7 settembre 2025

In stand-by (ma non per sempre)

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Prima di tutto, voglio ringraziarvi per le tantissime visualizzazioni che il blog ha ricevuto di recente. In questi 7 anni ho sempre avuto lettori “fantasma” e pochissime interazioni, così a un certo punto ho smesso di preoccuparmene e ho continuato semplicemente a fare ciò che amo: scrivere. Ma oggi, dopo alcuni giorni di assenza, sono tornata sul blog e ho trovato un numero enorme di nuove visite. Non vi nascondo che mi è scappato un grande sorriso. A chiunque sia capitato qui per caso e abbia letto anche solo uno dei miei pezzi: grazie, davvero, dal profondo del cuore. Spero che vi siano piaciuti. Non so se questa sia solo una fase (e chi segue il blog sa che di fasi ne ha avute tante :'D), ma vi sono grata comunque per ogni singola visita.

Tornando a me: sono agli ultimi passi del mio percorso universitario. Avete presente quando dite “manca la tesi e un paio di esami” e poi i mesi iniziano a sembrare anni? Ecco, sono esattamente in quel punto della mia vita. Sto lasciando un po’ da parte tutto il resto per concentrarmi sulla tesi, sugli ultimi due esami (ovviamente i più pesanti li ho tenuti per la fine) e sull’obiettivo di laurearmi entro aprile 2026, senza andare fuori corso. I mesi sembrano tanti, ma allo stesso tempo passano e non passano, corrono e si fermano. Questa estate, ad esempio, mi è sembrata durare un attimo e un’eternità insieme.

Detto questo, non credo che i miei deliri accademici vi interessino più di tanto. Questa piccola comunicazione era solo per dirvi che, per oggi, questo sarà l’ultimo post che pubblico sul blog. Non sono riuscita a finire i pezzi che avevo già iniziato e non voglio lasciarli a metà: preferisco proporvi contenuti completi, rifiniti come piace a me. Ho sempre tante idee e tanto di cui parlare, quindi quando tornerò vi troverete letteralmente sommersi di nuovi contenuti! Per ora però metto tutto in stand-by: prima viene la laurea, poi si vedrà. Tornerò, questo è sicuro, ma non so ancora quando. A chi mi segue: mi farebbe piacere se aveste la pazienza di aspettarmi. In tal caso, popolo del web, ci rivediamo presto su questi schermi!

6 settembre 2025

Contro il destino, con amore: la fiaba capovolta di Gyeon Woo and Fairy

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 ATTENZIONE: QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER

L'incipit

Ci sono ragazzi che vivono in luoghi oscuri e freddi. Ragazzi nati in contesti diversi, a cui non è concesso ciò che per altri è scontato. Ragazzi che sognano solo una vita normale, come quella di tutti gli altri.

E poi c’è lei, Seon Nyeo. Di giorno una normale liceale, di notte una sciamana. Condivide il suo destino con gli spiriti, ma davanti a quel fato, stringe sempre i pugni e i denti. Una vita diversa? Va bene. Ci ha fatto l’abitudine.

E poi c’è lui, Gyeon Woo. Un ragazzo dalla bellezza sconvolgente, con un’aura quasi irreale e un fascino fuori dal comune. Eppure… la sua vita è come una candela tremante nel vento, perché la sfortuna lo afferra alla gola. Non ha mai ricevuto amore e per questo ha deciso che non ne darà a nessuno.

Un giorno, Seon Nyeo lo vede arrivare Cammina verso di lei… ma al contrario. Chi appare capovolto agli occhi di una sciamana è destinato a morire presto. Eppure, in quell’istante, a soli diciott’anni, lei fa una promessa incrollabile: sfiderà il destino, a qualunque costo. Lo salverà, in un modo o nell’altro. Perché quell’amore, piombato come un fulmine, è il suo primo amore. È il suo Gyeon Woo. Questa è la storia di Gyeon Woo e Seon Nyeo. La storia di un primo amore che combatte il destino, che spezza la sfortuna, che disperde il buio… e finalmente brilla, senza più nemmeno un’ombra.

