come parte della sua storia. Impara a non essere troppo dura con se stessa, a non misurare il proprio valore solo in base a ciò che non è riuscita a ottenere. Dall’altra parte, Mi Rae capisce quanto sia importante imparare a dire “no”. Non per egoismo, ma per amore verso sé stessa. Per proteggere i propri confini. Le due sorelle iniziano a parlare apertamente di qualcosa che tutti conosciamo, ma che raramente ammettiamo: il rimpianto. Quella sensazione silenziosa che ci accompagna nei momenti di pausa, che ci sussurra “avresti potuto”, “avresti dovuto”. Ma ciò che rende questo momento così potente è che nessuna delle due cerca di sistemare tutto. Non provano a correggere il passato. Al contrario, riflettono sull’idea che non tutto ha bisogno di essere aggiustato. A volte, la cosa più importante è dare un significato diverso a ciò che sembrava solo uno spreco di tempo, di energie, di sogni. È uno sguardo nuovo su qualcosa di vecchio. E proprio come suggerisce il titolo del drama, la vita è un “capitolo non scritto”: un copione di vita che possiamo ancora riscrivere. Le loro decisioni — sincere, fragili, coraggiose — riempiono quelle pagine bianche. E, in questo processo, non cambiano solo loro. Cambia anche chi guarda. Perché ci ricordano che non è mai troppo tardi per riscrivere la propria storia. Tutti, a modo nostro, possiamo scegliere di vivere una vita diversa. Magari non perfetta, ma autentica. E in fondo, non è proprio questo il significato più profondo della libertà?
  10. Il percorso di guarigione non è un’illusione: è reale, possibile, e inizia sempre con un primo passo. Oggi tutti la conoscono come la solare “Yu Candy”, ma il cammino che l’ha portata fin qui è stato tutt’altro che semplice. Dolore, silenzi e solitudine hanno segnato il suo passato, ma lei ha scelto di non lasciarsi definire da tutto questo. Le cicatrici non sono scomparse del tutto, eppure Mi Ji ha preso una decisione cruciale: smettere di sopravvivere e iniziare a vivere. Un giorno alla volta. Yu Mi Ji si è isolata nella sua stanza per tre lunghi anni. Non voleva vedere nessuno, né parlare con nessuno. Ha chiuso ogni porta al mondo, cercando riparo nella solitudine. Poi è arrivato l’evento che ha cambiato tutto: l’ictus di sua nonna. Quel giorno, Mi Ji ha dovuto affrontare una realtà più grande della sua paura. Non era pronta, ma la vita l’ha costretta a uscire dal suo rifugio. Il cambiamento non è nato da un desiderio, ma da una necessità. Non ha scelto di cambiare perché lo voleva, ma perché non poteva più evitarlo. Una spinta esterna l’ha messa in movimento, e da lì ha avuto inizio tutto.Nei momenti più bui, ha cominciato ad aprirsi. Quando non riusciva nemmeno a mettere piede fuori casa, ha trovato il coraggio per una confessione sincera. E da quel momento non si è più fermata. Ha continuato a provare, passo dopo passo. Per affrontare le giornate, ha creato un proprio mantra: Ieri è passato, domani deve arrivare, oggi è ancora sconosciuto. Una frase semplice, ma potentissima, diventata la sua ancora quotidiana. Il suo percorso è stato lento, ma costante. Mi Ji ha camminato con fatica, senza correre. Non si è mai fermata, nemmeno quando il traguardo sembrava lontano. E alla fine, lo ha raggiunto. Ha imparato a vivere aggrappandosi alle piccole cose. Ha smesso di guardare indietro e ha scelto di non preoccuparsi del futuro. Il presente è diventato la sua unica priorità. Ed è lì che ha trovato la sua forza.
  11. Condividere lo stesso sangue non vuol dire conoscersi davvero. Fin da piccole, Mi Ji e Mi Rae sono state costantemente messe a confronto. Fisicamente quasi identiche – tanto che solo la nonna e il padre riuscivano a distinguerle – ma con caratteristiche interiori molto diverse: Mi Rae, fragile nel corpo ma brillante negli studi; Mi Ji, forte fisicamente ma in difficoltà nell’apprendimento. A volte approfittavano della loro somiglianza per scambiarsi i ruoli, cercando di sfuggire a situazioni scomode. Ma alla fine venivano sempre smascherate. Per evitare confusione, si decise perfino di tagliare a Mi Ji i capelli più corti. Anche la loro madre, inconsapevolmente, ha alimentato la distanza. Mi Ji veniva spesso derisa per la sua instabilità lavorativa, sempre alle prese con impieghi precari. Mi Rae, al contrario, era considerata “quella affidabile”, quella su cui si poteva contare, caricata di aspettative familiari. Col tempo, tutte queste differenze, continuamente sottolineate, hanno scavato un solco profondo. Un muro invisibile le ha separate, fino a renderle estranee l’una all’altra. Mi Ji e Mi Rae vivono un rapporto fatto di silenzi e fraintendimenti. Mi Ji si sente spesso inadeguata, convinta che la sorella abbia tutto: un titolo prestigioso, un lavoro stabile in una grande azienda. Ma non sa che Mi Rae, dietro quella perfezione apparente, è vittima di bullismo sul posto di lavoro. Allo stesso tempo, Mi Rae immagina che la vita di Mi Ji sia più leggera, libera da pressioni e responsabilità. Solo più tardi scoprirà che la sorella ha vissuto una profonda depressione, così intensa da portarla a non uscire di casa per anni. Entrambe guardano l’altra con una punta d’invidia, senza accorgersi delle ferite che ciascuna porta dentro. Il vero nodo tra Mi Ji e Mi Rae è l’assenza totale di dialogo. Non si raccontano più nulla, nemmeno le cose più semplici. Non si chiedono come stanno. E col tempo, il silenzio si è trasformato in incomprensione. Mi Ji non sa che, in ufficio, un collega che Mi Rae aveva aiutato in passato ora le restituisce il favore ogni volta che può. Mi Rae, dal canto suo, scopre solo dopo che Lee Ho Su (interpretato da Jinyoung dei GOT7) ha sempre provato qualcosa per Mi Ji, sin dai tempi del liceo. La tensione accumulata esplode quando Mi Ji vede Ho Su abbracciare Mi Rae e, travolta dalla gelosia, crede che tra i due ci sia qualcosa. Ferita e delusa, si allontana senza sapere che, in realtà, Mi Rae era svenuta per un malore. Quando, poco dopo, le chiede perché non glielo abbia detto, Mi Rae risponde con una frase semplice, ma devastante: “Non te l’ho detto perché tu non me lo hai chiesto. E io non avevo voglia di parlarti.” Una frase che racchiude anni di parole non dette. Eppure, la verità è che Mi Ji e Mi Rae non hanno bisogno di un miracolo per ritrovarsi. Basterebbe parlare. Ascoltarsi. Guardarsi, davvero. Solo così potrebbero smettere di essere due estranee con lo stesso volto, e tornare a essere ciò che sono sempre state: sorelle.

Our Unwritten Seoul non è solo la storia di due sorelle. È la storia di tutti noi, quando ci sentiamo invisibili, in ritardo, o fuori posto. È il promemoria che non siamo soli nel nostro dolore, e che finché c’è respiro, c’è ancora una pagina da scrivere. Anche se tremano le mani. Anche se fa paura. Anche se non sappiamo da dove cominciare.

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