7 febbraio 2023

Raccontami una storia... (7)

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Il martirio di Ich’adon

Al tempo di re Pŏphŭng di Silla, il Buddhismo era già conosciuto, ma i ministri, appellandosi alle leggi che regolavano la cosa pubblica, si opponevano alla costruzione dei templi di tale religione. Fu allora che un funzionario minore di sicura fede buddhista chiamato Ich’adon, giunto di propria iniziativa a rapporto dal sovrano, gli disse: Maestà, fate ricadere su di me la responsabilità della mancata costruzione dei templi, come se fossi stato io a falsare un vostro ordine. Prendete dunque la mia vita per questo, ma, nel vedere il vostro atto, anche i funzionari più recalcitranti non oseranno opporsi più oltre alla vostra volontà di favorire la diffusione del Buddhismo attraverso la costruzione dei luoghi di culto. All’inizio il sovrano rifiutò una simile eventualità, ma, non riuscendo a convincere in nessun modo il suo funzionario, alla fine si dichiarò d’accordo con lui. Era ovvio, infatti, che Ich’adon stava volontariamente sacrificando la propria vita in favore della diffusione del Buddhismo. Così, avendo convocato tutti i suoi ministri e funzionari, disse loro: «Voi avete deliberatamente ostacolato la mia intenzione di costruire templi buddhisti: darò la colpa a un solo funzionario, perché la sua punizione possa servire da esempio per tutti». Ich’adon venne così incriminato e decapitato. Quando la sua testa fu spiccata dal corpo, però, uscì latte invece di sangue, mentre la testa del martire volava via verso le più alte cime del massiccio montuoso del Kŭmgang. Dopo un tale miracolo, niente ostacolò più a Silla la diffusione del Buddhismo.

la storia di Ch’oe Ch’iwŏn

Ch’oe Ch’iwŏn, coreano di Silla, si era recato in giovane età presso i Tang e, proprio in Cina, passati gli esami di Stato, aveva ottenuto delle cariche pubbliche. Un giorno volle fare un giro a sud del villaggio dove esercitava le sue funzioni e lì vide, poste una accanto all’altra, le tombe di due donne. Ch’oe lasciò delle poesie, da lui stesso scritte, all’ingresso dei due monumenti, e poi tornò a casa. Quella sera stessa, però, notò una bella che si aggirava nei dintorni di casa sua, appoggiandosi a un bastone. Avvicinatasi a lui, la donna gli consegnò due borsette rosse che contenevano delle poesie: in effetti, si trattava della risposta delle due donne ai componimenti da lui scritti e lasciati in mattinata sulle tombe. Ch’oe Ch’iwŏn consegnò allora alla visitatrice una richiesta di incontro, sempre in versi. Passato un po’ di tempo, apparvero al letterato due donne belle come fiori di loto. Si seppe così che si trattava di due sorelle, figlie di un ricco proprietario terriero del luogo, che avendo contratto un matrimonio infelice erano morte prematuramente. Ch’oe Ch’iwŏn divise allora con esse vino e poesie, e godette anche del loro amore. Tornato a Silla, Ch’oe lasciò la vita pubblica e, ritiratosi in montagna, visse da saggio eremita finché non ebbe lasciato questo mondo. Questa storia è ancora largamente conosciuta, in Corea. Nella più famosa spiaggia di Pusan, che prende il nome dallo pseudonimo di Ch’oe, circola ancora la voce che il letterato abbia passato proprio lì una parte della sua vita. Celebrato in Cina come eccelso erudito, una volta tornato in patria non riuscì a vedere soddisfatti i suoi ideali, e per questo scelse l’autoreclusione fra le montagne. Questo atteggiamento ha fatto di lui un autentico spirito taoista, malgrado il suo background confuciano.

Il mito di fondazione di Koryŏ e Chak Chegŏn

Il mito parte dai sei grandi antenati di Wang Kŏn e da lui stesso, fondatore e primo sovrano di Koryŏ, ma è soprattutto la storia riguardante Chak Chegŏn, nonno del fondatore, a essere degna di nota. Secondo la tradizione, costui era figlio dell’imperatore dei Tang Sukchong e di una donna coreana chiamata Chinŭi. Proprio la sorella maggiore di quest’ultima aveva fatto una volta un sogno nel quale Chinŭi, orinando dalla sommità di una montagna, aveva sommerso tutto il mondo sottostante. Era ovviamente, questo, presagio di potenza, che poi i fatti avrebbero confermato allorché Chinŭi si era unita all’imperatore cinese durante un viaggio di questi in Corea e aveva dato alla luce un figlio. A tale riguardo, la storia serve anche a dimostrare che il fondatore di Koryŏ (e dunque il paese stesso) fosse di fatto un parente stretto della grande Cina. Chak Chegŏn, da bambino, chiedeva sempre alla madre chi fosse mai stato il proprio padre e Chinŭi rispondeva, invariabilmente, che si trattava di un nobile cinese. Allora, un giorno, il ragazzo decise di andare in Cina alla ricerca del genitore, ma, una volta in navigazione, le avverse condizioni del tempo impedivano alla nave di proseguire. L’equipaggio della nave si convinse che solo liberandosi di un coreano il viaggio si sarebbe potuto svolgere senza problemi, e a quel punto il ragazzo si lanciò da se stesso fuori bordo. Una roccia affiorante, però, evitò il peggio, consentendo a Chak Chegŏn di salvarsi. Poco più tardi, si avvicinò allo scoglio un vecchio che si presentò come il re-drago del Mare d’Occidente e chiese al ragazzo di allontanare la propria malasorte. Fu allora che accadde un fatto strano: qualcosa si avvicinò allo scoglio e, nonostante le esitazioni di Chak, il redrago gli ordinò di colpirlo con una freccia. Il ragazzo, che fin dalla più tenera età era stato abituato a tirare d’arco, fece subito centro. L’essere che fu colpito e ucciso si rivelò poi essere una vecchia volpe, giunta fin lì per uccidere il re-drago. Quest’ultimo, riconoscente, disse a Chak Chegŏn che avrebbe esaudito ogni suo desiderio, e il ragazzo chiese allora di poter diventare re di Corea. Il re-drago rispose che avrebbe potuto concedere questo privilegio solo a un suo nipote, ma in cambio fece in modo che Chak prendesse in moglie la propria figlia, che per l’occasione venne gratificata di una dote favolosa. In questo modo, la linea dinastica di Koryŏ poté vantare da un lato la discendenza del Cielo, in quanto apparentato con l’imperatore della Cina, dall’altro la discendenza dall’acqua, in quanto imparentato col re-drago. Come guardiano del Cielo e delle acque, dunque, il paese di Koryŏ era stato legittimato a farsi padrone del proprio territorio.


Brano estratto dal libro La letteratura coreana - Antonietta l. bruno © tutti i diritti riservati.