Ci sono cibi che non nascono per essere amati al primo assaggio. Hanno bisogno di tempo, pazienza, lentezza. Come certe persone che si fanno conoscere piano, ma poi ti restano dentro per sempre. Uno di questi è il siraegi (시래기): foglie di ravanello o cavolo essiccate, sopravvissute al gelo dell’inverno coreano, che portano in tavola un sapore antico, quasi dimenticato. Un sapore che sa di sopravvivenza, di ingegno, di stagioni che passano e che ritornano.
In Corea, il ravanello non è solo un contorno: è un compagno fedele del riso, una radice che ha sfamato generazioni intere. Non esiste tavola tradizionale senza almeno una pietanza a base di mu (무), il ravanello coreano. Non è il “daikon” giapponese, lungo e delicato, ma un ortaggio più tozzo, dalla pelle verde vicino al gambo e dal carattere deciso. Un radicchio che si fa rispettare. In inverno, quando le verdure scarseggiavano e la fame bussava alle porte, era lui a garantire il fabbisogno di vitamina C. Ed è per questo che lo chiamavano “il ginseng d’inverno”.
Il dono del gelo: quando la povertà crea sapori indimenticabili
Il siraegi nasce così: foglie che sembrano scarti, lasciate dopo la preparazione del kimchi, esposte a pioggia, vento e gelo. Foglie che appaiono rugose, stropicciate, “brutte”. Eppure, se essiccate e poi bollite con pazienza, diventano morbide, saporite, nutrienti. Una volta, si lasciavano asciugare all’ombra, si spezzettavano, si bollivano insieme a un pugno di riso o farina, e quel poco diventava un pasto. Bastava a scaldare lo stomaco e dare speranza.
Oggi, quel sapore è tornato alla ribalta. I ristoranti lo propongono con orgoglio, gli chef lo esaltano. Ma la sua anima resta umile. Per apprezzare davvero il siraegi bisogna mangiarlo più volte, superare lo shock iniziale dell’odore sulfureo che si sprigiona durante la cottura. Serve tempo, come per i ricordi d’infanzia che all’inizio fanno male e poi diventano teneri. È un gusto che si svela lentamente, e quando lo fa… non lo dimentichi più.
Primavera: il momento in cui il siraegi torna a casa
Il siraegi, ammorbidito da tre cicli di congelamento e scongelamento, si trasforma. Si sposa perfettamente con il brodo d’acciuga o d’anguilla, con la pasta di soia, con l’aglio e il peperoncino. Non ha bisogno di carne per sembrare carne. Il suo sapore umami, dato dall’acido glutammico e dai composti solforati, è lo stesso che si trova nella carne, ed è per questo che sorprende: è vegetale, ma sa di sostanza.
Nella cucina tradizionale coreana, siraegi-namul (foglie saltate con carne e condimenti), siraegi-jijim, e zuppe con brodo di manzo si servono durante la prima luna piena dell’anno lunare. In quei giorni si prepara anche il muknamul: verdure secche come zucca, felce, assenzio e melanzane, che si fanno bollire e si condiscono. Un rituale antico, che profuma di eredità e di stagioni.
Il campo di battaglia e il campo di ravanelli
Yanggu, nella regione montuosa del Gangwon-do, è oggi sinonimo di siraegi di altissima qualità. Ma un tempo, questa zona era un teatro di guerra. Il suo soprannome, Punch Bowl, fu coniato da un giornalista americano durante la guerra di Corea: la sua forma concava ricordava una coppa per punch. Oggi, quel nome evoca un’altra battaglia, più silenziosa e tenace: quella delle foglie che lottano contro il freddo per diventare più dolci, più forti, più saporite.
In inverno, il gelo non uccide: trasforma. Riduce l’acqua nelle foglie, aumenta zuccheri e aminoacidi. Il ravanello diventa più dolce, più tenero. Anche il kimchi fatto in inverno, con cavoli e ravanelli raccolti in quelle condizioni, è più buono. Lo stesso accade con il siraegi: il freddo è il suo segreto.
Dalle montagne a Jeju: il viaggio del ravanello
Il ravanello coreano cresce ovunque, ma il più celebre è quello invernale di Jeju, l’isola del sud. Qui il clima mite lo rende perfetto: le notti non scendono sotto lo zero, e le radici maturano in un equilibrio dolce tra caldo e freddo. Durante il giorno, la fotosintesi crea amido; la notte, per sopravvivere, lo converte in zucchero. E così la natura trasforma il bisogno in dolcezza.
Radici così preziose che vengono esportate negli Stati Uniti, lavate e confezionate. In estate, invece, si coltiva in alta montagna, dove le temperature restano fresche. Un equilibrio delicato che mostra quanto amore e cura servano per far nascere un semplice ravanello.
Quando il ravanello si fa estate: il yeolmu e il naengmyeon
Il ravanello non è solo invernale. D’estate, arriva il yeolmu (giovane ravanello), croccante e rinfrescante. Il suo kimchi, servito con brodo ghiacciato e somyeon (spaghetti di grano), è la risposta coreana alla calura estiva. Un piatto semplice, venduto anche nei chioschi per strada, che sa di libertà e sollievo.
Anche il naengmyeon, spaghetti freddi di grano saraceno, non può fare a meno del ravanello. Affettato, condito con aceto, zucchero, sale e peperoncino, il mu diventa il contrasto perfetto con carne e cetriolo. E qui la tradizione incontra la scienza: l’enzima della radice neutralizza le tossine del grano saraceno. Nulla è lasciato al caso.
La semplicità che salva: kkakdugi e i piatti poveri che ci rendono ricchi
C’è poi il kkakdugi, il kimchi di ravanello a cubetti. Facile da preparare, quasi istintivo. Bastano sale, salsa d’acciuga, pasta di riso glutinoso e un po’ di cipollotto. In due giorni è pronto. Ed è perfetto con zuppe di carne: digeribile, gustoso, sincero. Come una madre che non si lamenta mai ma sa sempre come aiutarti a stare meglio.
Nelle zone costiere del sud, come Tongyeong, si mette perfino un intero pesce (il bolak) nel kimchi di ravanello. All’inizio l’odore spaventa. Ma dopo due mesi di fermentazione, diventa poesia. Le spine si ammorbidiscono, la carne resta soda, il gusto è indimenticabile. Sembra un piatto di pesce più che un kimchi. E con una ciotola di riso caldo, sparisce in un attimo.
Il mondo intero ha sempre saputo che il cibo non si spreca
Persino in Puglia, i gambi di rapa vengono messi nelle orecchiette. Con olio, aglio, formaggio e pinoli diventano pesto. Crudi, hanno un sapore pungente. Ma se li si cucina bene, sanno di casa. Come il siraegi, che una volta era cibo dei poveri e oggi è diventato un tesoro gastronomico. Un po’ come la polenta: da pasto contadino a piatto da gourmet.
E forse è proprio questo il segreto di certi cibi: sono lo specchio di ciò che siamo stati, del coraggio che abbiamo avuto, della semplicità che ci ha salvati. Il siraegi, il ravanello invernale, il kkakdugi: sono più di ingredienti. Sono memoria, resistenza, amore. Sono la prova che anche ciò che sembra scarto può diventare delizia. Basta avere pazienza. Basta sapere aspettare.
Fonte:
- https://mymileshinesmile.blogspot.com/2024/01/siraegi-flavor-of-winter-in-korea.html
- https://mymileshinesmile.blogspot.com/2024/01/korean-radish-story.html
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