Negli ultimi anni, il mondo ha scoperto i K-Drama. Non solo come prodotti da consumare, ma come storie da vivere, episodi da attendere con trepidazione, emozioni che si incollano addosso. Eppure, in questo entusiasmo travolgente, qualcosa si è perso. Forse anche qualcosa di importante.
C’erano giorni in cui bastava un link su un forum, un gruppo di fansub appassionati e tanta voglia di scoprire un mondo diverso. Oggi, invece, guardare un drama può voler dire scegliere un abbonamento, rinunciare a un altro, accettare che non tutto sarà disponibile, e non tutto sarà comprensibile. Non perché manchino le storie, ma perché non ci è più concesso l’accesso come prima. È diventato un privilegio, e non più una passione condivisa.
I grandi colossi dello streaming hanno visto nella Corea un tesoro prezioso, e se lo sono tenuti stretto. Netflix, il primo a scommettere davvero sul potenziale delle produzioni coreane, ha trasformato una nicchia in un fenomeno globale. Con titoli come Love Alarm, Kingdom e poi l’inarrestabile Squid Game, ha scritto un nuovo capitolo dell’intrattenimento. E non si è fermato. Dietro, come in una partita a scacchi, sono arrivati anche Disney+ e Amazon, con strategie diverse ma ugualmente agguerrite.
È stato uno slancio potente, capace di portare attori coreani sulle copertine dei magazine internazionali, di far nascere eventi, fandom, tendenze. Il drama coreano è diventato una bandiera culturale. Eppure, proprio mentre il mondo applaudiva, in Corea qualcosa scricchiolava.
Le piattaforme locali, quelle che per prime hanno nutrito e fatto crescere questo ecosistema narrativo, oggi si trovano a rincorrere. Per resistere alla concorrenza, Tving e Wavve stanno cercando di unirsi. Insieme, vogliono diventare forti abbastanza da non essere travolti. Vogliono riportare a casa una parte di quello che è stato esportato troppo in fretta. Ma non è semplice. I costi sono alti, gli investimenti rischiosi, e il pubblico, abituato ormai alla velocità dello streaming globale, potrebbe non avere più la pazienza di aspettare.
Nel frattempo, Coupang Play prova un'altra strada: quella dei contenuti misti, unendo blockbuster hollywoodiani a serie coreane, per attrarre più pubblico possibile. E sullo sfondo, le nuove tecnologie avanzano: l’intelligenza artificiale aiuta a consigliare i titoli giusti, le esperienze diventano sempre più personalizzate, tutto viene reso fluido, automatico, quasi perfetto. Ma... è davvero quello che vogliamo?
Perché se c’è una cosa che ha reso i K-Drama così amati, non è solo la trama o la regia. È il modo in cui parlano all’anima. Le emozioni sincere, i legami profondi, le pause lente tra una scena e l’altra. Quel modo unico di raccontare che non urla, ma sussurra. Che non mostra tutto, ma lascia spazio per sentire.
E quando queste emozioni vengono tradotte male, o peggio ancora, quando non vengono proprio tradotte, allora si perde qualcosa. Si perde il tono gentile, si perdono le sfumature dei rapporti umani che in Corea passano anche da una semplice particella linguistica. Si perde il significato simbolico di un gioco, il peso culturale di un fiore nazionale trasformato in “green light, red light” per farlo suonare familiare a chi familiare non è.
Questa è la nuova realtà dello streaming. Dove la cultura deve adattarsi al mercato, e non il contrario. Dove molte produzioni restano inaccessibili per chi non sa l’inglese, e i fansub, che un tempo colmavano i vuoti con passione e accuratezza, oggi vengono spinti ai margini da regole, diritti e paure legali.
Guardare un drama, che per tanti era un rifugio quotidiano, è diventato per alcuni un lusso. E questo fa male. Fa male perché esclude. Perché divide. Perché priva del conforto proprio chi ne avrebbe più bisogno. Non è una questione di colpe, né di demonizzare il successo globale. È piuttosto una domanda aperta: è giusto non dare più alternative accessibili? È davvero progresso se lascia indietro chi non può permetterselo?
Nel frattempo, anche il cinema coreano, quello che aveva emozionato il mondo con Parasite, si trova in difficoltà. I registi lamentano una riduzione drastica degli spettatori nelle sale, la difficoltà di finanziare film nuovi, la corsa ai costi più bassi che sta portando altrove anche le grandi produzioni. Alcuni progetti vivono solo grazie a remake americani o co-produzioni internazionali. La voce originale si sta facendo flebile.
Eppure, non tutto è perduto. Perché ci sono ancora creatori che scelgono di raccontare storie diverse, piattaforme che sperimentano modelli più equi, e spettatori che resistono, che cercano, che vogliono capire. C’è ancora chi si emoziona guardando un drama senza sapere tutto, ma sentendo tutto.
I K-Drama continueranno a esistere, ma la direzione che prenderanno dipenderà anche da noi. Da quanto saremo disposti a pretendere rispetto per le culture che amiamo. Da quanto sapremo chiederci se stiamo assistendo a una vera apertura globale, o a una vetrina ben confezionata per chi può permettersela.
E da quanto riusciremo a proteggere quel piccolo spazio sicuro che avevamo trovato in una storia d’amore raccontata sottovoce, in un gesto gentile, in un episodio visto nel cuore della notte.
Fonti
- https://www.soapcentral.com/shows/from-niche-global-k-dramas-reshaped-streaming-wars
- https://www.ainvest.com/news/streaming-future-south-korean-domestic-platforms-poised-overtake-netflix-2505/
- https://www.linkedin.com/pulse/south-korea-over-top-tv-video-market-size-ai-growth-key-owc0c/
- https://pressinsider.com/lifestyle/streaming-giants-took-k-dramas-global-but-much-is-lost-in-translation/
- https://www.theguardian.com/film/2024/nov/04/korean-cinema-precarious-period-netflix-director-jang-joon-hwan
Nessun commento:
Posta un commento