5 settembre 2025

sporcarsi per sentirsi vivi

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Non so bene come descriverlo. Forse è proprio uno di quegli eventi che non puoi spiegare davvero finché non li vivi.

Un'esplosione di colori e schizzi, di pelle ricoperta di grigio, di sorrisi larghi che sanno di libertà. Il Boryeong Mud Festival non è solo una celebrazione del fango: è una sfida aperta al grigiore della routine, un invito a tornare bambini, a scivolare e ridere senza preoccuparsi di come appari.

Tutto ha avuto inizio nel 1998, e chi l’avrebbe mai detto che un’idea promozionale si sarebbe trasformata in una delle esperienze estive più iconiche della Corea del Sud? Boryeong, cittadina affacciata sulla costa occidentale, non era famosa. Ma aveva un tesoro: il suo fango. Ricco di minerali, utilizzato nei cosmetici, utile per la pelle. Così, invece di limitarsi a venderlo, hanno pensato di trasformarlo in un gioco. E da lì, ogni estate, migliaia di persone si danno appuntamento per… tuffarsi nel fango. Letteralmente.

E quando dico “letteralmente”, intendo proprio tutto. Piscine di fango, scivoli di fango, lotte nel fango. Maschere facciali, gare di body painting, persino una corsa a ostacoli scivolosa e imprevedibile. E poi c’è la “Mud Prison”, dove finisci per farti “punire” se non sei abbastanza sporco. È tutto così surreale da risultare irresistibile.

Ma questo festival non è solo goliardia. C’è un’organizzazione impeccabile dietro. Un palinsesto curato, attività pensate per tutte le età (sì, anche i bambini hanno la loro zona), e un’attenzione all’inclusività che rende l’evento accessibile anche ai turisti internazionali. Tutto è studiato per far sentire ognuno parte di qualcosa di più grande, anche solo per un weekend.

Di sera, poi, l’energia cambia. Il sole lascia spazio alle luci colorate e l’aria si riempie di musica. Concerti, DJ set, spettacoli pirotecnici. Il Boryeong Mud Festival si trasforma in una vera e propria festa sulla spiaggia, con lo sfondo dell’oceano e il cuore ancora sporco di fango ma pieno di emozioni.

C’è qualcosa di terapeutico in tutto questo. Qualcosa che va oltre il divertimento. Forse è il fatto di lasciarsi andare, di non dover essere “presentabili”, di non dover mantenere le apparenze. Per un attimo, ci si sporca per purificarsi. E si ride. Tanto.

E alla fine, anche se ti lavi via il fango, ti rimane addosso qualcosa. Una sensazione, una libertà, una voglia di vivere più intensamente.
Perché sì, a volte basta davvero poco per sentirsi di nuovo vivi. Basta anche solo... una manciata di fango.


