Ci sono sapori che parlano una lingua universale. Anche se non li conosci, anche se non li hai mai assaggiati, appena li provi… li capisci. Il gim — o 김 — è uno di questi. Un semplice foglio nero e lucido che scricchiola tra i denti come carta bruciacchiata, e che sa di mare, di casa, di storia. In Corea è molto più di un ingrediente: è un rito quotidiano, un simbolo nazionale, un’eredità preziosa che ha attraversato secoli, guerre, e rivoluzioni alimentari. E adesso, finalmente, è pronto a farsi conoscere dal resto del mondo.
Dalla roccia al piatto: il viaggio affascinante dell’alga
Per i coreani, il gim è un compagno fedele della tavola. Si mangia arrostito, condito, sbriciolato, fritto, bollito. Si accompagna al riso, alle zuppe, ai noodle. È uno degli alimenti più esportati del paese, secondo solo al tonno, e ha persino guadagnato il soprannome affettuoso di “semiconduttore del mare” per la sua diffusione globale. Eppure, per molti occidentali, l’alga resta ancora un mistero. Una “carta nera” dal sapore indefinito, da cui in passato si rifuggiva, ma che oggi comincia a conquistare i palati più curiosi come snack sano e leggerissimo, ricco di micronutrienti e povero di calorie.
In Corea, il gim si presenta come sottili fogli scuri che, una volta tostati con olio di sesamo o perilla e un pizzico di sale, diventano croccanti e irresistibili. La tradizione vuole che si serva con il riso, magari arrotolato in piccoli rotolini, oppure sbriciolato su verdure saltate, zuppe o palline di riso. Esistono anche versioni più elaborate: il gimjaban, condito con salsa di soia; il gimbugak, fritto con farina di riso glutinoso; e la zuppa di gim, un piatto delicato che scalda l’anima.
Ma il gim è solo una delle tante varietà di alga rossa appartenente al genere Porphyra. Nel mondo ne esistono almeno settanta, molte delle quali crescono spontanee in aree costiere di Galles, Scozia e Irlanda. Qui prende il nome di laverbread — il “caviale gallese” — una purea scura ottenuta bollendo a lungo le alghe, impanandole nella farina d’avena e friggendole nel grasso di pancetta. Non è proprio pane, ma resta un alimento simbolo per le popolazioni di mare.
Il segreto del gusto perfetto? L’umami moltiplicato
C’è un detto coreano che recita: “Se metti la polvere di gim in una zuppa, stai barando.” È una battuta, certo, ma svela una verità profonda: il gim ha il potere di trasformare qualsiasi piatto in un capolavoro di sapore.
Il merito va al trio magico dell’umami: acido glutammico, acido inosinico e acido guanilico. Queste tre sostanze, insieme, non sommano il gusto... lo moltiplicano. In pratica, bastano piccole dosi per creare esplosioni di sapore che non hanno bisogno di sale o aromi artificiali. E il gim li contiene tutti e tre. Ecco perché, anche solo una spolverata, può fare la differenza tra un brodo mediocre e una sinfonia di sapori.
Ma non è solo questione di gusto. Il gim è anche dolce. Contiene zuccheri liberi naturali che lo rendono piacevolmente delicato. Ecco perché, quando lo assaggi, senti qualcosa di più del semplice “sapore di mare”.
Tradizione, evoluzione e un pizzico di scienza
Il gim ha una storia antica, ma la sua coltivazione scientifica è sorprendentemente recente. Per secoli, i pescatori coreani aspettavano che le spore dell’alga si attaccassero da sole alle conchiglie o alle rocce. Solo alla fine degli anni ’40, una biologa britannica — Kathleen Mary Drew-Baker — scoprì il ciclo vitale completo del gim, rendendo possibile la coltivazione controllata. In Giappone, è ricordata come la “Madre del Mare”. Grazie a lei, la Corea, il Giappone e la Cina sono oggi i tre principali produttori mondiali.
La coltivazione moderna si è evoluta: prima si usavano pali piantati nei fondali per far crescere le alghe come in natura, oggi si preferiscono reti galleggianti in mare aperto. Il raccolto avviene da novembre a febbraio, e anche se ormai si usano essiccatori industriali, alcune comunità conservano la tradizione dell’essiccazione al sole.
Un concentrato di micronutrienti
Tre grammi di gim — un singolo foglio — bastano per regalarti un concentrato di vitamine e sali minerali. Anche se non è sufficiente come fonte primaria di proteine, è dieci volte più ricco di minerali rispetto alle piante terrestri. Contiene beta-carotene, vitamina C, E, B12, ferro, acidi grassi omega-3 e, soprattutto, iodio. Un tempo, in Galles, le madri dicevano ai figli: “Se non vuoi avere il collo gonfio come quelli del Derbyshire, mangia il pane d’alga.” Era un modo per prevenire il gozzo da carenza di iodio nelle zone lontane dal mare.
Inoltre, il gim è ricco di porphyran, una sostanza che protegge le alghe dagli sbalzi di marea, dal sale e dai raggi UV. Nell’intestino umano, si comporta da fibra alimentare, aiuta il sistema immunitario e ha proprietà anticancerogene. È affascinante pensare che ciò che salva l’alga nel suo ambiente estremo... può salvare anche noi.
Il cuore del kimbap e l’anima di uno snack
Forse il modo più noto in cui il gim si è fatto amare nel mondo è il kimbap: un rotolo perfetto dove il riso bianco, le verdure colorate, la frittata e magari un tocco di carne vengono avvolti nel foglio nero lucido dell’alga. È uno dei cibi da asporto più amati in Corea, lo trovi ovunque: nei lunchbox, nei picnic, negli zaini degli studenti. Eppure ogni morso sa di equilibrio, di armonia, di quella semplicità raffinata che solo la cucina coreana sa regalare.
Ma il gim sa anche reinventarsi. A primavera, quando inizia a perdere sapore, viene trasformato in crackers croccanti impastati con farina di riso glutinoso e fritti. In inverno, accompagna zuppe e piatti caldi. E oggi si trova anche in mille forme moderne: chips, snack salati, bastoncini croccanti... un ponte tra tradizione e innovazione.
Un’alga che unisce i mondi
Mangiare gim, oggi, è come sfogliare un libro che racconta storie di mare, di fatica, di scoperta. Ma anche di donne e uomini che, da una costa all’altra, hanno condiviso saperi, tentativi, fallimenti e successi. È cibo che parla di connessione. Di come qualcosa che nasce attaccato a una roccia possa arrivare sulla tavola di qualcuno dall’altra parte del mondo.
E forse è proprio questo il suo potere. Ricordarci che, anche se veniamo da posti diversi, esiste un gusto capace di farci sentire un po’ più vicini.
Fonte: https://mymileshinesmile.blogspot.com/2024/01/the-story-of-korean-seaweed.html