1 luglio 2025

I luoghi più infestati della Corea del Sud: un viaggio tra leggende, fantasmi e silenzi dimenticati

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Ci sono esperienze che non si dimenticano. Viaggi che non si fanno con i piedi, ma con la pelle d’oca. Luoghi che non si esplorano con una guida turistica in mano, ma col cuore in gola e le mani che tremano. La Corea del Sud, nota per i suoi k-drama romantici, i templi immersi nei ciliegi in fiore e le città iper-moderne, nasconde anche un volto più oscuro. Uno di quelli che ti osservano da dietro la porta socchiusa, che sussurrano storie antiche nelle orecchie del vento.

E oggi, ti porto proprio lì.

In un mondo fatto di ospedali abbandonati, miniere dimenticate, case in cui il tempo si è fermato e non solo. Luoghi dove si racconta che le anime non abbiano mai smesso di camminare. Sei pronto a seguirmi?


Quando il passato non riposa: fantasmi, brividi e silenzi che parlano

Se pensi che la Corea sia solo romanticismo, idol e ramen bollente, forse è il momento di conoscere anche il suo lato più inquietante. Dai palazzi reali agli ospedali psichiatrici dismessi, ci sono posti in cui la storia ha lasciato ferite mai rimarginate, dove si raccontano leggende di sparizioni misteriose, apparizioni improvvise e presenze che non trovano pace.

Questi luoghi non sono fatti per i deboli di cuore. Eppure, attraggono curiosi, appassionati del paranormale e viaggiatori in cerca di qualcosa che non si può fotografare ma solo... sentire.


Goseong Unhyeongung: il palazzo reale che nasconde un’anima inquieta

Situato a Goseong-gun, questo antico palazzo della dinastia Joseon è molto più di un sito storico. Si racconta che qui, un celebre studioso di nome Min Yong-Ik scomparve nel nulla dopo essere stato invitato a tenere una lezione. Non fu mai ritrovato. Da allora, la sua anima vaga inquieta nei cortili del palazzo, cercando forse sé stesso, o una verità sepolta nei secoli.

C'è chi giura di averlo visto. Chi parla di tunnel segreti, statue misteriose e incisioni che sembrano pulsare di energia spirituale. Forse sono solo leggende. O forse no.


Yeongdeok Haunted House: l’unica casa dell’orrore “ufficiale” della Corea

Costruita nel 1992, questa casa infestata è più di una semplice attrazione turistica. È un’esperienza sensoriale totale, tra giochi di luce, effetti sonori e attori in costume che sembrano usciti direttamente dai tuoi incubi peggiori.

Ogni stanza è un salto nel buio. Ogni porta nasconde un grido. Ma ciò che la rende davvero inquietante non sono gli effetti speciali... è quella sensazione che qualcosa, o qualcuno, stia osservandoti davvero. E no, non è solo parte dello show.


Naju Haunted House: quando i fantasmi si aggrappano agli oggetti

Nessuno conosce la vera storia di questa casa. Ma tutti sentono qualcosa, appena varcata la soglia. Voci sussurrate nel silenzio, fotografie ingiallite sparse sul pavimento, mobili spostati da mani invisibili. Freddo che attraversa la pelle come una carezza ostile.

C’è chi dice che siano gli spiriti degli antichi abitanti, ancora legati a ciò che avevano amato, odiato o semplicemente lasciato incompiuto. Ogni angolo di questa casa sembra raccontare una storia. Ma nessuno ha mai trovato il coraggio di ascoltarla fino in fondo.


Gyeongsan: la miniera del cobalto e i segreti sepolti nel buio

Una vecchia miniera, un passato di sfruttamento, morte e silenzi. Qui si racconta che molti lavoratori abbiano perso la vita tra le rocce, per malattie, incidenti... o disperazione. Qualcuno si è tolto la vita tra queste pareti fredde, e si dice che i loro lamenti ancora riecheggino tra i cunicoli.

Non è solo un luogo abbandonato. È una ferita aperta. E chi vi entra sente un peso sul petto difficile da spiegare. Forse è solo suggestione. O forse è la memoria di chi non ha mai trovato giustizia.


