Il folklore coreano è pieno di elementi soprannaturali: cavalli volanti, fenici, uccelli a tre teste, tigri che fumano la pipa, spiriti burloni o maligni e, naturalmente, draghi e fantasmi di ogni tipo.
Dietro queste figure così particolari si nasconde un intero mondo di storie, credenze religiose e simboli che hanno accompagnato la Corea per secoli e che ancora oggi sopravvivono tra templi, montagne, K-drama e persino stadi di calcio.
In questo articolo faremo un viaggio tra alcune delle figure più affascinanti del folklore coreano: draghi, fantasmi, spiriti della montagna, folletti dokkaebi e i misteriosi dolmen che punteggiano il paesaggio. Mettiamoci comodi: quello che segue è puro divertimento… con una bella dose di brividi.
I draghi coreani: tra Cina, India e buddhismo
I draghi (용) sono figure fondamentali nella mitologia coreana, ma come sono arrivati in Corea?
La risposta più semplice è: dalla Cina.
Gli archeologi hanno scoperto statue di draghi nella provincia cinese di Henan risalenti all’Età della Pietra. È probabile che la cultura che realizzò quelle statue abbia condiviso il concetto di drago con gli antenati dei coreani odierni. La Cina è quindi il luogo d’origine dell’aspetto del drago e delle sue associazioni più basilari: potere, pioggia e fortuna.
Per capire davvero i draghi coreani, però, bisogna guardare a un’altra terra: l’India.
L’India è la patria del buddhismo, una delle religioni principali della Corea, ma è anche la terra dei nāga, spiriti che assumono solitamente la forma di un cobra reale e, talvolta, quella di un essere umano. I nāga possono volare, ma non lo fanno spesso, per la comprensibile paura che un uccello possa attaccarli. Come antiche divinità, compaiono nella maggior parte delle religioni indiane, incluso il buddhismo.
Uno dei nāga più famosi del buddhismo indiano è Mucalinda, re dei serpenti. La leggenda racconta che, durante una tempesta, Mucalinda protesse il Buddha mentre meditava, riparandolo sotto il suo grande cappuccio. In seguito lo invitò nel suo palazzo sottomarino e divenne il suo primo seguace.
Se conosci i racconti dei draghi dell’Asia orientale, questa storia suona molto familiare: nelle mitologie cinese, coreana e giapponese esistono re-draghi che vivono in palazzi sottomarini e che, in molte versioni, sono i primi credenti del Buddha. In realtà, molte storie buddhiste sui draghi dell’Asia orientale sono, all’origine, racconti sui nāga, e praticamente ogni storia asiatica sui draghi è stata influenzata da queste figure.
Proprio come gli insegnamenti del Buddha, anche i racconti sui nāga portati dai missionari indiani divennero popolari in Cina. Ed è facile immaginare come, sentendo parlare di enormi serpenti volanti, i cinesi abbiano pensato immediatamente ai draghi.
Questo fraintendimento trasformò radicalmente il concetto di drago nell’Asia orientale.
- Prima dell’arrivo del buddhismo, in Cina si credeva che i draghi controllassero la pioggia, ma non si pensava che vivessero stabilmente in fiumi, laghi o oceani, e non esistevano ancora i re-draghi.
- I draghi non possedevano neppure la famosa sfera magica esaudisci-desideri, la yeouiju (여의주): questa nasce da una leggenda indiana su una gemma chiamata Cirimani.
Il cambiamento più importante riguarda però il loro ruolo: da semplici portatori di pioggia, i draghi diventano soprattutto protettori. Arrivano persino a essere considerati guardiani dei Tre Gioielli del buddhismo:
- il Buddha,
- il suo insegnamento (dharma),
- e la comunità dei monaci (sangha).
Quando la Corea diventa una terra profondamente buddhista, è naturale che i draghi vengano visti come protettori della nazione stessa. E anche se, nei secoli, il buddhismo perde centralità, l’interesse coreano verso i draghi non svanisce mai: continuano a comparire in templi, leggende, opere d’arte e nelle storie che ancora oggi affascinano adulti e bambini.
I fantasmi coreani: i gwishin e le loro molte forme
Che cosa sono esattamente i fantasmi coreani?
