12 dicembre 2025

Il lato strano della Corea e le superstizioni che non ti aspetti (prima parte)

 

Ogni volta che penso di aver capito un po’ meglio la Corea del Sud, spunta fuori una superstizione nuova pronta a ricordarmi che questo Paese ha un talento speciale per sorprendere anche i fan più navigati. Non importa quanti drama abbia visto, quante ore abbia passato su YouTube, o quante notti insonni a leggere articoli random di cultura coreana: c’è sempre qualcosa che mi sfugge, e sinceramente adoro questa sensazione. Oggi ho scelto tre superstizioni che forse non avete mai approfondito davvero: la sfortuna del numero 4, la famigerata leggenda del ventilatore che uccide nel sonno e il curioso tabù del fischiare la sera. Tre piccole finestre sulla cultura coreana che, ve lo prometto, renderanno ancora più interessante il modo in cui guardate i vostri k-drama preferiti. Pronti a scoprire questo lato meno conosciuto della Corea? Allora accomodatevi: iniziamo il viaggio.

11 dicembre 2025

perché alcuni K-drama faticano in Corea ma brillano nel resto del mondo?

Nel corso degli ultimi anni i K-drama sono diventati un fenomeno mondiale, conquistando spettatori lontanissimi dalla Corea e imponendosi come una delle colonne portanti dell’intrattenimento globale. Piattaforme come Netflix, Viki e Disney+ hanno certamente accelerato questa rivoluzione culturale, trasformando serie nate per il pubblico coreano in successi internazionali. Eppure, dietro questo trionfo planetario, si nasconde una dinamica affascinante: i gusti coreani e quelli internazionali non sempre coincidono. Anzi, spesso diventano due mondi paralleli.

Ci sono drama che all’estero vengono amati alla follia, mentre in Corea registrano ascolti modesti o ricevono recensioni tiepide. E accade anche il contrario: serie che i coreani adorano faticano a trovare una fanbase solida fuori dal Paese. Perché succede? Quali sono i meccanismi culturali, narrativi e sociali che determinano questa differenza?

Questa domanda è molto più complessa di quanto sembri, e le risposte attraversano la cultura, la storia recente e perfino il modo in cui i coreani vivono la TV. Entriamo nel dettaglio.


1. K-drama che faticano in Corea ma brillano all’estero

Uno degli aspetti più interessanti del fenomeno è che lo stesso drama può essere percepito in modo completamente diverso dentro e fuori dalla Corea. Alcune serie, pur registrando ascolti bassi in patria, diventano successi globali grazie alla loro capacità di parlare un linguaggio universale.

Gli spettatori internazionali tendono a prediligere:

  • trame originali,
  • genere fantasy o action,
  • cinematografia spettacolare,
  • cast molto amati,
  • elementi romantici più immediati,
  • dinamiche narrative fluide e internazionalizzate.

Il pubblico domestico, invece, è spesso più esigente, più attento alla coerenza narrativa e molto più radicato nei riferimenti culturali. Per questo, serie molto “globali” possono apparire meno efficaci per chi vive in Corea.

The King: Eternal Monarch (2020) - All’estero è stato un vero trionfo, soprattutto su Netflix, dove ha conquistato un pubblico entusiasta grazie al suo mondo parallelo, al taglio cinematografico e al cast guidato da Lee Min-ho e Kim Go-eun. In Corea, però, le cose sono andate diversamente: ascolti più bassi del previsto (intorno all’8%) e una lunga lista di critiche sulla trama percepita come confusa.

Vincenzo (2021) -  Anche Vincenzo ha vissuto un destino curioso: fuori dalla Corea è amatissimo per la sua estetica sofisticata, il suo umorismo nero e la figura magnetica dell’antieroe. In patria, invece, la sua natura ibrida, a metà tra gangster comedy, thriller legale e satira, ha provocato opinioni molto più divise.

2. K-drama amatissimi in Corea ma poco seguiti all’estero

Il discorso si capovolge quando si entra nel territorio dei drama molto coreani, quelli che parlano direttamente alla sensibilità domestica.

Il pubblico coreano tende a preferire:

  • serie familiari,
  • melodrammi tradizionali,
  • storie lente e quotidiane,
  • valori legati alla famiglia e alla comunità,
  • riferimenti culturali profondi,
  • dinamiche sociali molto localizzate.

Molte di queste caratteristiche, però, non sempre traducono bene sul piano internazionale.

My Only One (2018–2019) - In Corea è stato un fenomeno, con un picco del 49,4% di ascolti: numeri giganteschi. All’estero, però, lo stile estremamente melodrammatico e i tempi narrativi più lenti non sono riusciti a catturare il grande pubblico.

Strong Woman Do Bong Soon (2017) - Serie amatissima in Corea per il suo mix di comicità e romanticismo, ma gli spettatori internazionali l’hanno accolta in modo più tiepido a causa dell’umorismo molto locale e di situazioni comiche difficili da contestualizzare fuori dal Paese.


3. Sfumature culturali, umorismo locale e drama familiari

Uno dei nodi centrali riguarda proprio l’umorismo. L’ironia coreana, le battute che giocano su linguaggio, gerarchie sociali, ruoli familiari e differenze generazionali possono apparire spiazzanti per gli spettatori internazionali, che non ne possiedono il substrato culturale. Anche i drama familiari, amatissimi in Corea, possono risultare “troppo emotivi” o “troppo tradizionali” per chi vive lontano dal contesto coreano.

The Good Bad Mother (2023)In patria ha registrato ottimi ascolti (fino al 14,3%). Altrove, però, alcuni spettatori hanno faticato a seguire il ritmo più lento e i temi profondamente culturali.

The First Responders (2022)Apprezzato in Corea per il suo mix di azione e dramma emotivo, ma percepito come troppo “locale” da molti spettatori internazionali.

4. Il peso del contesto politico e storico

Un altro fattore fondamentale è il rapporto della Corea con la propria storia. Drama che affrontano elementi politici, traumi collettivi, periodi storici delicati o figure davvero esistite possono suscitare emozioni fortissime in patria, ma risultare più complicati all’estero. Gli spettatori internazionali, semplicemente, non possiedono gli stessi riferimenti.

Hwarang (2016–2017) Un caso particolarmente interessante: in Corea ricevette ascolti bassi e recensioni miste, soprattutto per le imprecisioni storiche e il ritmo lento. All’estero, invece, è stato accolto con entusiasmo grazie al cast giovanissimo, all’estetica visiva e ai toni leggeri.


5. Melodramma e sentimentalismo: un amore tutto coreano

Il melodramma classico è una delle colonne portanti dei K-drama. In Corea piace moltissimo: emozioni forti, sofferenza, sacrificio, legami familiari profondi. Ma questo tipo di narrazione, così coinvolgente per il pubblico domestico, non sempre conquista gli spettatori stranieri, che spesso preferiscono ritmi più veloci e meno intensi.

Lovely Runner (2024) In Corea ha avuto un riscontro più moderato, forse proprio per il suo animo melodrammatico. All’estero, invece, è stato apprezzato da chi cercava una storia profondamente emotiva e centrata sui personaggi.