Gonjiam Psychiatric Hospital: l’ospedale maledetto della Corea

Se c’è un posto che incarna la paura pura, è questo. Chiusi i battenti negli anni ‘90, ma mai davvero abbandonato dalle anime che lo abitano, Gonjiam è una leggenda vivente. Ex pazienti, medici accusati di atrocità, grida nel nulla, luci improvvise, sguardi invisibili che ti perforano la nuca.

Tanto inquietante da ispirare persino un film horror (Gonjiam: Haunted Asylum), questo ex ospedale psichiatrico è un monito silenzioso su quanto dolore può rimanere imprigionato in un edificio.


Paldang Haunted House: una giovane vita spezzata e un lago che non dimentica

Una piccola casa costruita sulla riva del lago Paldang. E sotto di essa, secondo le voci, la tomba di una bambina morta in un tragico incidente. Dal 1980, si racconta che quella casa sia teatro di fenomeni inspiegabili: ombre che si muovono da sole, sussurri nel vento, gelo improvviso.

Nel 2017 un gruppo di studenti decise di entrarvi. Non ne uscirono più gli stessi. Perché ci sono presenze che non cercano vendetta… ma attenzione. Un po’ di compagnia, forse. Un gesto umano che dica: non ti abbiamo dimenticata.


Perché cerchiamo i fantasmi?

Forse è il desiderio di sentirci vivi, di guardare negli occhi ciò che non possiamo spiegare. Forse è solo curiosità, voglia di brividi, bisogno di storie che escano dalla routine. O forse, in fondo, vogliamo solo credere che qualcosa ci sopravviva. Anche nei luoghi dimenticati, tra le crepe di un muro, nei sussurri del vento.

La Corea del Sud ci racconta tutto questo. Senza effetti speciali. Solo con la potenza delle sue leggende, dei suoi silenzi e di quelle storie che sopravvivono al tempo.


Piccolo glossario da brivido

E se vuoi aggiungere un tocco in più alla tua avventura, ecco alcune parole coreane per entrare ancora di più nell’atmosfera:

  • 두려워하는 (dulyeowohaneun) – avere paura

  • 시체 (siche) – cadavere

  • 관 (gwan) – bara

  • 그림자 (geulimja) – ombra

  • 저주 받은 (jeoju bad-eun) – maledetto

  • 마법 (mabeob) – magia

  • 좀비 (jombi) – zombie

  • 악마 (agma) – demone


Hai il coraggio?

Ogni paese ha i suoi fantasmi. Ma in Corea del Sud, sembrano essere più vivi che mai. Se un giorno ti troverai lì, e sentirai una brezza fredda senza vento, un’ombra che si muove mentre tutto è fermo… chiediti: sono solo suggestioni? O forse, è qualcun altro che cammina accanto a te.

Tu che dici, entreresti?

 Fonte: https://ling-app.com/ko/haunted-locations-in-south-korea/

Corea del Sud: tra leggende, paesaggi e contraddizioni – un viaggio nei segreti del Paese che ci ha stregati

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Ci sono Paesi che si infilano in punta di piedi nelle nostre vite. All’inizio li noti appena, magari per una canzone ascoltata per caso, una scena di un drama che ti lascia il segno, o un piatto che ti fa venire l’acquolina solo a guardarlo. Poi, senza quasi accorgertene, ti ritrovi completamente immersa. La Corea del Sud è uno di quei posti: non si limita a mostrarsi, ma ti coinvolge, ti chiama, ti seduce. E quando pensi di conoscerla abbastanza, ecco che spunta un altro dettaglio, un’altra storia, un’altra stranezza che ti fa dire: “Ma davvero?”

In questo articolo voglio portarvi con me in un viaggio tra le curiosità più sorprendenti sulla Corea del Sud. Ma non aspettatevi un elenco freddo di fatti: sarà piuttosto un cammino tra tradizioni, emozioni, simboli e contraddizioni. Perché conoscere un Paese significa anche lasciarsi attraversare da ciò che ha da raccontare.


Una terra divisa, ma piena di vita

La prima verità che colpisce è anche la più dolorosa: la Corea del Sud è tecnicamente ancora in guerra con la Corea del Nord. Nessun trattato di pace è mai stato firmato dopo il conflitto degli anni '50. Solo una tregua. Una sospensione. Eppure, camminando per le strade illuminate di Seoul, sembra impossibile percepire quella tensione. La gente vive, corre, sogna. E in quella striscia di terra chiamata DMZ, la natura ha trovato casa: piante rare, animali protetti, un ecosistema che prospera proprio grazie all’assenza dell’uomo. Un paradosso bellissimo, in cui il conflitto ha restituito alla terra un angolo di respiro.