Nella tradizione popolare esistono quattro tipi ben definiti di spiriti, chiamati gwishin (귀신). Si ritiene che siano le anime di persone defunte che non sono riuscite a portare a termine il proprio scopo nella vita. Restano intrappolate a metà strada, incapaci di “attraversare l’altra sponda”, e continuano ad aggirarsi tra i vivi in attesa che la loro anima venga finalmente placata.
Le origini di queste credenze affondano nello sciamanesimo, antica religione che in Corea ha ancora molti praticanti e che si occupa degli spiriti presenti nel mondo naturale. Numerosi rituali sciamanici hanno proprio lo scopo di placare i gwishin e accompagnarli dove dovrebbero essere.
Non stupisce quindi che molti film horror coreani mostrino fantasmi pallidissimi con lunghi abiti bianchi, labbra rosso sangue e capelli sciolti, sospesi a mezz’aria. Spesso si tratta di rappresentazioni di un tipo particolare di fantasma: la cheonyeo-gwishin.
La cheonyeo-gwishin (처녀귀신) è il tipo più comune di fantasma coreano: è il fantasma della vergine, una donna che non ha potuto adempiere al proprio “ruolo” in vita.
Nella Corea antica era difficile essere donna: la sua esistenza era interamente dedicata al padre, al marito e ai figli. Se non riusciva a realizzare il proprio desiderio di vita e moriva portando con sé un forte risentimento, la sua vita veniva considerata incompleta e la sua anima rimaneva bloccata nel nostro mondo.
Questo fantasma indossa il tradizionale abito funebre bianco, il sobok (소복), e porta i capelli sciolti perché non ha il diritto di legarli: raccogliere i capelli in uno chignon era privilegio delle donne sposate. La cheonyeo-gwishin serba rancore verso chi le ha fatto del male e continua a perseguitarlo. La figura che molti associano al film The Ring, anche se di origine giapponese, è molto vicina a questo tipo di fantasma.
Il chonggak-gwishin: lo scapolo inquieto
L’equivalente maschile è il chonggak-gwishin (총각귀신), noto anche come mongdal-gwishin: il fantasma dello scapolo che non si è mai sposato né ha potuto compiere il proprio destino. Esistono rituali sciamanici in cui si cerca di “unire” questi due spiriti in una sorta di matrimonio simbolico. Se il rituale ha successo, si ritiene che il loro scopo di vita venga finalmente completato e che possano attraversare l’aldilà, lasciando in pace il mondo dei vivi.
Il mul-gwishin: il fantasma dell’acqua
C’è poi il mul-gwishin (물귀신), il fantasma dell’annegato. È uno spirito solo e triste, intrappolato nelle acque fredde in cui è morto. Secondo la tradizione, può trascinare con sé gli sventurati che si avvicinano troppo all’acqua. Da qui nasce l’espressione coreana mul-gwishin jakjeon (물귀신 작전), “tattica del fantasma d’acqua”: trascinare qualcun altro a fondo insieme a sé, un po’ come dire “se affogo io, affoghi anche tu”.
Il dalgyal-gwishin: il fantasma-uovo
Forse il più inquietante di tutti è il dalgyal-gwishin (달걀귀신), il “fantasma-uovo”. Ha una forma ovale e priva di lineamenti: niente occhi, naso, bocca, né arti. Secondo la leggenda, chiunque lo veda… muore. Non ha emozioni, personalità o un’origine chiara: è semplicemente lì, assurdo e mortale. Alcuni dicono che viva tra le montagne, in attesa di chi osa attraversarne i sentieri.
Il gumiho: la volpe a nove code
Accanto ai gwishin “classici” c’è un’altra figura amatissima dalla cultura pop: il gumiho (구미호), la volpe a nove code. Antiche credenze sostenevano che alcuni animali potessero acquisire caratteristiche umane. La gumiho è l’esempio più famoso: può trasformarsi in una donna bellissima per attirare un uomo ignaro e mangiarne il fegato. Nella tradizione, è uno spirito malvagio, affascinante e letale.
Negli ultimi anni, però, la sua immagine è stata completamente rivoluzionata da film e K-drama romantici, come My Girlfriend Is a Gumiho, con Lee Seung-gi e Shin Min-ah, dove la gumiho è dolce, buffa e sogna soltanto di diventare umana grazie al suo fidanzato.