Quando il successo globale non coincide con il successo domestico

Negli ultimi anni Netflix ha trasformato i K-drama in successi mondiali. Serie come Love Next Door e A Virtuous Business sono ai primi posti delle classifiche globali, mentre in Corea seguono logiche molto diverse. Ecco due casi perfetti per capire questa dinamica. E' il caso di due drama molto amati all'estero ma non particolarmente in corea. Ad esempio It's Okay to not be okay è una delle serie più amate a livello internazionale, un successo travolgente su Netflix grazie ai suoi temi intensi, alla chimica tra i protagonisti e alla rappresentazione dell’elaborazione emotiva. Eppure, in Corea, gli ascolti sono stati sorprendentemente bassi: una media del 5,4%. Nello stesso periodo, un drama come Crash Landing on You raggiunse il 21,6%. Perché?  Molti spettatori coreani avevano aspettative altissime su Kim Soo Hyun: era il suo primo ruolo dopo il servizio militare, e il ritorno era attesissimo. Alcuni utenti online hanno però percepito la sua interpretazione come “forzata”. Alcune sequenze sono state accusate di rappresentare comportamenti simili a molestie sessuali, come la scena in cui il personaggio di Seo Ye Ji tocca Moon Kang Tae senza consenso. La serie, inoltre, è stata percepita come troppo adulta, spingendo molti spettatori a preferire la visione su Netflix invece che in TV, abbassando i ratings ufficiali. 

Il secondo caso noto è invece The Kind: Eternal Monarch. Uno dei prodotti coreani più visti al mondo su Netflix, arrivato persino nella top 10 globale. All’estero un trionfo, in patria una ricezione molto più tiepida: ascolti in media al 7,7%. Le ragioni sono molteplici. Molti spettatori hanno notato che diversi elementi del regno fittizio ricordavano troppo il Giappone: architetture, navi da guerra, simboli. Un tema molto sensibile in Corea. L’attrice Jung Eun Chae è stata coinvolta in accuse di relazione extraconiugale durante la messa in onda. Questo ha influito sulla percezione del pubblico. Il PPL (Product Placement) eccessivo. Infine, secondo alcuni critici coreani, la serie era troppo fantastica e poco ancorata al realismo che il pubblico domestico ama nei drama moderni. All’estero, invece, proprio la componente fantasy ha conquistato moltissimi fan.


Il rapporto tra Corea e K-drama è complesso: è un dialogo costante tra identità culturale, aspettative narrative e sensibilità locali. Mentre il pubblico coreano ama profondamente i melodrammi familiari, i riferimenti culturali e le storie realistiche, gli spettatori internazionali tendono a preferire contenuti più rapidi, visivamente spettacolari e facilmente universalizzabili. L’espansione globale dello streaming ha reso questa differenza ancora più evidente, mostrando come un drama possa essere un flop in Corea e, allo stesso tempo, un trionfo planetarioEd è proprio qui che nasce la magia: i K-drama, pur restando radicati nella loro anima coreana, riescono a parlare a pubblici diversissimi, diventando ponti culturali che ci permettono di scoprire, comprendere e amare un mondo sempre più ricco e complesso.

10 dicembre 2025

Sangue, linee di sangue e destino: come la Corea legge identità e personalità


Se c’è un filo rosso che attraversa la storia e la cultura coreana, è proprio il sangue. Non solo in senso biologico, ma come simbolo di appartenenza, identità, destino e persino personalità.

Da una parte ci sono le linee di sangue, con genealogie che risalgono indietro di secoli e un’idea di popolo unito da radici comuni. Dall’altra, in un registro molto più quotidiano e pop, c’è la convinzione che il gruppo sanguigno dica qualcosa sul carattere di una persona, sulle sue compatibilità e sul tipo di relazione che potresti avere con lei. In Corea, il sangue è tutto tranne che un semplice dettaglio medico.


La Corea e il mito delle “linee di sangue pure”

Per capire quanto il sangue conti davvero nella mentalità coreana, bisogna partire da un dato molto semplice: non è raro che le famiglie conservino registri genealogici che risalgono fino a 500 anni fa. Le linee di sangue sono considerate importantissime, e molte persone sono profondamente orgogliose di appartenere a una discendenza percepita come “pura” e omogenea. Questa idea di purezza, però, non nasce dal nulla, né è sempre esistita. È l’esito di una storia lunga e stratificata.

Gli studi suggeriscono che i primi abitanti della penisola coreana potrebbero essere arrivati fino a 500.000 anni fa. Molto più tardi, nel corso dei millenni, ci sono state ondate migratorie provenienti dalle pianure siberiane, dalla Mongolia e dalla regione manciuriana della Cina orientale.

Ancora oggi, il corpo conserva tracce di questa mescolanza: la tipica voglia blu sulla parte bassa della schiena dei neonati, per esempio, viene chiamata mongol-cheom (몽골점, “marchio mongolo”). Le analisi del DNA mostrano anche una forte somiglianza tra molte caratteristiche fisiche dei coreani del Sud e dei giapponesi. Insomma: se si guarda alla storia biologica, l’idea di una “razza pura” traballa subito. Eppure questo mito ha avuto e ha ancora una forza enorme.


Minjok, resistenza e propaganda: da strumento di lotta a ideologia tenace

Per capire davvero da dove nasca il mito della “linea pura”, bisogna guardare al XX secolo. All’inizio del Novecento, uno storico parlò di minjok (민족), cioè il popolo, la nazione, il gruppo etnico coreano, descrivendolo come un gruppo di guerrieri che, nel corso dei secoli, aveva respinto invasori e preservato la propria identità etnica.

In un periodo segnato dalla colonizzazione giapponese, questa idea fu una vera e propria arma simbolica: la narrazione di un popolo unito da una linea di sangue comune serviva a rafforzare lo spirito nazionale, resistere all’assimilazione e trovare un motivo di orgoglio in mezzo alla subordinazione politica.

Col tempo, però, quello che era nato come un discorso di resistenza è diventato anche una ideologia tenace. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, mentre la fede nella “razza pura” declinava in altre parti del mondo, anche per il trauma lasciato dalle ideologie razziali di Germania e Giappone, la Corea, sia del Nord che del Sud, continuò a coltivare attivamente questa visione.

La Corea del Sud vide l’uso del mito della purezza etnica come strumento politico: gli ex presidenti Syngman Rhee e Park Chung-hee lo utilizzarono per rafforzare l’obbedienza dei cittadini e sostenere una forte agenda anticomunista. Nel frattempo, la propaganda nordcoreana arrivava a dichiarare i coreani come “la razza più pura”, facendo della linea di sangue una vera e propria bandiera identitaria.

Ancora oggi, la convinzione in una linea di sangue comune continua a influenzare la politica, le relazioni internazionali e il modo in cui molti coreani percepiscono se stessi come popolo. Da un lato, alimenta il senso di orgoglio nazionale. Dall’altro, nutre la speranza di una Corea riunificata, immaginata come il ricongiungimento di un’unica grande famiglia separata solo da eventi storici.