Tradizione e modernità: due facce della stessa medaglia

La Corea è un equilibrio precario e affascinante tra passato e futuro. Cammini tra grattacieli ipertecnologici e poi, all’improvviso, sbuchi davanti a un palazzo reale che sembra uscito da una fiaba antica. Non c’è bisogno di allontanarsi dalla città per respirare la montagna o ascoltare il suono delle onde: la natura è sempre lì, a un passo dal cemento.

E poi c’è la connessione. Letteralmente ovunque. Anche su isole sperdute puoi postare una foto in alta definizione senza aspettare che si carichi. È il Paese dove la tecnologia non è un lusso, ma un diritto. Non sorprende che Samsung e altri giganti siano nati qui. Ma dietro allo schermo luminoso resta il cuore antico, con il suo alfabeto creato da un re per rendere il sapere accessibile a tutti: il meraviglioso Hangeul.


Il culto dell’apparenza… e quello della resilienza

Sì, è vero. La Corea del Sud è considerata la capitale mondiale della chirurgia estetica. Qui il “voler essere più belli” non è tabù, ma un percorso che molti affrontano con naturalezza. La doppia palpebra come regalo di compleanno a 16 anni? È una realtà. Ma dietro a quel desiderio di perfezione si nasconde qualcosa di più profondo: la pressione sociale, gli standard elevati, l’ansia da prestazione in ogni ambito. Essere belli, performanti, all’altezza. Sempre.

Eppure, è anche il Paese dove si lavora fino a tardi, dove si sogna in grande, dove lo studio è una maratona che inizia presto. Dove i ragazzi si augurano buona fortuna agli esami con torte di riso – sì, avete capito bene: i dolci qui portano fortuna. E se pensate che i videogiochi siano solo un passatempo, vi sbagliate: in Corea, l’e-sport è una vera disciplina sportiva, rispettata e seguita come il calcio o il basket.


Una cultura che parla con i gesti

In Corea, nulla è lasciato al caso. Anche il modo in cui ci si rivolge agli altri racconta una storia: l’età conta, il ruolo conta, la distanza emotiva pure. Esistono modi diversi di parlare, di inchinarsi, di scegliere le parole. Non per formalità, ma per rispetto. Un rispetto profondo per la gerarchia, per la famiglia, per le tradizioni.

E se pensate che San Valentino sia il giorno dei fiori per le donne, vi sorprenderà sapere che qui sono le donne a regalare cioccolatini agli uomini. Ma tranquilli, il 14 marzo arriva il White Day, dove i ruoli si invertono.


K-pop, drama e onde che non si fermano

Non potevo non parlarne. La Hallyu wave, l’onda coreana, ha travolto il mondo. Non è solo una questione di canzoni o attori belli da impazzire. È un fenomeno che ha cambiato la percezione culturale dell’Asia, portando una nuova estetica, una nuova sensibilità, un nuovo modo di raccontare emozioni. Dietro ogni gruppo c’è lavoro, sacrificio, allenamenti massacranti. Dietro ogni drama c’è un racconto che parla d’amore, di perdita, di sogni, di vendette, ma anche di cibo condiviso a tavola e risate tra amici.

Pensate solo all’impatto di Parasite, primo film non anglofono a vincere l’Oscar come Miglior Film. È la dimostrazione che anche i drammi sociali più crudi possono parlare una lingua universale, che arriva dritta allo stomaco.


Sapori, superstizioni e simboli

Mangiare in Corea non è solo nutrirsi: è un’esperienza. Un banchetto anche per un pasto quotidiano. I piatti sono tanti, colorati, speziati, spesso condivisi. Il kimchi è ovunque, perfino accanto ai dolci. E se vi offrono della carne alla griglia, preparatevi a un rito sociale vero e proprio, fatto di chiacchiere, Soju e griglie roventi.

Curioso sapere che il numero 4 porta sfortuna (si pronuncia come la parola “morte”) e che regalare scarpe a chi si ama è un gesto rischioso – si dice che lo faranno andare via. Le donne che lavorano mentre i mariti restano a casa a Jeju, le statue falliche di Haesindang Park, i regali di Spam a Chuseok: ogni dettaglio ha un significato, ogni gesto un retroscena.