Come in molti altri Paesi, anche in Corea i fantasmi sono il risultato di antiche credenze tramandate di generazione in generazione. Oggi fanno meno paura rispetto al passato, ma continuano a intrattenere e a raccontare che cosa, un tempo, le persone consideravano davvero vero. E forse, dopo aver conosciuto meglio il mondo dei gwishin, molti film horror coreani inizieranno ad avere un significato diverso.
Sansin: lo spirito della montagna
Le montagne della Corea sono da sempre considerate portatrici di un’energia vitale per il popolo. Circa il 70% del Paese è coperto da rilievi montuosi, accanto ai quali le persone hanno vissuto per millenni. Le montagne offrivano protezione, cibo, acqua, legna, materiali da costruzione, e si credeva che tra le loro vette dimorasse il soprannaturale.
Non sorprende quindi che, nel corso della lunga storia coreana, il culto degli spiriti della montagna sia diventato una pratica di fede molto diffusa.
Qui entra in scena Sansin (산신/山神), lo spirito della montagna.
Lo sciamanesimo, presente in Corea da migliaia di anni, è un sistema religioso legato proprio agli spiriti del mondo naturale. Ancora oggi esistono moltissimi sciamani in attività, veri e propri intermediari tra i vivi e le divinità della natura: si stima che siano circa 300.000, praticamente una persona su 160.
Si crede che le montagne più importanti ospitino uno spirito particolare, Sansin, che concede benedizioni e protezione a chi lo venera. Nel corso dei secoli, molte persone hanno eretto e visitano tuttora, santuari sacri dedicati a questo spirito custode.
Come viene rappresentato Sansin
Le raffigurazioni di Sansin variano molto da montagna a montagna, perché ogni vetta può avere il “proprio” spirito. Dalla dinastia Joseon in poi, però, si è affermata un’immagine abbastanza riconoscibile: Sansin viene spesso dipinto come un anziano con una lunga barba bianca, seduto sotto un albero nodoso accanto a una tigre, con in mano un bastone, un ventaglio o entrambi. Intorno a lui compaiono simboli di longevità e a volte dei discepoli.
Il Sansin più famoso è probabilmente Dangun, considerato il primo sovrano umano della Corea. Dopo aver governato per 1.500 anni, secondo la leggenda, divenne proprio uno spirito della montagna.
Con il passare dei secoli, anche quando buddhismo, taoismo e neoconfucianesimo sono entrati nella cultura coreana, la fede in Sansin non è mai stata davvero soppressa. Anzi, si è intrecciata con queste religioni: in molti templi buddhisti, ad esempio, esiste un’area dedicata alle preghiere e alle offerte proprio a Sansin, con dipinti e statue.
Sorprendentemente, nonostante tutto questo, oggi non si scrive molto su Sansin e non è così conosciuto al di fuori della Corea. Una possibile spiegazione è che la Corea moderna, molto tecnologica e proiettata al futuro, non promuova particolarmente queste credenze legate agli spiriti della natura, temendo che possano apparire “superstiziose”.
Eppure la realtà è un’altra: si calcola che esistano circa 10.000 santuari dedicati a Sansin nella sola Corea del Sud, molti dei quali nuovi o ristrutturati di recente, con statue e dipinti splendidi.
L’orgoglio nazionale coreano è fortemente legato a questa figura: Sansin rappresenta qualcosa di profondamente e unicamente coreano, un filo diretto con le origini, le credenze e i valori tradizionali del Paese.
Folletti dispettosi: i dokkaebi
Abbiamo già parlato di creature mitologiche e fantasmi, ma il folklore coreano ospita anche un’intera schiera di piccoli mostriciattoli dispettosi: i dokkaebi (도깨비). Questi folletti demoniaci sono famosi per incutere timore nei bambini coreani, che temono di ricevere una loro visita se si comportano male.
I dokkaebi sono stati rappresentati in molti modi nel corso del tempo. Possono ricordare i goblin o i troll della tradizione occidentale: simili agli esseri umani, ma molto brutti e minacciosi, con una clava chiodata in mano e pronti a sfidare chiunque voglia attraversare il loro territorio. Possono avere corna, occhi enormi e zanne lunghe e ricurve, simili a quelle di un vampiro.