Un Paese sempre più multiculturale: quando la realtà bussa alla porta del mito

L’idea di una Corea a “sangue unico”, però, oggi si scontra con un dato di fatto: il Paese sta diventando sempre più multiculturale. Sempre più lavoratori stranieri chiamano la Corea “casa”. I matrimoni internazionali sono in aumento e le famiglie con genitori di nazionalità diverse sono ormai parte integrante del paesaggio sociale.

Una figura chiave che ha reso il tema visibile a livello nazionale è stata Hines Ward, giocatore di football americano e MVP del Super Bowl: padre afroamericano e madre coreana.  Quando visitò la Corea, si impegnò apertamente per promuovere l’accettazione dei bambini multirazziali e donò un milione di dollari per creare la Helping Hands Foundation, con l’obiettivo di sostenere i figli di origine mista in Corea.

Nonostante questi progressi, però, non tutti hanno accolto con entusiasmo la nuova realtà. Molti lavoratori migranti e immigrati continuano ad affrontare discriminazione e pregiudizi.

Quando voci esterne, incluse quelle provenienti da organi internazionali, mettono in discussione l’idea di “razza pura”, emergono spesso reazioni xenofobe. C’è chi teme che criticare questo nazionalismo etnico significhi indebolire l’orgoglio nazionale o minacciare l’idea di una futura riunificazione.

Nel frattempo, i numeri raccontano una storia diversa: già nel 2017, il 5,2% dei bambini nati in Corea proveniva da matrimoni misti. E il fenomeno è in continua crescita, man mano che sempre più coreani costruiscono una famiglia con partner stranieri, e sempre più persone si trasferiscono in Corea per viverci in modo stabile.

In questo contesto, il futuro sembra giocarsi su una domanda cruciale: la Corea sarà in grado di trasformare l’amore e l’accettazione verso i non-coreani che vivono nel Paese in una realtà quotidiana, normalizzata, capace di rafforzare la nazione agli occhi dei suoi cittadini e del resto del mondo, invece di indebolirla?


Dal sangue genealogico al sangue in provetta: quando il gruppo sanguigno diventa personalità

Il rapporto speciale tra Corea e sangue non si ferma alla storia, alle invasioni e alle ideologie del Novecento. Scende anche a un livello molto più leggero e quotidiano: quello delle conversazioni tra amici, degli appuntamenti al buio e delle chiacchiere da pausa caffè.

Se in molti Paesi, all’inizio di un’uscita, la domanda classica è:

“Di che segno sei?”

in Corea, una delle domande più frequenti è:

“Che gruppo sanguigno hai?”

Che tu sia coreano o appena arrivato in Corea, è molto probabile che prima o poi qualcuno ti chieda questa cosa, con la stessa naturalezza con cui ti chiede quanti anni hai. Non è una curiosità medica: è un modo rapido per farsi un’idea del tuo temperamento e, soprattutto, della tua compatibilità con gli altri.

Molti coreani rimangono davvero sorpresi nello scoprire che buona parte degli stranieri non conosce neppure il proprio gruppo sanguigno. Per loro è una delle informazioni base su se stessi, quasi come il compleanno.


Gruppo sanguigno come oroscopo: un profilo psicologico in una lettera

L’idea che il gruppo sanguigno influenzi la personalità non nasce in Corea, ma è stata accolta con entusiasmo in un Paese già storicamente affascinato dalla divinazione in molte forme: zodiaco orientale, fortune-telling, astrologia, oroscopi vari.

Questa credenza ricorda da vicino la logica dell’oroscopo occidentale:
  • i segni zodiacali vengono associati a tratti di personalità, compatibilità, fortuna/sfortuna, ecc.
  • una piccola minoranza prende decisioni basandosi seriamente sulle previsioni
  • la maggior parte delle persone lo vive in modo leggero, come spunto di conversazione

Allo stesso modo, in Corea il gruppo sanguigno viene spesso usato come una specie di “profilo psicologico abbreviato”: un modo per farsi un’idea immediata di chi hai davanti, soprattutto in un appuntamento al buio o quando conosci qualcuno di nuovo.


Da dove nasce questa teoria?

La teoria moderna della personalità legata al gruppo sanguigno viene illustrata da un giapponese, Masahiko Nomi, laureato all’Università di Tokyo. Nato come giornalista, Nomi pubblicò negli anni ’70 un libro intitolato “Understanding Affinity by Blood Type”, che divenne un vero bestseller.

Da lì, l’idea tornò a diffondersi in Giappone e in altri Paesi asiatici, come Corea del Sud e Taiwan, fino a diventare quasi un codice culturale condiviso. In alcuni momenti, questa teoria è stata presa così sul serio che certe aziende arrivarono addirittura a raggruppare i lavoratori per tipo di sangue, pensando che persone con lo stesso gruppo sarebbero state più affiatate e produttive insieme.

Oggi questa estrema applicazione pratica è molto meno diffusa, ma il collegamento tra gruppo sanguigno e personalità continua a vivere forte nell’immaginario popolare. Anche se è stato ampiamente smentito dalla scienza, il mito rimane un ottimo rompighiaccio: quando la conversazione si spegne, chiedere “Che gruppo sanguigno hai?” può riaccendere il discorso in un secondo.

9 dicembre 2025

Tra questa vita e l’altra: un viaggio nelle credenze coreane sull’aldilà

 


Ci sono argomenti che, appena li sfiori, ti fanno sentire come se stessi aprendo una porta che dà su un mondo immenso. Questo è uno di quelli. Nonostante la sua profondità, però, proverò a camminarci dentro con un linguaggio semplice, quasi da profano, così da costruire insieme un quadro chiaro e accessibile, senza perderci nelle pieghe filosofiche più microscopiche.

Per cominciare, è necessario entrare nel vocabolario che regge tutto questo sistema di credenze. I due concetti fondamentali sono 이승 (i-seung) e 저승 (jeo-seung), entrambe parole di origine coreana pura, e proprio per questo non scrivibili in caratteri cinesi. I-seung significa letteralmente “questa vita”: è il mondo dei vivi, la dimensione in cui nasciamo, cresciamo, amiamo e soffriamo. Jeo-seung, invece, è “quell’altra vita”: il mondo dei morti, un’intera dimensione parallela fatta di paradisi, inferni e territori intermedi.

Ed è proprio qui che salta fuori uno dei primi grandi equivoci occidentali. Molti pensano che jeoseung equivalga semplicemente a “inferno”, ma non è così: jeoseung comprende tutto ciò che esiste oltre la morte, un sistema complesso e stratificato che si è formato in secoli di influenze taoiste, buddhiste e sciamaniche. Una volta capito questo, molte trame di K-drama, film e miti popolari iniziano a illuminarsi sotto una nuova luce. All’improvviso storie come Dokkaebi o Along with the Gods non sembrano più “fantasia spinta”, ma riletture moderne di un immaginario antico.