Il volto umano dietro al Paese perfetto

Ma forse, la cosa più bella da scoprire sulla Corea del Sud non è nei dati o nelle curiosità folkloristiche. È nelle persone. Nei ragazzi che si scambiano abbracci anche tra amici dello stesso sesso, nei fan che piangono quando il loro idolo parte per il servizio militare obbligatorio, nelle nonne che preparano kimchi per tutto l’inverno, nei padri silenziosi che si commuovono di nascosto davanti a una vittoria sportiva.

È in quella capacità di unire la leggerezza e la profondità, la tradizione e l’innovazione, il rispetto per gli altri e il sogno personale. La Corea è complessa, viva, affascinante. Non è perfetta. Ma proprio per questo, è straordinariamente vera.


E tu? Quante di queste cose sapevi già? Quante ti hanno sorpreso?

Forse non visiteremo mai ogni angolo di questa terra. Ma ogni volta che ascoltiamo una canzone, che ci emozioniamo per una scena, o che sorridiamo davanti a una ciotola di ramen… un pezzetto di Corea del Sud arriva fino a noi.
E ci resta dentro.

 Fonte: https://ling-app.com/ko/facts-about-south-korea/

La lunga storia della Corea: tra regni, guerre e una divisione che ancora fa male

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C’è una domanda che mi sono posta spesso guardando certi K-drama ambientati nel passato, quelli in cui le principesse sognano la libertà e i principi combattono contro il destino: che fine hanno fatto quei regni? Com’è possibile che dalla grandiosità delle corti reali e dalle alleanze di sangue, oggi siamo arrivati a due Coree separate da un confine invalicabile?

Se anche tu ti sei chiestə dove tutto sia iniziato, perché Nord e Sud siano diventati due mondi così diversi e cosa ci sia stato prima degli imperatori, delle dittature e del K-pop, allora fermati un attimo. Questo viaggio nella storia della penisola coreana non sarà una lezione noiosa: sarà come sfogliare un racconto epico, fatto di civiltà perdute, invasioni, culture che si intrecciano e scelte che hanno segnato per sempre un popolo.


Le origini: quando tutto era ancora silenzio

La storia della Corea inizia molto prima che si possa parlare di “Korea”. Si perde nella nebbia del tempo, tra caverne abitate 700.000 anni fa, durante il Paleolitico inferiore, e popoli che cucinavano accanto al fuoco con utensili in pietra. Poi vennero le prime coltivazioni di miglio e riso, la ceramica con motivi a pettine — una delle espressioni artistiche più antiche del Neolitico coreano — e i primi villaggi stabili. In quelle comunità si iniziava già a percepire l’importanza dei legami, della condivisione, della sopravvivenza collettiva.

Poi arrivò il bronzo. E con il bronzo, il potere.

Nacquero i primi clan forti, che si unirono sotto capi carismatici capaci di guidare non solo la guerra, ma anche la vita spirituale della gente. Fu in questo contesto che nacque Gojoseon, il primo regno coreano, nel 2333 a.C., secondo la leggenda fondato da Dangun, disceso dal cielo. La sua capitale era nell’attuale Pyongyang, e per la prima volta, la penisola coreana assunse un’identità precisa, distinta da quella dei vicini cinesi.


L’eco degli imperi: quando la Cina bussò alla porta

Con il tempo, i rapporti con la Cina si fecero più intensi e più pericolosi. Il regno di Gojoseon cominciò a interferire nei commerci tra la Cina e le popolazioni limitrofe, e questo portò inevitabilmente allo scontro. Alla fine, Gojoseon cadde nel 108 a.C., sotto l’attacco della dinastia Han, ma non senza aver lasciato il segno. Dalle sue ceneri, e dall’influenza cinese che filtrava attraverso le colonie, nacquero nuove strutture sociali, nuovi modelli politici, e soprattutto un’identità culturale che non avrebbe mai smesso di evolversi.

Confucianesimo, scrittura con caratteri cinesi, burocrazia statale: tutto ciò che ancora oggi riconosciamo come “asiatico” ha iniziato ad attecchire proprio in quel periodo, preparando il terreno per una delle fasi più affascinanti della storia coreana: quella dei Tre Regni.


