16 agosto 2025
Sfondi per cellulare - Gyeon Woo and Fairy
Squid Game 3: il ritorno dei giochi mortali tra infanzia e crudeltà
Ci sono giochi che ci insegnano a stare al mondo. Altri che ce lo tolgono. La terza stagione di Squid Game torna a premere il dito sulla ferita, ricordandoci che a volte le regole più semplici nascondono il lato più spietato dell’essere umano. E lo fa con tre nuovi giochi che, almeno all’apparenza, richiamano l’innocenza dell’infanzia. Ma non lasciatevi ingannare. In questa arena, ogni mossa può essere l’ultima.
Nascondino: quando l'infanzia diventa una
trappola
All’inizio sembra tutto innocuo. Una stanza
d’attesa, un mucchio di grandi gomme da masticare colorate. Ma è qui che inizia
il primo gioco, Hide and Seek, ed è qui che si compie la prima scelta
fatale.
Chi prende una gomma blu entra nella squadra di chi deve nascondersi, chi ne
prende una rossa diventa un Cercatore. E
da quel momento non si torna più indietro. Il labirinto in cui vengono lanciati
i giocatori non è solo disorientante: è una caccia. Chi si nasconde ha mezz’ora
per scappare o trovare un rifugio. I Cercatori hanno lo stesso tempo per
scovare almeno una persona della squadra avversaria e ucciderla. Altrimenti,
saranno loro a morire.
Uno scambio di ruoli è possibile, ma solo se
entrambe le parti sono d’accordo. Un ultimo spiraglio di umanità prima del caos.
Le armi sono simboliche, eppure letali: chi si nasconde riceve chiavi per le
porte del labirinto, chi cerca impugna coltelli “decorativi”. L’atmosfera è
surreale. Il gioco più innocente di tutti si trasforma nel più crudele: non si
vince, si sopravvive.
Jump Rope: salta o muori
Se credevamo di aver visto tutto con il Ponte
di vetro, ci sbagliavamo. Jump Rope è il secondo round, e la posta
in gioco si alza insieme al ritmo del salto. Young-hee — sì, proprio lei, la
bambola terrificante della prima stagione — torna con un alleato, Chul-su.
Insieme azionano una gigantesca corda metallica che ruota senza sosta su una
passerella. Lo scopo? Attraversarla. Tutto qui. Non ci sono strategie da
calcolare, né direzioni da scegliere. C’è solo una via. Una passerella e
un’enorme corda pronta a scagliarti nel vuoto. Il tempo è limitato: 20 minuti.
E ogni secondo passato su quel ponte è un salto nel buio, in tutti i sensi.
Sky Squid Game: la vetta della disperazione
Ogni stagione ha la sua fine. Ma in Squid Game
3, la fine si chiama Sky Squid Game, ed è l’apice del terrore. Tre
torri. Tre simboli. Cerchio, triangolo, quadrato. I giocatori sono piazzati in
cima, sospesi tra il cielo e la fine. Per passare da una torre all’altra
bisogna spingere giù almeno un concorrente. Non è una scelta. È un obbligo. Nei
round successivi, si attiva un pulsante sul pavimento. Parte un conto alla
rovescia. Se allo scadere nessuno viene eliminato, muoiono tutti. Nessuna
eccezione. Qui non c’è spazio per esitazioni, né per nobiltà d’animo. Eppure,
proprio in questo scenario apocalittico, Gi-hun deve decidere chi vuole essere.
Proteggere se stesso… o restare umano. L’ultimo round non è solo una prova di
sopravvivenza. È una prova di coscienza. E forse, anche di redenzione.
Tre giochi, un’unica verità
Se c’è qualcosa che Squid Game ci insegna,
è che nessun gioco è davvero solo un gioco.
C’è sempre un prezzo. Un confine da superare. Una maschera da indossare o da
gettare via.
E stagione dopo stagione, questo confine diventa più sottile, più sporco, più
personale. La terza stagione non è solo l’evoluzione del format. È
un’escalation di crudeltà mascherata da innocenza, una riflessione inquietante
su chi siamo quando nessuno ci guarda… e quando tutto il mondo ci guarda, ma
non ci ascolta. In un mondo dove si gioca per vivere — e si muore per
intrattenere — forse l’unico vero premio è conservare un briciolo di coscienza.
E tu? Che squadra avresti scelto?
Fonti:
https://screenrant.com/squid-game-season-3-all-games-explained/
https://www.netflix.com/tudum/articles/squid-game-games-explained
Our Unwritten Seoul life lesson - Gemelle, ma distanti: il viaggio emotivo di Mi Ji e Mi Rae
Il senso di inadeguatezza è uno dei fili conduttori del racconto. Yu Mi Ji si sente spesso inferiore, come se non fosse all’altezza della sorella Yu Mi Rae. Il confronto costante tra loro pesa sul suo cuore e sul suo sguardo su di sé. Mi Ji è tormentata dall’insicurezza per il proprio percorso di studi, interrotto, e per la disoccupazione che l'ha tenuta ferma per anni.
Allo stesso tempo, anche Yu Mi Rae e Lee Ho Su (interpretato da Jinyoung dei GOT7) lottano con un diverso tipo di fragilità: la loro salute fisica, incerta e fonte di preoccupazioni quotidiane.
L’ansia accompagna Mi Rae come un’ombra. Segnata da un passato doloroso, vive costantemente con il timore dei giudizi, delle voci maligne che si diffondono su di lei, alimentando l’insicurezza. Mi Ji, invece, scivola lentamente nella depressione. Dopo un infortunio alla gamba, decide di chiudersi in casa, isolandosi da tutto e da tutti. Nel frattempo, la pressione che grava su Mi Rae diventa insostenibile, tanto da farle maturare pensieri autodistruttivi.
Alcuni eventi scatenano in Mi Ji veri e propri attacchi di panico, legati a ricordi traumatici del passato che riaffiorano improvvisamente e senza pietà.
Anche i personaggi maschili portano il peso delle proprie ferite emotive. Lee Ho Su e Han Se Jin (Ryu Kyung Soo) condividono la stessa paura: quella dell’abbandono. Vivono nell’angoscia costante di non essere abbastanza, di essere lasciati indietro.
E poi c’è il vuoto lasciato dal padre. Yu Mi Ji e Yu Mi Rae desiderano, nel profondo, una figura paterna che possa finalmente dare loro sicurezza, affetto, attenzione. Una presenza stabile, che non hanno mai avuto davvero.
Our Unwritten Seoul dipinge con autenticità il tumulto interiore dei suoi personaggi. Ogni episodio diventa un’occasione per riflettere, per comprendere, per sentirsi meno soli. Un invito potente a guardare con empatia chi lotta in silenzio, ogni giorno. Queste sono alcune riflessioni che ho sentito il bisogno di scrivere durante la visione del drama. Buona lettura.