9 agosto 2025

Sfondi per cellulare - When the Phone Rings

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Di solito creo sfondi per il cellulare solo quando un drama mi ossessiona al punto da diventare parte di me per giorni interi. Con When the Phone Rings, però, non è andata proprio così… eppure ho trovato delle foto ufficiali così adorabili che ho pensato: ok, stavolta ci vogliono per forza delle lockscreen. Se anche voi avete amato When the Phone Rings, qui sotto trovate una piccola selezione di sfondi scelti tra i miei scatti ufficiali preferiti. Potete vederli in anteprima proprio qui sotto: se qualcosa vi colpisce, vi basta cliccare sull’immagine per salvarla direttamente nella vostra galleria, con un solo click.




오희준 (Oh Hee Joon) - When The Phone Rings (Opening Theme)

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Amo profondamente le OST dei drama coreani per la loro capacità di evocare emozioni universali: nostalgia, speranza, amore. When the Phone Rings di Oh Hee Joon, in particolare, mi ha colpito per la delicatezza del tono e il messaggio sottile sul valore della comunicazione e della connessione. Tradurla in italiano mi permette di condividere questo senso di intimità con chi, come me, ama cantare e sentire la melodia vibrare nel proprio cuore. Questa melodia sa di attesa silenziosa e di speranza discreta. Nel portarla in italiano ho cercato di mantenere il senso ovattato del compositore: non servono grandi parole, è il gesto sottile – il suono del telefono, il fermarsi – che ci parla d’amore e desiderio di contatto. Spero che questa versione vi trasmetta le stesse vibrazioni: se la cantate, fatelo piano, con quella lieve trepidazione che si avvertiva ascoltando l’originale.

Hangul:

전화벨이 울릴 때마다  
또 한참을 멈춰서서  
너의 번호 떠올리며 듣곤 해  

Romanizzazione:

Jeonhwabel-i ullil ttaemada  
Tto han-chameul meomchwoseo-seo  
Neo-ui beonho tteoollimyeo deudgon hae

Traduzione in italiano: 

Ogni volta che il telefono suona,
mi blocco a riflettere,
ricordando il tuo numero,
ascoltandone il ritmo nel cuore.

🔗 Dove ascoltarla

ℹ️ Informazioni aggiuntive

  • Titolo originale: “When the Phone Rings”

  • Autore/compositore: Oh Hee Joon

  • Artista: Oh Hee Joon

  • Provenienza: colonna sonora (OST) del drama When the Phone Rings

  • Data di uscita: gennaio 2025 

Pyramid Game e il prezzo dell'esistenza: quando essere invisibili è un crimine

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Ci sono drammi che scorrono via come acqua, e altri che restano incastrati tra le costole come spine. Pyramid Game è uno di questi. Non per la spettacolarità della trama, non per la tensione psicologica – che pure non manca – ma per ciò che smuove dentro. Per quello che ci obbliga a guardare, e a riconoscere.

La storia parte da un contesto scolastico apparentemente comune. Baek Ha-rin è una studentessa tranquilla, introversa, che cerca solo di sopravvivere nella nuova scuola, quella Daehan Girls’ High School, un liceo per ragazze dall’aspetto rispettabile. Ma dietro la facciata si nasconde un gioco crudele, nascosto in bella vista. Ogni mese, le studentesse sono costrette a votare in segreto le compagne, classificandole in una gerarchia invisibile ma letale. Chi finisce in fondo alla piramide – la classe F – ha un solo destino: diventare il bersaglio di ogni tipo di abuso, con la giustificazione implicita che “lo merita”. Nessuno può opporsi al sistema. Chi si ribella, diventa automaticamente l'ultima della lista.

“Perché sono sempre le persone che non hanno fatto nulla di male a essere ferite?”

Questa domanda, che emerge in uno dei momenti più crudi del drama, è la chiave di lettura di tutta la serie. Pyramid Game non è solo una storia di bullismo: è un’indagine brutale sulle strutture di potere e sull’apatia sociale. Sui meccanismi silenziosi che trasformano l’indifferenza in complicità.


La normalizzazione della violenza: se tutti lo fanno, allora è giusto?

Il gioco della piramide è crudele nella sua semplicità. Nessuna punizione visibile, nessun insegnante complice, nessun adulto da incolpare. Tutto parte dalle studentesse stesse. La violenza è socialmente accettata perché viene camuffata da democrazia, da gioco. Ma non c'è nulla di ludico nel decidere chi può essere umiliato senza conseguenze.

“Non è che mi piace farle del male. Ma se non lo faccio, sarà lei a farlo a me.”

Dietro questa frase si nasconde una delle dinamiche più tossiche che permeano la società: la paura di essere esclusi, l’istinto di sopravvivenza che ci porta ad accettare l’ingiustizia se serve a salvarci la pelle. E così, le stesse vittime diventano carnefici. La linea tra il male e il bene si sfuma, diventa grigia, confusa.

La prima lezione che mi ha lasciato questo drama è che non basta non fare del male per essere nel giusto. A volte, il solo non intervenire è già una scelta.