Tre regni, un’identità in costruzione

Quando si parla dei Tre Regni di Corea — Goguryeo, Baekje e Silla — non si parla solo di confini e battaglie. Si parla di tre anime diverse che cercavano, ciascuna a modo suo, di affermare la propria idea di civiltà.

Goguryeo, il più vasto, era il regno guerriero. Fondato da un principe rifugiato, Chumong, nel 37 a.C., si espanse dalla Manciuria fino al nord della Corea. Fu il primo ad adottare il confucianesimo su scala statale, fondando la prima accademia nazionale nel 372, e a dichiarare il buddhismo religione ufficiale. Ma fu anche il primo a cadere, nel 668, sotto l’attacco congiunto della dinastia cinese Tang e del regno di Silla.

Baekje, fondato poco dopo, era il regno raffinato, spirituale, con forti legami con il Giappone. La sua cultura, ispirata anch’essa dal buddhismo e dal confucianesimo, si irradiò fino alle isole nipponiche, influenzando profondamente l’arte, la scrittura e la religione dei futuri samurai. Ma la fragilità interna e le alleanze sbagliate portarono anche qui alla caduta, sempre per mano di Silla e Tang.

E poi c’era Silla, il più piccolo dei tre, ma il più strategico. Lento a svilupparsi, ma inesorabile. Fu l’unico regno capace di allearsi con la Cina e di usare la diplomazia per sopravvivere. Fu proprio Silla a unificare, almeno per un periodo, tutta la penisola coreana.

L’età dell’oro... e del declino: il Silla unificato

Quando nel 668 Silla riuscì a conquistare gli altri due regni, con l’aiuto della Cina Tang, sembrava l’inizio di una nuova era. Per la prima volta, la penisola coreana era davvero unificata. Fu un periodo di incredibile fermento: il buddhismo divenne religione ufficiale, i commerci con la Cina si intensificarono, le arti fiorirono. Le vie del mare e della seta portavano ceramiche, sete, libri e idee. La cultura coreana si stava plasmando come qualcosa di unico.

Ma il sogno non durò per sempre.

Il sistema di caste ereditario, basato sul cosiddetto “bone rank”, cominciò a logorare il tessuto sociale. Le famiglie più potenti monopolizzavano il potere, lasciando fuori dalla scena le nuove forze emergenti. La tensione crebbe. Scoppiarono rivolte. E quando Silla cadde, lasciò un vuoto che sarebbe stato presto riempito da una nuova dinastia: Goryeo.


Il regno di Goryeo: nascita del nome "Korea"

Fondata nel 918, la dinastia Goryeo diede il nome che oggi conosciamo: Korea è l’occidentalizzazione proprio di “Goryeo”. Fu un periodo di innovazione e cultura straordinaria. Si rafforzò l’amministrazione centrale, il buddhismo divenne ancora più radicato, e vennero realizzati capolavori come il Tripitaka Koreana — un’impressionante collezione di testi buddhisti incisi su oltre 80.000 tavolette in legno — e la prima stampa metallica del mondo.

Ma anche qui, l’equilibrio si ruppe.

Nel XIII secolo arrivarono i Mongoli. Attaccarono, dominarono, e lasciarono cicatrici profonde. Dopo decenni di resistenza e compromessi, la dinastia Goryeo riuscì a sopravvivere, ma ne uscì indebolita. Quando il vento politico cambiò e i legami con i Mongoli diventarono un peso, un nuovo leader colse l’occasione.


Joseon: l’ultima dinastia e la nascita di Hangul

Nel 1392, Yi Seong-gye, un generale ribelle, fondò la dinastia Joseon, che avrebbe governato per oltre cinque secoli. È una delle dinastie più longeve della storia asiatica.

Joseon non fu solo un’epoca di potere, ma anche di rinascita culturale. Sotto il regno di Re Sejong, nel 1443, fu creato l’Hangul, l’alfabeto coreano, per permettere anche ai contadini di leggere e scrivere. Era un gesto rivoluzionario. Una lingua per il popolo, semplice ma elegante. Ancora oggi è uno dei simboli più forti dell’identità coreana.

La dinastia Joseon però affrontò anche molte sfide: invasioni giapponesi, minacce interne, rivolte contadine e una modernizzazione difficile da accettare.


