Ci sono temi che scopri un po’ per caso, magari leggendo un articolo qua e là, e improvvisamente ti ritrovi a chiederti: “Ma davvero succede ancora?” La questione delle punizioni corporali in Corea del Sud è uno di questi. Un argomento scomodo, pieno di contraddizioni, e incredibilmente rivelatore di un paese che vive in bilico tra tradizione e modernità, tra autorità e diritti, tra il “si è sempre fatto così” e il tentativo costante di cambiare rotta. Quando parliamo di punizioni corporali, non parliamo solo di scuole rigide o genitori severi: parliamo di un intero modo di percepire l’educazione, l’autorità, il rispetto. Parliamo di maestri che un tempo erano venerati e che oggi si ritrovano allo stremo; di famiglie che si dividono tra chi rivendica la “mano ferma” e chi non la ritiene più accettabile; di bambini intrappolati in un sistema che ancora oscilla tra vecchio e nuovo. È un viaggio scomodo, sì. Ma è necessario per capire un pezzo importante della società coreana che spesso, attraverso i drama, vediamo solo nella sua veste più delicata, romantica o patinata.