Fonti
https://ling-app.com/blog/boryeong-mud-festival/

4 settembre 2025

La terra delle quotes - 206

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  1. L’ho capito dopo un paio di capitoli. La vita non è un libro con una fine, ma un quaderno che devo compilare io stessa. Se c’è una pagina bianca, non è la fine, ma un nuovo inizio. E’ la prima pagina della storia che devo ancora scrivere. Ci saranno sicuramente svolte inaspettate lungo il percorso ma continuerò a cercare una traccia di felicità e continuerò a scrivere finché non avrò riempito ogni pagina. – Our Unwritten Seoul (2025)
  2. Il mondo non è fatto solo di bianco o nero. Se una cosa cambia, tutto ciò che le è collegato cambia con lei. - Law And The City (2025)
  3. In questo momento, proprio come in questo tunnel, la vita può sembrare soffocante e senza via d’uscita. Ma dicono che un tunnel è il percorso più breve verso la tappa successiva. Se non attraversi questo tunnel lungo e buio, dovrai fare tutto il giro della montagna. - Oh My Ghost Clients (2025)
  4. Non siamo cavalli. Siamo esseri umani. Gli esseri umani sono… - Squid Game 3 (2025)
  5. Piuttosto che essere frainteso e finire per stare peggio che con degli estranei, preferisco stare da solo. Non voglio più avvicinarmi a nessuno. - The First Night with the Duke (2025)
  6. Non ci avevo mai pensato prima. Ma condividere il calore reciproco… dev’essere questo che chiamano amore. - The First Night with the Duke (2025)
  7. In questo mondo, nulla è scolpito nella pietra. Esiste solo questo preciso momento. - The First Night with the Duke (2025)
  8. Vita e morte sono una coppia. Proprio come l’amore e il dolore. - The First Night with the Duke (2025)
  9. Tutti muoiono. Prima di quello, invecchiamo. E prima ancora, siamo giovani. Facciamo pasticci, ci mettiamo nei guai, ci innamoriamo a caso, baciamo qualcuno, ce ne pentiamo. È così che va. - Our Movie (2025)
  10. Se costruisci un muro attorno al cuore, anche se l’amore prova ad abbatterlo, potresti non accorgertene. È triste, ma succede spesso. - Our Movie (2025)
  11. È solo immaturità riversare il proprio cuore su qualsiasi cosa sembri amore. Quando è tutto sfocato, serve lucidità. - Our Movie (2025)
  12. Quasi sempre, se ti stai chiedendo se è amore o no… significa che è già iniziato. - Our Movie (2025)
  13. Ogni notte prego di vivere. E quando mi sveglio penso: ‘Wow, ho guadagnato un altro giorno’. Poi subito dopo: ‘No, aspetta… forse oggi è l’ultimo’. - Our Movie (2025)
  14. I giocatori di basket devono essere alti. Quelli di calcio devono essere veloci. Chi dà testate deve avere la fronte dura. - The Nice Guy (2025)
  15. Volevo mollare tutto. Volevo cantare davanti agli altri, ma non ce la facevo. Però non potevo nemmeno rinunciare ai miei sogni. Perché se lo faccio, non mi resta più niente. - The Nice Guy (2025)

3 settembre 2025

Cartomanti, destino e Corea: il fascino antico della divinazione al femminile

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Ispirata dal drama Gyeon Woo and Fairy, che mi ha letteralmente stregato il cuore con la sua delicatezza e la sua magia, ho deciso di approfittarne per approfondire un tema molto poco discusso qui sul blog: la lettura delle carte.

Se nel tempo abbiamo parlato di sciamane, di possessioni, di riti ancestrali e spiritualità, non ci eravamo mai fermati davvero a riflettere sul ruolo delle donne che, in Corea, leggono il futuro. Quelle figure che, lontano dai riflettori, siedono in piccole stanze illuminate da luci rosse o si mescolano tra le bancarelle di un mercato notturno. Le cartomanti. Le chiromanti. Le lettrici di destino.

Perché sì, in Corea il destino si può leggere. E si legge in tanti modi diversi.

Uno dei più popolari è il Saju (사주), un’antica forma di divinazione basata sulla data e ora di nascita di una persona. In coreano, saju significa letteralmente “quattro colonne” e si riferisce ai quattro pilastri astrologici: anno, mese, giorno e ora di nascita. A partire da queste informazioni, il saju interpreta la vita di una persona – la personalità, la carriera, le relazioni, i momenti di difficoltà – secondo l’equilibrio dei cinque elementi (fuoco, acqua, terra, metallo, legno) e il ciclo dello yin e yang.

La lettura del saju può sembrare distante e impersonale, ma in realtà è profondamente connessa alla vita quotidiana di molti. Non è raro, infatti, che i genitori lo consultino per decidere il nome di un figlio, che i giovani lo interpellino prima di sostenere un colloquio, o che venga preso in considerazione nella scelta del partner. In un mondo iper-razionale e competitivo come quello coreano, dove tutto sembra dover avere una spiegazione logica, c’è ancora spazio per l’invisibile. Per qualcosa che ci sfugge.