Il volto dell’indifferenza: la complicità silenziosa

Uno degli aspetti più disturbanti di Pyramid Game è quanto tutto avvenga in modo metodico, regolare, “istituzionalizzato”. Le ragazze votano, compilano il modulo, partecipano ai pestaggi come se fossero parte di un rituale scolastico.

“Pensavo che se avessi ignorato tutto, alla fine sarebbe passato. Ma il silenzio non ferma niente. Lo alimenta.”

Ogni volta che nella nostra vita quotidiana scegliamo di voltare lo sguardo, stiamo partecipando. Non serve alzare le mani per diventare responsabili. Basta scegliere di non vedere.

E qui arriva una delle riflessioni più amare: viviamo in una società che premia la neutralità, anche quando è moralmente ingiusta. Non importa cosa pensi, importa cosa fai. E non fare nulla è fare qualcosa.


Meritocrazia o giustificazione al bullismo?

Il drama mette in scena una delle illusioni più diffuse e pericolose: l’idea che il merito – o la popolarità – possa giustificare tutto. Chi sta in alto è in alto perché se lo merita, chi è in basso “deve aver fatto qualcosa”.

“Se sei ultima, è perché te lo sei cercata.”

Questa frase, pronunciata con glaciale naturalezza, mi ha fatto rabbrividire. Perché l’ho sentita tante volte anche nella vita reale, mascherata da frasi come “forse è troppo sensibile” o “se non si difende è colpa sua”. In realtà, queste parole sono solo una coperta con cui nascondere la nostra pigrizia morale.

La realtà è che nessuno merita la violenza. Mai. Non ci sono giustificazioni, non ci sono “se” o “ma”. Chi è al potere, se sceglie di usarlo per distruggere, è responsabile. E chi guarda senza fermare, è complice.


Il trauma della solitudine: quando nessuno ti vede

Nel gioco della piramide, l’aspetto più crudele non è il dolore fisico, ma l’annullamento psicologico. Chi finisce in F non è solo isolata: viene cancellata. Nessuno la saluta, nessuno le parla, nessuno ne riconosce più l’umanità.

“A volte, essere ignorati fa più male che essere picchiati.”

E così ti convinci di non valere nulla. Di non esistere davvero. Di essere un peso, una presenza indesiderata. Questo drama mi ha ricordato che la solitudine non nasce solo dall’assenza, ma anche dalla presenza fredda di chi non ti vede.

Ogni volta che riconosciamo qualcuno, con uno sguardo, una parola, stiamo facendo una piccola rivoluzione. Stiamo dicendo: “Tu esisti. E questo conta.”


Il coraggio di non diventare ciò che odi

Ha-rin, la protagonista, ha una scelta difficile davanti a sé: unirsi al sistema per salvarsi, oppure opporsi e rischiare tutto. Ma la sua lotta non è solo esterna. È soprattutto interna. Ogni volta che si difende, che reagisce, che si ribella, sente il peso del dubbio: e se diventassi come loro?

“Non voglio vincere questo gioco. Voglio distruggerlo.”

La vera forza di questo drama sta nel ricordarci che la vittoria non è sempre sinonimo di giustizia. E a volte, l’unico modo per vincere davvero è rifiutare le regole del gioco.

La lezione più potente che ho imparato da Ha-rin è che puoi perdere tutto, ma se mantieni intatta la tua umanità, allora non sei davvero sconfitto.


Una società che insegna ad obbedire

Pyramid Game non è solo una critica al bullismo scolastico. È una metafora spietata della società. La scuola è il microcosmo, il riflesso di un mondo che insegna a classificare, dividere, etichettare.

“Chiunque può essere F. Serve solo un click.”

In un mondo dominato dai social, dalla popolarità, dai giudizi rapidi e violenti, ci troviamo tutti dentro un gioco simile. E ogni like, ogni commento, ogni silenzio, è un voto. La lezione qui è sottile ma profonda: forse la piramide non è una scuola, forse è la nostra realtà quotidiana.


La speranza non è un’illusione

Eppure, nonostante tutto, questo drama lascia uno spiraglio. Perché ci mostra che l’empatia è possibile. Che anche tra la crudeltà c’è chi si ferma, chi si fa domande, chi sceglie di non calpestare. Che si può dire basta.

“Non sono l’unica ad avere paura. Ma se anche una sola persona resiste, allora non tutto è perduto.”

Ed è questo che voglio portare con me: non basta essere gentili, bisogna anche essere coraggiosi. Perché solo chi ha il coraggio di difendere ciò che è giusto, anche quando è solo, può davvero cambiare qualcosa.

la scelta di chi vogliamo essere

Pyramid Game ci sbatte in faccia una verità scomoda: ognuno di noi è parte di un sistema. Possiamo essere complici, vittime o ribelli. Ma scegliere è inevitabile. Possiamo chiuderci gli occhi, dire che “non ci riguarda”, ma alla fine anche il silenzio ha un peso.

Io ho capito che non voglio vivere in una piramide. Non voglio salire calpestando, né restare ferma a guardare. Voglio essere quella persona che tende la mano, che rompe il silenzio, che non accetta l’ingiustizia come una regola del gioco.

Perché nessuno merita di essere votato all’inferno.

Fonti: