Ci sono drama che ci colpiscono per l’ambientazione, la fotografia, la storia d’amore o il finale. E poi ce ne sono altri che ci lasciano addosso qualcosa di più silenzioso, quasi scomodo: una riflessione che cresce piano, fino a farsi domanda. Genie, Make a Wish per me è stato questo. Non per la trama in sé, ma per una tematica rara e un personaggio difficile da dimenticare: Ki Ka-young.
Era la prima volta che vedevo rappresentato in un drama il disturbo antisociale di personalità, qualcosa che avevo solo sentito nominare di sfuggita nei manuali o nei documentari. Non mi aspettavo che potesse essere raccontato così: con freddezza, ma anche con una strana forma di umanità nascosta tra le righe.
Guardando Ka-young mi sono chiesta più volte dove finisca il disturbo e dove inizi la persona. Perché dietro ogni comportamento che ci appare “anormale” c’è sempre una storia, una ferita, un perché.
Ho scoperto che chi soffre di questo disturbo tende a ignorare i diritti e i sentimenti altrui, mentire, manipolare, agire senza rimorso. Eppure, nel caso di Ka-young, qualcosa incrina questo schema. Forse è la presenza del genio Iblis — figura che funge da specchio, che legge i suoi pensieri oscuri e, anziché respingerli, li osserva. È come se, per la prima volta, qualcuno la vedesse davvero. E quando ci si sente visti, anche solo per un attimo, qualcosa cambia.
Ho pensato a quanto spesso le persone giudichino senza cercare di capire. Ka-young non è un mostro, anche se la sua mente funziona in modo diverso. È una donna che ha imparato a sopravvivere al rifiuto, all’abbandono, all’indifferenza. Le scene in cui la vediamo bambina, respinta dalla madre e lasciata sola, acquistano un peso diverso se le guardiamo alla luce di questa consapevolezza: l’abuso e l’incuria durante l’infanzia possono plasmare un’anima fino a renderla incapace di fidarsi del mondo.
Il drama non cerca di redimerla completamente. Non promette miracoli. Ma ci invita a riflettere su una domanda più grande: una persona con tendenze antisociali può cambiare, o almeno scegliere di non nuocere? Forse sì, se trova un motivo, o qualcuno, per cui valga la pena provarci.
Quello che mi ha colpita è proprio questo: Ka-young, pur nella sua assenza di emozioni, cerca la rettitudine. Non perché la senta, ma perché la comprende. C’è una differenza sottile ma profonda tra provare empatia e scegliere consapevolmente di rispettare gli altri. Ed è in quella differenza che ho visto l’essenza umana del personaggio. A volte, chi viene considerato “diverso” riesce a vivere con più coerenza e rigore di chi si crede emotivamente integro.
Genie, Make a Wish ci ricorda che non tutti coloro che appaiono freddi sono privi di profondità. Alcune persone vivono un’emotività nascosta, silenziosa, che non si traduce in lacrime o sorrisi, ma in gesti, abitudini, regole personali.
E mi sono chiesta: quante volte giudichiamo chi non reagisce come noi? Quante volte scambiamo il silenzio per indifferenza, la freddezza per cattiveria, l’intelligenza analitica per insensibilità?
Forse il vero messaggio del drama non è la redenzione di Ka-young, ma il nostro sguardo su di lei. Imparare a osservare senza etichettare, a capire senza giustificare, a riconoscere che anche chi non sente come noi può avere un codice morale, un modo tutto suo di essere “buono”.