E non è solo il saju. Anche la lettura delle carte, come i tarocchi, sta vivendo un periodo di grande popolarità. Basta passeggiare nei quartieri giovanili di Seoul, come Hongdae o Gangnam, per imbattersi in file di piccole stanze dove un cartello con su scritto “타로” (tarot) invita ad entrare. Le clienti sono in gran parte donne – giovani, spesso tra i venti e i trent’anni – che cercano conforto, risposte, una direzione. Chiedono dell’amore, del lavoro, della salute. A volte si siedono per gioco, altre volte con il cuore in subbuglio.

Molte di queste lettrici sono donne. Alcune sono sciamane moderne, altre semplici appassionate, ma tutte svolgono un ruolo importante, spesso non riconosciuto: quello di guida. Di sostegno. Di orecchio che ascolta senza giudicare.

Quello che colpisce non è tanto l’atto in sé del “predire il futuro”, ma il bisogno profondo di sentirsi capiti. Di trovare un filo rosso che tenga insieme i pezzi disordinati della propria vita. In un paese in cui la pressione sociale è altissima, il lavoro definisce l’identità e i rapporti personali sono spesso filtrati da gerarchie e aspettative, queste figure diventano piccoli porti sicuri. Luoghi in cui si può essere fragili, indecisi, vulnerabili. In cui si può piangere senza paura di apparire deboli.

Negli ultimi anni, la divinazione in Corea ha conosciuto una trasformazione. È uscita dai templi e dai mercati per entrare nel digitale: si prenota online, si paga con carta, si leggono i tarocchi via Zoom. Persino le grandi aziende stanno cavalcando l’onda, proponendo app e servizi a pagamento. Ma se cambia la forma, resta intatto il bisogno. Quello umano, eterno, di cercare una direzione.

C’è anche chi ne fa una questione di femminismo. In una società ancora patriarcale, in cui il successo delle donne è spesso messo in discussione, molte giovani coreane scelgono di affidarsi ad altre donne per farsi leggere le carte. Non perché ci credano ciecamente, ma perché sentono che lì, in quel piccolo gesto di cura e attenzione, si nasconde qualcosa di profondamente rivoluzionario: il diritto di chiedere. Di cercare. Di credere in qualcosa di più grande.

Io non so se il futuro si possa davvero prevedere. Ma so che ci sono momenti nella vita in cui ci sentiamo così persi da aver bisogno che qualcuno ci prenda per mano, anche solo per un istante, e ci dica: “Andrà tutto bene.” E se quella voce arriva da una sconosciuta in una stanza di carta e luci soffuse, poco importa. Perché forse, in quel momento, è tutto ciò che ci serve.


Fonti

  1. https://www.koreaherald.com/article/10432744
  2. https://creatrip.com/it/news/8638
  3. https://blog.naver.com/seraba/223108743860
  4. https://gretafabbio.wixsite.com/nabibim/post/le-chiromanti-coreane-conoscono-il-tuo-destino-il-saju-coreano

2 settembre 2025

Corea del Sud: guida alla beach etiquette coreana

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Lo so, siamo a settembre. L’estate volge al termine, le giornate si fanno più brevi e qualcuno ha già fatto il cambio di stagione. Ma il tempo per la spiaggia – per fortuna – non è ancora finito. E allora, complice il caldo persistente e quel pizzico di malinconia tipica di fine estate, ho deciso di portare sul blog un argomento che, sorprendentemente, non avevamo mai approfondito prima: la buona etichetta coreana su come vivere la spiaggia… da vero coreano.

Sì, perché anche quando si parla di mare e relax, la Corea ha il suo modo tutto particolare di approcciarsi al concetto di “estate”, fatto di norme implicite, differenze culturali e abitudini ben radicate. Non è solo una questione di costumi da bagno o teli da mare: è uno sguardo diverso sul corpo, sul tempo libero, sull’idea stessa di vacanza.

