il mito di Chumong
Il mito di Chumong è un autentico poema epico. Il protagonista, sebbene d’altissimo lignaggio, nasce in modo avventuroso e cresce guardando le bestie, al pari di uno schiavo. Restituito successivamente al proprio ruolo, ottiene una grande vittoria...
Il re Tongmyŏng, ecista di Koguryŏ, aveva come cognome ‘Ko’ e come nome ‘Chumong’. Prima che lui nascesse, sul regno di Puyŏ regnava Haeburu. Costui, giacché ancora in tarda età non aveva avuto figli, faceva continuamente sacrifici agli dei della natura al fine di poter finalmente avere un erede. Infine, un giorno trovò per la strada un ragazzo simile nell’aspetto a una rana d’oro e, datogli il nome di Kŭmwa, lo elesse a proprio successore.
Divenuto re, Kŭmwa sposò Yuhwa, figlia del dio delle acque Habaek. La donna, però, era già stata messa incinta da Haemosu, figlio del dio del Cielo, e Kŭmwa, sospettando di lei, la rinchiuse in una stanza. Ovunque, però, la luce del sole seguiva la donna, che alla fine depose un grosso uovo. Kŭmwa, incollerito, prese l’uovo e lo gettò ai cani e ai porci, ma gli animali, lungi dal divorarlo, lo evitavano quasi con deferenza. Gli uccelli, poi, presero addirittura a proteggerlo con le loro ali. Il re cercò allora di rompere l’uovo, ma senza successo. Alla fine, dall’uovo venne fuori un bambino dall’aspetto meraviglioso.
A mano a mano che cresceva, dimostrava sempre più una grande abilità nel tiro con l’arco, e per questo venne chiamato Chumong. Nella lingua di Puyŏ, infatti, ‘Chumong’ vuol dire ‘abile nell’arco’. Kŭmwa destinò Chumong all’allevamento dei cavalli. Il ragazzo, allora, lasciò apposta denutrito un ottimo cavallo, mentre provvide a rimpinzare di cibo un animale di mediocri qualità. A questo punto il sovrano scelse per sé il cavallo grasso e tardo, mentre lasciò a Chumong quello magro e veloce.
Divenuto adulto, per il suo straordinario talento Chumong cominciò ben presto ad attirarsi l’invidia di molti, al punto che un giorno il giovane fu costretto a fuggire da Puyŏ insieme ai suoi amici più fidati. Quando i soldati di Puyŏ inviati a riprenderlo si avvicinarono a lui, di fronte a un grande fiume che gli sbarrava la strada gridò: «Io sono il figlio del dio del Cielo e il nipote di Habaek. Ora i miei inseguitori si avvicinano: cosa potrò mai fare?». Allora dalle acque emersero pesci e testuggini a formare un ponte che permise al giovane e alla sua truppa di attraversare il fiume e sfuggire ai loro nemici.
Raggiunto il fiume Cholbon, edificarono un nuovo Stato, ossia Koguryŏ. Questi fatti sarebbero avvenuti nell’anno 37 a.C. Ben presto, Chumong ottenne la sottomissione di Songyang, re di Piryu, il cui nome venne allora mutato in ‘Tamuldo’, che vuol dire ‘antico territorio recuperato’. Nell’estate del diciannovesimo anno del regno di Chumong arrivarono, profughi da Puyŏ, anche la madre del sovrano e il figlio Yuri. A Puyŏ, infatti, Chumong aveva sposato una donna degli Ye, che dopo la fuga del marito aveva dato alla luce il bambino che, una volta giunto a Koguryŏ, venne designato principe ereditario.
Quando Yuri era piccolo e si trovava a Puyŏ, una volta, mentre cacciava uccelli, aveva fracassato per errore i recipienti di una portatrice d’acqua. La donna lo aveva rimproverato aspramente, dicendogli che si era comportato in maniera così indisciplinata perché privo di un padre. Allora Yuri, tornato a casa, chiese alla madre notizie del proprio genitore. La madre rispose che il genitore non era un uomo qualunque bensì il sovrano di Koguryŏ, e che prima di lasciarla le aveva detto: «Se darai alla luce un maschio fa’ che trovi ciò che ho lasciato qui. Sotto un pino c’è una pietra di forma ettagonale e solo chi me la avrà riportata io riconoscerò come figlio».
A quelle parole il ragazzo prese a girare in lungo e in largo, inoltrandosi anche nel fitto della foresta, al fine di trovare l’oggetto, ma la sua ricerca sembrò risultare vana. Quando infine, tornato a casa, si sedette sulla veranda, sconsolato, la sua attenzione venne catturata da uno strano suono proveniente dal plinto di una delle colonne che sorreggevano il tetto. Guardando meglio, si accorse che il plinto era una pietra con sette angoli, che sorreggeva una colonna fatta di legno di pino, sotto la quale il ragazzo trovò un coltello spezzato. Quando ebbe portato quell’oggetto al padre, questi lo confrontò con la parte in suo possesso e, avendo visto che i due pezzi combaciavano perfettamente, riconobbe Yuri come proprio figlio.
Brano estratto dal libro La letteratura coreana - Antonietta l. bruno © tutti i diritti riservati.