I loro cappelli magici possono renderli invisibili, mentre la clava può trasformare qualsiasi oggetto in ciò che il dokkaebi desidera. Non provengono dai morti, come i fantasmi: nascono dalla natura. Vecchi oggetti inanimati possono trasformarsi in dokkaebi e iniziare a terrorizzare vittime sfortunate (o forse… meritevoli). Non a caso, nella tradizione, è sempre meglio evitare cimiteri, foreste buie e edifici abbandonati… a meno che non si voglia correre il rischio di incontrarne uno.
Molti considerano i dokkaebi spiriti scherzosi e tutto sommato innocui. Amano fare scherzi e tirare brutti tiri agli esseri umani. In particolare, adorano partecipare allo ssireum (씨름), la lotta tradizionale coreana. Si dice che ricompensino chi compie buone azioni e puniscano chi fa del male agli altri, come una sorta di Robin Hood del mondo soprannaturale: grazie ai loro oggetti magici, rubano ai ricchi e agli avidi per donare ai poveri e ai meritevoli.
I tanti tipi di dokkaebi
Nel tempo si sono accumulate tantissime varianti di dokkaebi, ognuna con carattere e aspetto specifici. Tra i più noti troviamo:
- Cham dokkaebi (참도깨비) → estremamente dispettosi
- Gae dokkaebi (개도깨비) → i più malvagi
- Gim-seobang dokkaebi (김서방 도깨비) → goffi e semplici, come contadini di campagna
- Nat dokkaebi (낮도깨비) → gli unici che appaiono alla luce del giorno
- Go dokkaebi (고도깨비) → abili guerrieri in armatura
- Gaksi / chonggak dokkaebi → giovani folletti femminili o maschili, attraenti agli occhi degli umani
- Oenun dokkaebi (외눈 도깨비) → con un solo occhio
- Oedari dokkaebi (외다리 도깨비) → con una sola gamba, appassionati di ssireum (lotta coreana)
E non è finita: esistono anche varianti ancora più curiose, come:
- Jeokwi (저귀) → invidiosi dei bambini amati, portano malattie
- Nati (나티) → nati da vecchi oggetti domestici (scope, ferri da camino, setacci, mortai…), possono assumere forma umana se toccati
- Lantern dokkaebi → camminano sempre con una lanterna accesa
- Egg dokkaebi → si muovono rotolando, come uova
- Meongseok dokkaebi → pigroni cronici, sempre con il tappetino per dormire
- Hot-ibul dokkaebi → vagabondi che portano sempre con sé una coperta per eventuali pisolini improvvisi
Anche se appartengono al folklore coreano, la loro iconografia è stata influenzata da creature simili presenti nella mitologia cinese e giapponese. Le somiglianze moderne con gli oni giapponesi, per esempio, possono derivare dal periodo coloniale (1910–1945), ma considerando millenni di scambi culturali, le radici sono sicuramente più profonde.
Oggi i dokkaebi compaiono in film, cartoni animati, libri illustrati e videogiochi. Le opere d’arte che li raffigurano si possono vedere in diversi musei della Corea. Persino i tifosi della nazionale di calcio coreana, i famosissimi Red Devils, hanno adottato il volto di un dokkaebi , Chiwoo Cheonwang (치우천왕) , come mascotte.
È affascinante vedere come un simbolo associato al caos e ai dispetti possa trasformarsi in un’icona capace di unire le persone e risvegliare un forte senso di orgoglio nazionale. E se un giorno dovessi imbatterti in un dokkaebi, niente panico: se sei una brava persona, non hai troppo da temere… soprattutto se hai la fortuna di incontrare uno delle varianti più benevole.
I dolmen coreani: il mistero dei goindol
Tendiamo spesso a sottovalutare i nostri antenati. Certo, rimarrebbero sbalorditi davanti ai nostri telefoni e ai nostri computer. Ma anche noi restiamo senza parole quando osserviamo i monumenti resilienti che hanno lasciato: le Grandi Piramidi, Stonehenge, i Moai dell’Isola di Pasqua… e ci chiediamo: “Come hanno fatto?”.
