25 ottobre 2025

Cinderella Closet: la libertà di essere se stessi

 

Ci sono storie che arrivano in punta di piedi, con l’apparenza leggera di un manga romantico, e poi ti accorgi che in realtà parlano di qualcosa di molto più profondo: del bisogno di essere visti per ciò che si è, e non per ciò che gli altri si aspettano. Cinderella Closet di Wakana Yanai è una di queste storie. Dietro i suoi colori pastello, le trasformazioni e i momenti teneri, si nasconde un racconto delicato e potente sull’identità, sull’espressione di genere e sull’accettazione.

All’inizio, Haruka è una ragazza semplice. È cresciuta in campagna, un po’ goffa, con il sogno di diventare più femminile e di vivere una vita da “ragazza di città”: capelli lunghi, vestiti alla moda, un ragazzo che la faccia sentire speciale. Ma la realtà è diversa. A Tokyo scopre la fatica del vivere da sola, del lavorare per mantenersi e dell’essere invisibile in una metropoli che sembra correre più veloce di lei. Si sente distante dall’immagine che aveva immaginato di sé. E in quella distanza comincia la vera storia: quella di una ragazza che impara a conoscersi davvero.

È qui che incontra Hikaru, un personaggio che rompe ogni schema. Ai suoi occhi, Hikaru appare come una figura quasi magica — una “fata madrina” esperta di moda, elegante, sicura di sé, capace di trasformare chiunque con pochi gesti precisi e una sensibilità unica. Ma Hikaru non è una fata. È un ragazzo che si veste e si presenta come donna, che ha scelto di vivere la propria identità senza nascondersi. E questa scelta non è un travestimento, ma una forma di libertà.

Haruka, che all’inizio lo ammira solo per la sua sicurezza e il suo stile, scopre presto che dietro quella forza c’è anche una grande vulnerabilità. Hikaru vive in equilibrio tra due mondi, navigando tra gli sguardi e i giudizi di chi non capisce. Ma la sua autenticità è disarmante: non chiede di essere accettato, mostra semplicemente che si può essere se stessi, anche quando il mondo preferirebbe il contrario.

La rivelazione della sua identità scuote Haruka. Non perché la scandalizzi, ma perché la costringe a guardare dentro di sé. A chiedersi quanto spesso anche lei abbia indossato maschere per piacere agli altri, per sentirsi “abbastanza”. Hikaru, con il suo modo diretto e la sua ironia tagliente, le insegna che cambiare non significa diventare qualcun altro, ma avvicinarsi sempre più a se stessi. “Non c’è nulla di attraente nell’autocommiserazione”, le dice. Ed è una frase che, nel suo tono quasi brusco, diventa un atto d’amore: la spinge a smettere di disprezzarsi e a riconoscere il proprio valore.

È proprio questo il cuore pulsante di Cinderella Closet: l’idea che la trasformazione esteriore — il trucco, i vestiti, il modo di camminare o di parlare — non serva a nascondere, ma a rivelare. Non si tratta di diventare più belli per qualcuno, ma di imparare a sentirsi bene nella propria pelle. Hikaru, nel suo modo libero e autentico di esistere, mostra che l’identità è un campo aperto, non un recinto. Che non esiste un unico modo “giusto” di essere uomini o donne, ma infiniti modi di essere umani.

E forse è questo che rende Cinderella Closet così speciale: la sua capacità di parlare di accettazione non come concetto astratto, ma come percorso quotidiano. La serie non idealizza né semplifica. Mostra la confusione, la goffaggine, i piccoli fallimenti e le incertezze che accompagnano la crescita personale. Mostra che anche l’amore — quello romantico o quello per se stessi — non è una magia che arriva tutta in un colpo, ma un processo che richiede pazienza, gentilezza e verità.

Alla fine, Haruka non diventa una principessa. Diventa semplicemente se stessa: una ragazza che non ha più paura di piacersi, di parlare, di sbagliare. Hikaru, invece, continua il proprio cammino di equilibrio tra le due identità, ma con una nuova consapevolezza: quella di essere visto e accettato da qualcuno che non lo giudica. Entrambi si scoprono più forti, più veri, più umani.

Cinderella Closet non è solo un drama sull’amore e la moda: è un invito a guardarci allo specchio con più gentilezza. A capire che la bellezza non è conformità, ma autenticità. E che la felicità, a volte, non è nel cambiare per piacere agli altri, ma nel permettersi di brillare per ciò che si è. Forse è questo il vero incantesimo: non la scarpetta che ti trasforma, ma lo sguardo che finalmente riconosce la tua luce.


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