Tra 이승 e 저승: il mondo intermedio che affascina i coreani da secoli

Si nasce in 이승, e quando il corpo smette di vivere, il 혼 (hon) – spirito, essenza, anima – si separa dal corpo e attraversa il varco verso 저승Sembra tutto lineare, ma non lo è mai davvero. Esistono spiriti che rimangono intrappolati nel mezzo, sospesi tra vita e morte, prigionieri di un luogo che non appartiene né all’una né all’altra dimensione. È in questa sorta di “terra di nessuno” che si collocano molte storie di fantasmi della tradizione coreana. Quando qualcuno dice di aver visto uno spirito, non parla di un’anima proveniente dal paradiso o dall’inferno, ma di queste presenze bloccate a metà.

Curiosamente, molte culture condividono l’idea di un corpo d’acqua che separa il mondo dei vivi da quello dei morti: gli antichi Greci avevano lo Stige, i coreani il 삼도천 (Samdocheon), il “Fiume dei Tre Sentieri”. Tre strade diverse, tre destini diversi.


Il viaggio di Baridegi: quando i due mondi convivono nella stessa dimensione

Per capire davvero come la tradizione coreana immagina l’aldilà, è impossibile non evocare la figura di Baridegi (바리데기), la principessa abbandonata e poi divenuta la prima sciamana. Nel suo mito, i due mondi, quello dei vivi e quello dei morti, coesistono nello stesso piano, separati più dal viaggio che da una “dimensione spirituale”.

Secondo la leggenda, Baridegi percorre 3.000 ri (circa 1.200 km) a piedi fino alla “fine della terra” e altri 3.000 ri via mare per raggiungere i cancelli dell’aldilà. Da lì attraversa 10 inferni e 84.000 inferni minori, senza mai parlare di ascese al cielo o discese nelle viscere della terra: è, semplicemente, un viaggio lunghissimo e durissimo.

La misura “3.000 ri” nei racconti tradizionali significa “estremamente lontano”. E quel numero ritorna da più di duemila anni: non è un caso che l’intera Corea, dal punto più a nord fino a Marado a sud di Jeju, misuri quasi esattamente 1.200 km. Un dettaglio geografico e simbolico che rende tutto ancora più affascinante.

Durante questo viaggio, il Samdocheon appare come il fiume che separa il secondo e il terzo inferno: tre sentieri simbolici per tre destini possibili: paradiso, purgatorio o il più doloroso degli inferni.


Un aldilà dalle mille forme: il mondo dei morti secondo la tradizione coreana

Non esiste un unico modello di aldilà: le versioni cambiano a seconda dell’influenza taoista, buddhista o sciamanica. L’unico elemento sempre presente è la figura del 저승사자 (jeoseung saja), l’“angelo della morte”, l’esecutore che accompagna le anime attraverso il viaggio nell’altra vita.

Nell’immaginario popolare, è l’equivalente del mietitore occidentale. Riceve ordini dal Re del Quinto Inferno, il più noto dell’intero sistema, e il suo compito è semplice e terribile: portare con sé le persone il cui tempo è arrivato.

Per decenni, il jeoseung saja è stato rappresentato come un uomo cupo, vestito di nero, dall’energia inquietante. Poi è arrivato Dokkaebi e Lee Dong-wook, e l’angelo della morte è diventato un’icona pop: elegante, in cappotto nero, affascinante, quasi magnetico.


Il psychopompo coreano: guida, avvocato e protettore

A dispetto della sua fama minacciosa, il jeoseung saja non è malvagio. Sì, è colui che “prende” la tua vita, ma è anche la guida che ti aiuta ad attraversare un viaggio pieno di pericoli e incognite. Nei racconti popolari protegge l’anima, discute davanti al giudice dell’aldilà come un avvocato difensore e, quando può, “paga” con pezzi della propria energia o memoria per aiutarti a superare una prova.

È un aldilà sorprendentemente simile al mondo umano: giudici, tribunali, processi, difese, accuse, corruzione, inganni. Storie antiche parlano di persone ricche che avrebbero pagato altri affinché morissero al posto loro o si sarebbero travestite per ingannare la morte. E così, improvvisamente, la trama di Goblin, dove la protagonista sfugge al proprio destino, non appare poi così lontana dalle vecchie credenze.


I 49 giorni: il tempo del giudizio

Secondo la tradizione buddhista, l’anima attraversa un periodo di 49 giorni prima del giudizio finale che determinerà la sua prossima vita. Non è reincarnazione nel senso semplice del termine: dopo il giudizio, l’anima può essere inviata in paradiso, in uno dei tanti inferni o rinascere nel mondo dei vivi.

Il 49-jae è il rito che la famiglia svolge proprio nel giorno conclusivo, pregando per un giudizio favorevole. Se hai visto Along with the Gods, tutto questo ti suona familiare: l’intero film è una rappresentazione di questo viaggio.


I Sette Tribunali dell’Aldilà Coreano

Durante i 49 giorni, l’anima attraversa sette tribunali principali, ciascuno con il suo giudice e il suo inferno annesso. Ecco il percorso completo.

1) Dosan — La Montagna di Lame

📅 7° giorno
👑 Re Jin-gwang
È il luogo in cui vengono giudicati gli avari. Chi fallisce deve camminare per l’eternità su un ponte di lame affilate.

2) Hwa-tang — Il Bagno di Fiamme

📅 14° giorno
👑 Re Cho-gang
Qui arrivano ladri e persone che non restituiscono ciò che hanno preso.
La punizione: uno dei tre calderoni bollenti di liquame, lava o acido.

Il Samdocheon: il Fiume dei Tre Sentieri

Tra il secondo e il terzo giudizio, l’anima attraversa questo fiume. Tre sentieri: paradiso, purgatorio o l’inferno più doloroso.

3) Han-bing — La Valle del Ghiaccio

👑 Re Song-jeh
Inferno destinato a chi non è stato devoto ai genitori.
Un mondo di ghiaccio eterno dominato dai tre giudici fratelli.

4) Geom-soo — La Foresta di Lame

📅 28° giorno
👑 Re Oh-gwan
Qui vengono giudicati omicidio, furto, adulterio, ubriachezza e insulto.
Il giudice usa una gigantesca bilancia che pesa la colpa contro un masso enorme.

5) Bal-seol — L’Estrazione della Lingua

📅 35° giorno
👑 Re Yeom-la
È il tribunale della “lingua malvagia”: calunnie, menzogne, insulti.
La punizione è una delle più celebri: la lingua viene estratta e arata da un bue.

6) Doksa — Il Pozzo dei Serpenti Velenosi

📅 42° giorno
👑 Re Byon-seong
Inferno destinato a assassini, stupratori e criminali violenti.
La condanna è eterna: combattere immersi in un mare di serpenti velenosi.

7) Geo-hae — La Sega dell’Annientamento

📅 49° giorno
👑 Re Tae-san
È il giorno del rito dei familiari.
Qui vengono giudicati truffatori, imbroglioni e profittatori.
La punizione: essere segati a pezzi… e ricominciare da capo, all’infinito.


