Prendiamo il caso
di Our Unwritten Seoul, uno dei drama
più intensi e realistici degli ultimi tempi. Yoo Mi Rae (Park Bo Young) lavora
in una grande azienda, è precisa, dedita, competente. Eppure, dietro il suo
sguardo controllato, si nasconde una ferita profonda (che non scriverò per
evitare spoiler). Una verità scomoda, insabbiata con discrezione e chiusa nel
silenzio di un sistema che preferisce voltarsi dall’altra parte. In questo
ambiente, come in tanti altri raccontati nei drama, non c’è spazio per
sbagliare, soprattutto se sei donna. A differenza dei colleghi uomini, per te
non esiste margine di errore. E se scegli di difendere qualcuno, se ti esponi,
diventi tu il bersaglio.
Mi Rae lo scopre quando cerca di supportare
una collega, Su Yeon, vittima di una trappola tesa dal proprio superiore.
Anziché essere riconosciuta per il suo senso di giustizia, viene emarginata,
isolata, affidata a compiti impossibili o umilianti. Il messaggio è chiaro: se
non ti adegui, se non accetti il silenzio, sei fuori.
È questa la forza
dei drama coreani: riescono a raccontare situazioni che, pur nella finzione,
riflettono con una lucidità spietata la realtà quotidiana. La cultura
lavorativa sudcoreana è notoriamente competitiva, gerarchica, stressante. Ore
di straordinari, cene aziendali obbligatorie (hoesik), rapporti rigidi e spesso
iniqui: tutto questo diventa materiale narrativo. E chi guarda, soprattutto chi
appartiene alla classe lavoratrice, si riconosce. Non solo nei sogni dei
protagonisti, ma nelle loro fatiche, nei loro inciampi, nelle ingiustizie
subite in silenzio.
Anche nei drama più
romantici, il lavoro non è solo un pretesto. È il luogo in cui si definiscono i
rapporti, si giocano le sfide dell’autostima, della dignità, del riscatto. In Start-Up o What’s Wrong with Secretary Kim, vediamo come le dinamiche
aziendali influenzino profondamente la vita affettiva dei protagonisti. Il
posto di lavoro diventa così il teatro in cui i personaggi crescono, cambiano,
cadono e si rialzano. Ma non è mai un percorso facile, e quasi mai giusto.
Our Unwritten Seoul lo ribadisce con forza
anche attraverso la figura di Mi Ji, sorella gemella di Mi Rae, che prende
temporaneamente il suo posto in un progetto urbanistico delicato. Lavora
duramente, ottiene risultati, ma a beneficiarne è un uomo: il capo di Mi Rae,
che si prende tutti i meriti. È l’ennesima declinazione del lavoro invisibile
femminile, quello che non fa rumore, ma regge il peso di interi sistemi.
Ed è proprio qui
che i drama diventano anche uno strumento di critica sociale. Non si limitano
più a rappresentare il sistema, lo mettono in discussione. In titoli come My Liberation Notes o Summer Strike, i protagonisti scelgono di allontanarsi dalla
corsa al successo, sfidano l’idea che il valore di una persona sia legato al
ruolo professionale o al conto in banca. E questa consapevolezza è universale:
la fatica di vivere per lavorare, l’ansia da prestazione, il desiderio di
un’esistenza più autentica sono condivisi da spettatori di ogni parte del
mondo.
Il lavoro, nei
drama, è anche un potente simbolo di riscatto sociale. In Itaewon Class, il protagonista costruisce il proprio impero
imprenditoriale per ribellarsi a un sistema che lo aveva umiliato. In Sky Castle, l’ossessione per il successo
scolastico è una proiezione del desiderio dei genitori di garantire ai figli un
futuro migliore, qualunque sia il prezzo. Ma più alta è la posta in gioco, più
devastante è la caduta. Il fallimento, anche minimo, viene vissuto come una
catastrofe.
E poi c’è il divario di genere, che attraversa
trasversalmente quasi ogni racconto. Le donne, come Mi Rae, sono costrette a
lavorare il doppio per ottenere la metà. Devono sopportare pregiudizi,
molestie, isolamento. Devono stare attente a ogni parola, a ogni scelta. E se
qualcosa va storto, diventano subito colpevoli. Mi Rae viene persino accusata
di aver rovinato una famiglia, dopo che la moglie del suo capo la affronta
facendola passare per l’amante. Nessuno indaga, nessuno ascolta. Il colpevole
viene trasferito, la vittima resta. E resta sola.
Attraverso queste storie, i drama non offrono
solo intrattenimento. Offrono uno specchio. Riflettono le contraddizioni della
società coreana, ma anche quelle del nostro mondo. Raccontano le lotte
invisibili dietro le scrivanie, la forza silenziosa di chi resiste, la bellezza
di chi sceglie di non piegarsi. Sono voci che chiedono rispetto, verità,
cambiamento.
E tu? Quante volte hai rivisto la tua realtà
nelle loro battaglie quotidiane?