Nella maggior parte dei casi, questa domanda resta senza risposta, e quelle strutture rimangono avvolte nel mistero. I dolmen della Corea sono proprio uno di questi enigmi.
In coreano sono chiamati goindol e sono, in genere, camere singole composte da due o più pietre verticali che sorreggono una lastra orizzontale, formando una sorta di grande tavolo in pietra. È raro trovare dolmen in Cina o in Giappone, mentre la Corea possiede la più alta concentrazione al mondo: circa 35.000 strutture.
Eppure, rispetto ai dolmen di altri Paesi, quelli coreani sono stati studiati seriamente solo in tempi relativamente recenti.
Miti e leggende sui dolmen
Esistono molti miti che cercano di spiegare l’origine dei dolmen.
Uno riguarda la Pingmae Rock a Hwasun, un dolmen di 280 tonnellate, il più grande del mondo. Secondo la leggenda, sarebbe opera di una fata devota che, dopo aver sentito che al tempio di Unjusa si stavano costruendo 1.000 Buddha e 1.000 pagode, decise di contribuire portando un enorme masso. A metà strada, però, le dissero che i lavori erano stati completati. Delusa, lasciò cadere la pietra e se ne andò.
Il dolmen di Ganghwa è forse il più famoso. Gli antropologi stimano che siano servite tra le 200 e le 300 persone per erigere quel megalite, ma il folklore ha una versione molto diversa.
Secondo una leggenda, ogni volta che i pesci rossi dello stagno Oryeonji, sul monte Goryeosan, agitavano la coda in direzione della Cina, l’imperatore cinese veniva colpito da un forte mal di testa. Per porre fine al problema, l’imperatore inviò soldati a uccidere i pesci e a bloccare il flusso di qi che emanava dalla montagna I soldati chiesero aiuto a un mago malvagio che iniziò a posizionare massi sulla montagna per bloccare l’energia. Alcuni di questi rotolarono via… dando così origine al dolmen di Ganghwa.
In altre storie, i dolmen vengono descritti come case per streghe o opere di antichi santi.
Un mistero ancora aperto
Per quanto affascinanti, queste leggende non risolvono i dubbi sull’origine reale dei dolmen. In vari siti sono stati ritrovati resti scheletrici, manufatti in giada e pugnali di bronzo, ma nessuna scoperta ha portato a un vero consenso sul loro scopo o sulla vita dei loro costruttori.
Non si sa con certezza se fossero tombe, luoghi di rituali sacrificali o se avessero altre funzioni ancora. E, considerando il numero enorme di dolmen, non esiste neppure una cronologia definitiva condivisa da tutti gli studiosi.
E poi c’è il grande interrogativo pratico: come sono stati trasportati massi così giganteschi? Forse non lo capiremo mai del tutto. Ma, in un mondo in cui pensiamo di poter trovare qualunque risposta con un clic su un motore di ricerca, un po’ di mistero potrebbe farci anche bene.
Perché queste storie contano ancora
Draghi protettori, fantasmi intrappolati tra due mondi, spiriti delle montagne, folletti dispettosi e megaliti avvolti nella nebbia del tempo: il folklore coreano è un mosaico di paure, desideri, speranze e tentativi di dare un senso a ciò che non si riusciva a spiegare.
Oggi queste figure non fanno più tremare come un tempo. Le incontriamo soprattutto nei film horror, nei K-drama, nei manhwa, nei videogiochi e in qualche vecchia storia di famiglia. Eppure continuano ad avere un ruolo importante: ci ricordano che ogni Paese ha i suoi fantasmi, i suoi mostri e i suoi dèi nascosti dietro le montagne, e che capirli significa capire un po’ meglio anche le persone che ci vivono.
La prossima volta che guarderai un horror coreano o passerai davanti alla curva dei “Red Devils” durante una partita, magari ci ripenserai: dietro quel drago, quella volpe a nove code o quel folletto con la clava c’è un’intera storia fatta di rituali sciamanici, antiche religioni, conquiste, colonizzazioni e resistenza culturale.
E chissà, forse, tra una leggenda e l’altra, qualche spirito starà ancora osservando da lontano, appollaiato su una montagna, nascosto in un fiume o dietro una vecchia porta di legno.