Le sei sentenze finali

Alla fine dei 49 giorni, l’anima riceve uno dei sei verdetti:

  1. salire in cielo
  2. rinascere nel mondo dei vivi
  3. precipitare nei livelli più profondi dell’inferno

Questo viaggio tra 이승 e 저승 mostra un mondo incredibilmente ricco, sfaccettato e sorprendentemente coerente, che da secoli influenza miti, racconti popolari e perfino i K-drama che amiamo oggi. È un sistema di credenze che unisce spiritualità, narrazione, simboli e giustizia poetica, intrecciando il dolore della morte con la bellezza di un ordine cosmico complesso e profondamente umano. Ed è solo l’inizio: ogni figura, ogni inferno, ogni sentiero nasconde altri racconti, altre connessioni, altre storie che aspettano solo di essere esplorate.

8 dicembre 2025

Credenze Food & Curiosità Coreane: dal kimchi miracoloso alle mele della buonanotte (passando per la cacca portafortuna)

 


Quando si parla di Corea del Sud, c’è un intero universo di tradizioni, rimedi casalinghi, piccoli miti quotidiani e convinzioni popolari che convivono perfettamente con la modernità più sfrenata. E più le scopro, più mi ci affeziono. Alcune fanno sorridere, altre spiazzano, altre ancora sembrano uscite da un manuale di medicina tradizionale del passato. Eppure tutte raccontano qualcosa di autentico della cultura coreana.

7 dicembre 2025

Draghi, fantasmi e folletti: viaggio nel folklore coreano

 

Il folklore coreano è pieno di elementi soprannaturali: cavalli volanti, fenici, uccelli a tre teste, tigri che fumano la pipa, spiriti burloni o maligni e, naturalmente, draghi e fantasmi di ogni tipo.

Dietro queste figure così particolari si nasconde un intero mondo di storie, credenze religiose e simboli che hanno accompagnato la Corea per secoli e che ancora oggi sopravvivono tra templi, montagne, K-drama e persino stadi di calcio.

In questo articolo faremo un viaggio tra alcune delle figure più affascinanti del folklore coreano: draghi, fantasmi, spiriti della montagna, folletti dokkaebi e i misteriosi dolmen che punteggiano il paesaggio. Mettiamoci comodi: quello che segue è puro divertimento… con una bella dose di brividi.


I draghi coreani: tra Cina, India e buddhismo

I draghi (용) sono figure fondamentali nella mitologia coreana, ma come sono arrivati in Corea?

La risposta più semplice è: dalla Cina.
Gli archeologi hanno scoperto statue di draghi nella provincia cinese di Henan risalenti all’Età della Pietra. È probabile che la cultura che realizzò quelle statue abbia condiviso il concetto di drago con gli antenati dei coreani odierni. La Cina è quindi il luogo d’origine dell’aspetto del drago e delle sue associazioni più basilari: potere, pioggia e fortuna.

Per capire davvero i draghi coreani, però, bisogna guardare a un’altra terra: l’India.

L’India è la patria del buddhismo, una delle religioni principali della Corea, ma è anche la terra dei nāga, spiriti che assumono solitamente la forma di un cobra reale e, talvolta, quella di un essere umano. I nāga possono volare, ma non lo fanno spesso, per la comprensibile paura che un uccello possa attaccarli. Come antiche divinità, compaiono nella maggior parte delle religioni indiane, incluso il buddhismo.

Uno dei nāga più famosi del buddhismo indiano è Mucalinda, re dei serpenti. La leggenda racconta che, durante una tempesta, Mucalinda protesse il Buddha mentre meditava, riparandolo sotto il suo grande cappuccio. In seguito lo invitò nel suo palazzo sottomarino e divenne il suo primo seguace.

Se conosci i racconti dei draghi dell’Asia orientale, questa storia suona molto familiare: nelle mitologie cinese, coreana e giapponese esistono re-draghi che vivono in palazzi sottomarini e che, in molte versioni, sono i primi credenti del Buddha. In realtà, molte storie buddhiste sui draghi dell’Asia orientale sono, all’origine, racconti sui nāga, e praticamente ogni storia asiatica sui draghi è stata influenzata da queste figure.

Proprio come gli insegnamenti del Buddha, anche i racconti sui nāga portati dai missionari indiani divennero popolari in Cina. Ed è facile immaginare come, sentendo parlare di enormi serpenti volanti, i cinesi abbiano pensato immediatamente ai draghi.

Questo fraintendimento trasformò radicalmente il concetto di drago nell’Asia orientale.

  • Prima dell’arrivo del buddhismo, in Cina si credeva che i draghi controllassero la pioggia, ma non si pensava che vivessero stabilmente in fiumi, laghi o oceani, e non esistevano ancora i re-draghi.
  • I draghi non possedevano neppure la famosa sfera magica esaudisci-desideri, la yeouiju (여의주): questa nasce da una leggenda indiana su una gemma chiamata Cirimani.

Il cambiamento più importante riguarda però il loro ruolo: da semplici portatori di pioggia, i draghi diventano soprattutto protettoriArrivano persino a essere considerati guardiani dei Tre Gioielli del buddhismo:

  • il Buddha,
  • il suo insegnamento (dharma),
  • e la comunità dei monaci (sangha).

Quando la Corea diventa una terra profondamente buddhista, è naturale che i draghi vengano visti come protettori della nazione stessaE anche se, nei secoli, il buddhismo perde centralità, l’interesse coreano verso i draghi non svanisce mai: continuano a comparire in templi, leggende, opere d’arte e nelle storie che ancora oggi affascinano adulti e bambini.


I fantasmi coreani: i gwishin e le loro molte forme

Che cosa sono esattamente i fantasmi coreani?
Nella tradizione popolare esistono quattro tipi ben definiti di spiriti, chiamati gwishin (귀신). Si ritiene che siano le anime di persone defunte che non sono riuscite a portare a termine il proprio scopo nella vita. Restano intrappolate a metà strada, incapaci di “attraversare l’altra sponda”, e continuano ad aggirarsi tra i vivi in attesa che la loro anima venga finalmente placata.

Le origini di queste credenze affondano nello sciamanesimo, antica religione che in Corea ha ancora molti praticanti e che si occupa degli spiriti presenti nel mondo naturale. Numerosi rituali sciamanici hanno proprio lo scopo di placare i gwishin e accompagnarli dove dovrebbero essere.

Non stupisce quindi che molti film horror coreani mostrino fantasmi pallidissimi con lunghi abiti bianchi, labbra rosso sangue e capelli sciolti, sospesi a mezz’aria. Spesso si tratta di rappresentazioni di un tipo particolare di fantasma: la cheonyeo-gwishin.

La cheonyeo-gwishin (처녀귀신) è il tipo più comune di fantasma coreano: è il fantasma della vergine, una donna che non ha potuto adempiere al proprio “ruolo” in vita.

Nella Corea antica era difficile essere donna: la sua esistenza era interamente dedicata al padre, al marito e ai figli. Se non riusciva a realizzare il proprio desiderio di vita e moriva portando con sé un forte risentimento, la sua vita veniva considerata incompleta e la sua anima rimaneva bloccata nel nostro mondo.

Questo fantasma indossa il tradizionale abito funebre bianco, il sobok (소복), e porta i capelli sciolti perché non ha il diritto di legarli: raccogliere i capelli in uno chignon era privilegio delle donne sposate. La cheonyeo-gwishin serba rancore verso chi le ha fatto del male e continua a perseguitarlo. La figura che molti associano al film The Ring, anche se di origine giapponese, è molto vicina a questo tipo di fantasma.