Le ombre del colonialismo: la ferita giapponese

Nel XIX secolo, mentre l’Europa correva verso l’industrializzazione e le potenze mondiali si spartivano territori, la Corea rimase isolata, incerta sul futuro. Le pressioni arrivavano da ogni parte: la Francia, gli Stati Uniti, e soprattutto il Giappone. Dopo aver vinto la guerra contro la Cina e la Russia, il Giappone mise gli occhi sulla penisola coreana e nel 1910 annesse ufficialmente la Corea.

Iniziò un periodo buio. La lingua coreana fu vietata. I nomi coreani furono cambiati con quelli giapponesi. La cultura venne repressa. Le risorse sfruttate. I bambini coreani costretti a imparare storie che non erano le loro.

Ma il cuore del popolo non si spense.

Nel 1919, migliaia di coreani scesero in strada in quella che fu chiamata la Marcia del Primo Marzo: una protesta pacifica soffocata nel sangue. Ma da lì nacque una nuova consapevolezza. Un’identità che non poteva più essere cancellata.


La divisione: quando un confine taglia un popolo

La liberazione arrivò nel 1945, con la fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma la gioia fu presto oscurata da un altro destino: la divisione.

Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si spartirono temporaneamente la Corea lungo il 38° parallelo. Il Nord venne affidato ai sovietici, il Sud agli americani. Doveva essere una soluzione momentanea. Ma la Guerra Fredda rese quel confine permanente.

Nel 1948 nacquero due Coree: la Repubblica di Corea a Sud, guidata da Syngman Rhee, e la Repubblica Popolare Democratica di Corea a Nord, sotto Kim Il-sung.

Due ideologie, due visioni, due popoli fratelli separati.


Guerra di Corea: il dolore della separazione

Nel 1950, il Nord invase il Sud. Iniziò la Guerra di Corea, uno dei conflitti più sanguinosi del XX secolo. Si calcolano almeno 2,5 milioni di morti. Le città furono rase al suolo. Famiglie divise. Bambini cresciuti senza conoscere i propri genitori o fratelli.

Nel 1953 si firmò un armistizio, non un trattato di pace. E ancora oggi, tecnicamente, le due Coree sono in guerra.

La DMZ, la zona demilitarizzata, è lunga 250 km. Un confine armato, surreale, che separa due mondi nati dallo stesso sangue.

Due Coree, un solo cuore?

Oggi, la Corea del Sud è una potenza economica, patria di tecnologia, innovazione e di quella cultura pop che ha conquistato il mondo intero. Dietro i colori del K-pop e il luccichio dei drama, però, c’è una storia fatta di resistenza, orgoglio e ricostruzione. Un Paese che ha scelto di investire nell’educazione, nei sogni, nella propria lingua, nei propri simboli.

Dall’altra parte del confine, il Nord resta un mondo chiuso, misterioso, dove la libertà è un privilegio negato, la propaganda una realtà quotidiana e il volto dei leader si impone ovunque. Una nazione congelata nel tempo, che guarda ancora al passato come unica via per giustificare il presente.

Eppure, in mezzo a tutto questo, c’è qualcosa che non muore: l’appartenenza.

Ogni tanto, i due presidenti si stringono la mano. Ogni tanto, le famiglie divise da decenni riescono a rivedersi, anche solo per pochi minuti. Ogni tanto, qualche canzone riesce a passare la linea invisibile del 38° parallelo. Non sono miracoli, ma piccole crepe in un muro altissimo.


La storia non è solo passato

Studiare la storia della Corea non significa soltanto imparare date o ricordare guerre. Significa capire quanto possa essere fragile una nazione, quanto una lingua possa diventare simbolo di resistenza, quanto una cultura possa sopravvivere anche alle invasioni più feroci. E quanto, a volte, un popolo intero possa trovarsi diviso non per scelta propria, ma per i giochi di potere altrui.

Guardare un drama in costume, leggere un manga storico, ascoltare una canzone che parla di libertà: tutto questo oggi assume un significato diverso, più profondo, se ci si ferma a pensare.

La Corea è una terra che non ha mai smesso di lottare per la propria identità. E forse è proprio per questo che oggi la sua voce, la sua arte e la sua bellezza riescono a farsi sentire ovunque, con tanta forza.

Anche se due bandiere sventolano ancora su due lati diversi della stessa penisola… il cuore, in fondo, è uno solo.

Fonte: https://ling-app.com/ko/history-of-korea/