Il chonggak-gwishin: lo scapolo inquieto

L’equivalente maschile è il chonggak-gwishin (총각귀신), noto anche come mongdal-gwishin: il fantasma dello scapolo che non si è mai sposato né ha potuto compiere il proprio destino. Esistono rituali sciamanici in cui si cerca di “unire” questi due spiriti in una sorta di matrimonio simbolico. Se il rituale ha successo, si ritiene che il loro scopo di vita venga finalmente completato e che possano attraversare l’aldilà, lasciando in pace il mondo dei vivi.

Il mul-gwishin: il fantasma dell’acqua

C’è poi il mul-gwishin (물귀신), il fantasma dell’annegato. È uno spirito solo e triste, intrappolato nelle acque fredde in cui è morto. Secondo la tradizione, può trascinare con sé gli sventurati che si avvicinano troppo all’acqua. Da qui nasce l’espressione coreana mul-gwishin jakjeon (물귀신 작전), “tattica del fantasma d’acqua”: trascinare qualcun altro a fondo insieme a sé, un po’ come dire “se affogo io, affoghi anche tu”.

Il dalgyal-gwishin: il fantasma-uovo

Forse il più inquietante di tutti è il dalgyal-gwishin (달걀귀신), il “fantasma-uovo”. Ha una forma ovale e priva di lineamenti: niente occhi, naso, bocca, né arti. Secondo la leggenda, chiunque lo veda… muore. Non ha emozioni, personalità o un’origine chiara: è semplicemente lì, assurdo e mortale. Alcuni dicono che viva tra le montagne, in attesa di chi osa attraversarne i sentieri.

Il gumiho: la volpe a nove code

Accanto ai gwishin “classici” c’è un’altra figura amatissima dalla cultura pop: il gumiho (구미호), la volpe a nove code. Antiche credenze sostenevano che alcuni animali potessero acquisire caratteristiche umane. La gumiho è l’esempio più famoso: può trasformarsi in una donna bellissima per attirare un uomo ignaro e mangiarne il fegato. Nella tradizione, è uno spirito malvagio, affascinante e letale.

Negli ultimi anni, però, la sua immagine è stata completamente rivoluzionata da film e K-drama romantici, come My Girlfriend Is a Gumiho, con Lee Seung-gi e Shin Min-ah, dove la gumiho è dolce, buffa e sogna soltanto di diventare umana grazie al suo fidanzato.

Come in molti altri Paesi, anche in Corea i fantasmi sono il risultato di antiche credenze tramandate di generazione in generazione. Oggi fanno meno paura rispetto al passato, ma continuano a intrattenere e a raccontare che cosa, un tempo, le persone consideravano davvero vero. E forse, dopo aver conosciuto meglio il mondo dei gwishin, molti film horror coreani inizieranno ad avere un significato diverso.


Sansin: lo spirito della montagna

Le montagne della Corea sono da sempre considerate portatrici di un’energia vitale per il popolo. Circa il 70% del Paese è coperto da rilievi montuosi, accanto ai quali le persone hanno vissuto per millenni. Le montagne offrivano protezione, cibo, acqua, legna, materiali da costruzione, e si credeva che tra le loro vette dimorasse il soprannaturale.

Non sorprende quindi che, nel corso della lunga storia coreana, il culto degli spiriti della montagna sia diventato una pratica di fede molto diffusa.

Qui entra in scena Sansin (산신/山神), lo spirito della montagna.

Lo sciamanesimo, presente in Corea da migliaia di anni, è un sistema religioso legato proprio agli spiriti del mondo naturale. Ancora oggi esistono moltissimi sciamani in attività, veri e propri intermediari tra i vivi e le divinità della natura: si stima che siano circa 300.000, praticamente una persona su 160.

Si crede che le montagne più importanti ospitino uno spirito particolare, Sansin, che concede benedizioni e protezione a chi lo venera. Nel corso dei secoli, molte persone hanno eretto  e visitano tuttora, santuari sacri dedicati a questo spirito custode.

Come viene rappresentato Sansin

Le raffigurazioni di Sansin variano molto da montagna a montagna, perché ogni vetta può avere il “proprio” spirito. Dalla dinastia Joseon in poi, però, si è affermata un’immagine abbastanza riconoscibile: Sansin viene spesso dipinto come un anziano con una lunga barba bianca, seduto sotto un albero nodoso accanto a una tigre, con in mano un bastone, un ventaglio o entrambi. Intorno a lui compaiono simboli di longevità e a volte dei discepoli.

Il Sansin più famoso è probabilmente Dangun, considerato il primo sovrano umano della Corea. Dopo aver governato per 1.500 anni, secondo la leggenda, divenne proprio uno spirito della montagna.

Con il passare dei secoli, anche quando buddhismo, taoismo e neoconfucianesimo sono entrati nella cultura coreana, la fede in Sansin non è mai stata davvero soppressa. Anzi, si è intrecciata con queste religioni: in molti templi buddhisti, ad esempio, esiste un’area dedicata alle preghiere e alle offerte proprio a Sansin, con dipinti e statue.

Sorprendentemente, nonostante tutto questo, oggi non si scrive molto su Sansin e non è così conosciuto al di fuori della Corea. Una possibile spiegazione è che la Corea moderna, molto tecnologica e proiettata al futuro, non promuova particolarmente queste credenze legate agli spiriti della natura, temendo che possano apparire “superstiziose”.

Eppure la realtà è un’altra: si calcola che esistano circa 10.000 santuari dedicati a Sansin nella sola Corea del Sud, molti dei quali nuovi o ristrutturati di recente, con statue e dipinti splendidi.

L’orgoglio nazionale coreano è fortemente legato a questa figura: Sansin rappresenta qualcosa di profondamente e unicamente coreano, un filo diretto con le origini, le credenze e i valori tradizionali del Paese.


Folletti dispettosi: i dokkaebi

Abbiamo già parlato di creature mitologiche e fantasmi, ma il folklore coreano ospita anche un’intera schiera di piccoli mostriciattoli dispettosi: i dokkaebi (도깨비). Questi folletti demoniaci sono famosi per incutere timore nei bambini coreani, che temono di ricevere una loro visita se si comportano male.

I dokkaebi sono stati rappresentati in molti modi nel corso del tempo. Possono ricordare i goblin o i troll della tradizione occidentale: simili agli esseri umani, ma molto brutti e minacciosi, con una clava chiodata in mano e pronti a sfidare chiunque voglia attraversare il loro territorio. Possono avere corna, occhi enormi e zanne lunghe e ricurve, simili a quelle di un vampiro.

I loro cappelli magici possono renderli invisibili, mentre la clava può trasformare qualsiasi oggetto in ciò che il dokkaebi desidera. Non provengono dai morti, come i fantasmi: nascono dalla natura. Vecchi oggetti inanimati possono trasformarsi in dokkaebi e iniziare a terrorizzare vittime sfortunate (o forse… meritevoli). Non a caso, nella tradizione, è sempre meglio evitare cimiteri, foreste buie e edifici abbandonati… a meno che non si voglia correre il rischio di incontrarne uno.

Molti considerano i dokkaebi spiriti scherzosi e tutto sommato innocui. Amano fare scherzi e tirare brutti tiri agli esseri umani. In particolare, adorano partecipare allo ssireum (씨름), la lotta tradizionale coreana. Si dice che ricompensino chi compie buone azioni e puniscano chi fa del male agli altri, come una sorta di Robin Hood del mondo soprannaturale: grazie ai loro oggetti magici, rubano ai ricchi e agli avidi per donare ai poveri e ai meritevoli.

I tanti tipi di dokkaebi

Nel tempo si sono accumulate tantissime varianti di dokkaebi, ognuna con carattere e aspetto specifici. Tra i più noti troviamo:

  • Cham dokkaebi (참도깨비) → estremamente dispettosi
  • Gae dokkaebi (개도깨비) → i più malvagi
  • Gim-seobang dokkaebi (김서방 도깨비) → goffi e semplici, come contadini di campagna
  • Nat dokkaebi (낮도깨비) → gli unici che appaiono alla luce del giorno
  • Go dokkaebi (고도깨비) → abili guerrieri in armatura
  • Gaksi / chonggak dokkaebi → giovani folletti femminili o maschili, attraenti agli occhi degli umani
  • Oenun dokkaebi (외눈 도깨비) → con un solo occhio
  • Oedari dokkaebi (외다리 도깨비) → con una sola gamba, appassionati di ssireum (lotta coreana)

E non è finita: esistono anche varianti ancora più curiose, come:

  • Jeokwi (저귀) → invidiosi dei bambini amati, portano malattie
  • Nati (나티) → nati da vecchi oggetti domestici (scope, ferri da camino, setacci, mortai…), possono assumere forma umana se toccati
  • Lantern dokkaebi → camminano sempre con una lanterna accesa
  • Egg dokkaebi → si muovono rotolando, come uova
  • Meongseok dokkaebi → pigroni cronici, sempre con il tappetino per dormire
  • Hot-ibul dokkaebi → vagabondi che portano sempre con sé una coperta per eventuali pisolini improvvisi

Anche se appartengono al folklore coreano, la loro iconografia è stata influenzata da creature simili presenti nella mitologia cinese e giapponese. Le somiglianze moderne con gli oni giapponesi, per esempio, possono derivare dal periodo coloniale (1910–1945), ma considerando millenni di scambi culturali, le radici sono sicuramente più profonde.

Oggi i dokkaebi compaiono in film, cartoni animati, libri illustrati e videogiochi. Le opere d’arte che li raffigurano si possono vedere in diversi musei della Corea. Persino i tifosi della nazionale di calcio coreana, i famosissimi Red Devils, hanno adottato il volto di un dokkaebi , Chiwoo Cheonwang (치우천왕) , come mascotte.

È affascinante vedere come un simbolo associato al caos e ai dispetti possa trasformarsi in un’icona capace di unire le persone e risvegliare un forte senso di orgoglio nazionale. E se un giorno dovessi imbatterti in un dokkaebi, niente panico: se sei una brava persona, non hai troppo da temere… soprattutto se hai la fortuna di incontrare uno delle varianti più benevole.


I dolmen coreani: il mistero dei goindol

Tendiamo spesso a sottovalutare i nostri antenati. Certo, rimarrebbero sbalorditi davanti ai nostri telefoni e ai nostri computer. Ma anche noi restiamo senza parole quando osserviamo i monumenti resilienti che hanno lasciato: le Grandi Piramidi, Stonehenge, i Moai dell’Isola di Pasqua… e ci chiediamo: “Come hanno fatto?”.

Nella maggior parte dei casi, questa domanda resta senza risposta, e quelle strutture rimangono avvolte nel mistero. I dolmen della Corea sono proprio uno di questi enigmi.

In coreano sono chiamati goindol e sono, in genere, camere singole composte da due o più pietre verticali che sorreggono una lastra orizzontale, formando una sorta di grande tavolo in pietra. È raro trovare dolmen in Cina o in Giappone, mentre la Corea possiede la più alta concentrazione al mondo: circa 35.000 strutture.

Eppure, rispetto ai dolmen di altri Paesi, quelli coreani sono stati studiati seriamente solo in tempi relativamente recenti.

Miti e leggende sui dolmen

Esistono molti miti che cercano di spiegare l’origine dei dolmen.

Uno riguarda la Pingmae Rock a Hwasun, un dolmen di 280 tonnellate, il più grande del mondo. Secondo la leggenda, sarebbe opera di una fata devota che, dopo aver sentito che al tempio di Unjusa si stavano costruendo 1.000 Buddha e 1.000 pagode, decise di contribuire portando un enorme masso. A metà strada, però, le dissero che i lavori erano stati completati. Delusa, lasciò cadere la pietra e se ne andò.

Il dolmen di Ganghwa è forse il più famoso. Gli antropologi stimano che siano servite tra le 200 e le 300 persone per erigere quel megalite, ma il folklore ha una versione molto diversa.

Secondo una leggenda, ogni volta che i pesci rossi dello stagno Oryeonji, sul monte Goryeosan, agitavano la coda in direzione della Cina, l’imperatore cinese veniva colpito da un forte mal di testa. Per porre fine al problema, l’imperatore inviò soldati a uccidere i pesci e a bloccare il flusso di qi che emanava dalla montagna I soldati chiesero aiuto a un mago malvagio che iniziò a posizionare massi sulla montagna per bloccare l’energia. Alcuni di questi rotolarono via… dando così origine al dolmen di Ganghwa.

In altre storie, i dolmen vengono descritti come case per streghe o opere di antichi santi.

Un mistero ancora aperto

Per quanto affascinanti, queste leggende non risolvono i dubbi sull’origine reale dei dolmen. In vari siti sono stati ritrovati resti scheletrici, manufatti in giada e pugnali di bronzo, ma nessuna scoperta ha portato a un vero consenso sul loro scopo o sulla vita dei loro costruttori.

Non si sa con certezza se fossero tombe, luoghi di rituali sacrificali o se avessero altre funzioni ancora. E, considerando il numero enorme di dolmen, non esiste neppure una cronologia definitiva condivisa da tutti gli studiosi.

E poi c’è il grande interrogativo pratico: come sono stati trasportati massi così giganteschi? Forse non lo capiremo mai del tutto. Ma, in un mondo in cui pensiamo di poter trovare qualunque risposta con un clic su un motore di ricerca, un po’ di mistero potrebbe farci anche bene.


Perché queste storie contano ancora

Draghi protettori, fantasmi intrappolati tra due mondi, spiriti delle montagne, folletti dispettosi e megaliti avvolti nella nebbia del tempo: il folklore coreano è un mosaico di paure, desideri, speranze e tentativi di dare un senso a ciò che non si riusciva a spiegare.

Oggi queste figure non fanno più tremare come un tempo. Le incontriamo soprattutto nei film horror, nei K-drama, nei manhwa, nei videogiochi e in qualche vecchia storia di famiglia. Eppure continuano ad avere un ruolo importante: ci ricordano che ogni Paese ha i suoi fantasmi, i suoi mostri e i suoi dèi nascosti dietro le montagne, e che capirli significa capire un po’ meglio anche le persone che ci vivono.

La prossima volta che guarderai un horror coreano o passerai davanti alla curva dei “Red Devils” durante una partita, magari ci ripenserai: dietro quel drago, quella volpe a nove code o quel folletto con la clava c’è un’intera storia fatta di rituali sciamanici, antiche religioni, conquiste, colonizzazioni e resistenza culturale.

E chissà, forse, tra una leggenda e l’altra, qualche spirito starà ancora osservando da lontano, appollaiato su una montagna, nascosto in un fiume o dietro una vecchia porta di legno.

6 dicembre 2025

Cose che non sapevi sulla Corea – Parte 4: Panchine riscaldate e ascensori intelligenti!

 


Bentornati con un nuovo post dedicato alle curiosità più strane della Corea. Lo so, ho già trattato questo tema più volte… ma non posso farci nulla. Più cerco, più scopro dettagli surreali, più mi affascinano. È un circolo vizioso meraviglioso. Oggi ho raccolto alcune stranezze trovate girovagando sul web pronte a stupirvi. Buona lettura!


1) Porte di sicurezza della metropolitana

Seoul non è l’unica città con una metropolitana avanzata, ma il suo sistema ha qualcosa che nessun altro grande network possiede: delle porte di sicurezza installate in tutte le stazioni, dentro e intorno alla città.A prima vista sembrano un dettaglio architettonico, invece salvano vite impedendo che le persone cadano sui binari. Funzionano anche da barriera contro la polvere ferroviaria, le famose “particelle", rendendo l’aria delle banchine molto più pulita. E sono anche efficienti dal punto di vista energetico: fanno risparmiare oltre 10 milioni di dollari l’anno in riscaldamento e raffreddamento. Niente male per delle porte scorrevoli! 


2) Occhiali da vista

In Corea ottenere un paio di occhiali è questione di minuti. Letteralmente. Un tecnico abilitato misura la vista in 5–10 minuti, ti dice cosa ti serve e, una volta scelte montatura e lenti, in altri 10 (o meno!) ti prepara gli occhiali sul posto. Subito pronti. Le montature possono costare anche 5.000 won (circa 3,75 euro) e le lenti, anche quelle con trattamenti particolari come antigraffio, filtro luce blu o ultraleggere, restano molto più economiche delle nostre. Online ho trovato testimonianze di persone che hanno speso circa 45 dollari per lenti di ottima qualità. Invidia pura.


3) Corsi universitari incredibili

Ti piacerebbe laurearti in K-pop? In Corea è possibile: ben 15 università offrono corsi per diventare artisti K-pop o lavorare nei settori collegati. Se invece preferisci i videogiochi, esistono vere lauree in E-sports, disponibili in tre università, per future carriere come giocatori professionisti, coach, marketer e altro ancora. Poi ci sono corsi davvero fuori dal comune:

  • Fisiognomica alla Wonkwang Digital University -  Una variante della divinazione coreana basata sulla “lettura del volto”. Il corso insegna non solo ad analizzare i volti, ma anche a “gestirli” e persino migliorarli.
  • Scienza della Fermentazione del Kimchi alla Chunnam Techno University - Un percorso scientifico dedicato al kimchi, alla sua fermentazione e ai metodi naturali per ottenere il gusto perfetto. Dichiarano un tasso di assunzione del 92% dopo la laurea. In pratica: studi kimchi e trovi lavoro. Che sogno.


4) Toppings assurdi sulla pizza

Se pensi che l’ananas sia un sacrilegio, aspetta di vedere le pizze coreane. Domino’s Korea propone creazioni come la “Lobster Black Tiger Toowoomba with Sweet Potato Cream filled Crust”, che potremmo tradurre come Pizza con aragosta Black Tiger stile Toowoomba e crosta ripiena di crema di patata dolce. Oppure la famosissima Real Bulgogi, con la variante premium “K-rib (galbi) + cheese”. Esiste la kimchi pizza, e l’ultimo trend è la kimchi-pizza con maiale in agrodolce (김치피자탕수육, o 김피탕), che sta spopolando.


5) Centri post-parto (산후조리원)

Vent’anni fa erano considerati un lusso per ricchi, oggi sono un pilastro della cultura coreana. Il sistema tradizionale prevede che le neomamme restino al caldo per almeno tre settimane, senza aria condizionata e senza fare lavori di casa. I centri post-parto sono metà clinica e metà hotel: le mamme imparano tutto ciò che serve grazie alle infermiere, e la notte sono loro a occuparsi del neonato così che la madre possa dormire. Sono talmente diffusi che circa l’80% delle neomamme li utilizza per 3–4 settimane. Ora esistono anche versioni pubbliche gestite dai governi locali. Non mancano critiche sui costi e sul divario sociale, ma sono comunque diventati un elemento radicato nella cultura nazionale, soprattutto con l’attuale crisi delle nascite.


6) Ponti che ti guidano

Su alcuni ponti di Seoul, come il Cheongdam Bridge (청담대교), trovi linee verdi e rosa dipinte sull’asfalto. Il navigatore della tua auto ti può dire: “Segui la linea verde” oppure “Segui la linea rosa” per aiutarti a imboccare la corsia giusta senza stress. Una piccola genialata che renderebbe la guida molto più sicura anche da noi.


7) Ascensori intelligenti

Una tecnologia brevettata in Corea negli anni ’90 e installata in moltissimi edifici: premi un tasto sbagliato? Nessun problema. Premi di nuovo e annulli la fermata. Semplice. E geniale.


8) Cameriere? Basta un pulsante

Nella maggior parte dei ristoranti coreani, ogni tavolo ha un pulsante di chiamata (식당 호출벨).

Premi, arriva il cameriere. Fine. Alcuni lo trovano “degradante”, ma i lavoratori del settore in Corea non sembrano farsene un problema. Comodissime anche le panche con scomparto interno per riporre giacche e zaini, utilissime per evitare che i vestiti prendano l’odore di carne grigliata nei ristoranti BBQ.


9) Il clima non è un problema

Le estati sono torride e gli inverni gelidi, ma la Corea ha trovato soluzioni geniali. Una di queste è 엉뜨 (eong-tteu):

  • 엉 (eongdeongi) = sedere
  • 뜨 (tteugeopge) = riscaldare

Sono le panchine riscaldate alle fermate degli autobus. Pare che in inverno la gente preferisca perdere l’autobus pur di restare seduta a scaldarsi. E sinceramente… li capisco.


La Corea del Sud riesce sempre a sorprenderci perché unisce perfettamente creatività, tecnologia e quotidianità. Ogni dettaglio, che sia un ponte che ti guida, una pizza con ingredienti improbabili o un ascensore che annulla gli errori, racconta un Paese che ama innovare in modi eccentrici e spesso geniali.

E forse è proprio questo il suo fascino: trasformare la normalità in qualcosa che non vedresti in nessun'altra parte del mondo. Continuerò a cercare curiosità sempre più strane; conoscendo la Corea, non dovrò aspettare molto.