Cominciamo da un fatto che, per molti occidentali, può risultare spiazzante: in Corea non esiste il culto dell’abbronzatura. Anzi, il più delle volte si cerca in tutti i modi di evitarla. Cappelli, ombrelli, mascherine, occhiali da sole e persino maniche lunghe fanno parte dell’equipaggiamento standard anche nei giorni più afosi. La pelle chiara continua a essere considerata sinonimo di bellezza e delicatezza, e quindi ci si protegge. Sempre.

Allo stesso modo, i coreani non sono grandi fan del “mettersi in mostra” in spiaggia. A differenza di ciò che avviene in molte culture occidentali, dove il costume è spesso minimal e l’esibizione del corpo fa parte dell’esperienza estiva, in Corea si tende a coprire molto di più. Rash guard, pantaloncini lunghi, leggings da nuoto e t-shirt impermeabili sono la norma, anche per chi sa nuotare benissimo. E questo vale per uomini, donne, giovani e meno giovani. Non si tratta solo di pudore, ma anche di rispetto per gli altri e per sé stessi, e di una concezione del corpo più privata e protetta.

Un’altra cosa da sapere è che le spiagge coreane, soprattutto nei mesi centrali dell’estate, possono essere incredibilmente affollate. Le zone più famose, come Haeundae a Busan o Gwangalli, attirano turisti da tutto il paese. Ecco perché è fondamentale rispettare lo spazio altrui, non invadere le aree comuni e mantenere sempre un comportamento educato. Non troverete musica a tutto volume, tuffi spericolati o giochi rumorosi in acqua. Tutto è più silenzioso, controllato, e in qualche modo… composto.

Anche le regole sulle piscine pubbliche meritano una menzione. In molte strutture è obbligatorio indossare la cuffia, fare una doccia prima di entrare in acqua e indossare un costume adatto. In certi casi, è richiesto anche un certificato medico recente. E se pensate di poter sguazzare liberamente come in un parco acquatico occidentale… beh, forse è meglio rivedere le aspettative: anche qui, la parola d’ordine è moderazione.

Ma allora, come si rilassano davvero i coreani in spiaggia? La risposta è semplice: all’ombra. Letteralmente. Le spiagge sono punteggiate di grandi tende colorate, ombrelloni fittissimi e materassini gonfiabili su cui si riposa, si mangia, si conversa. Più che “fare il bagno”, spesso ci si gode la vista del mare stando seduti o sdraiati, bevendo qualcosa di fresco o assaporando uno dei tanti street food estivi disponibili sul posto. Per molti, il mare è una pausa dalla routine, non un’occasione per sfoggiare il fisico o tuffarsi per ore.

E parlando di cibo, va detto che picnic e delivery sono parte integrante dell’esperienza: non è raro vedere famiglie intere che si organizzano con pasti completi direttamente sotto l’ombrellone. I rifiuti vengono poi raccolti con ordine, lasciando la spiaggia pulita per chi verrà dopo.

Infine, c’è un aspetto culturale che mi ha colpita in modo particolare. In Corea, andare al mare non è solo un momento per sé stessi, ma spesso un’occasione per condividere. Si va con la famiglia, con gli amici, con i colleghi. Si scattano foto, si ride, si mangia insieme. C’è un forte senso di comunità, anche nei momenti di relax. E forse è proprio questo a rendere così diverso – e affascinante – il modo coreano di vivere la spiaggia.

Perciò, che tu stia ancora progettando una gita fuori porta o semplicemente stia già contando i giorni all’estate prossima, spero che questo piccolo viaggio tra le onde coreane ti abbia incuriosito tanto quanto ha incuriosito me. Perché, in fondo, ogni cultura ha un suo modo unico di avvicinarsi alla leggerezza. E conoscerlo ci insegna qualcosa in più non solo sugli altri… ma anche su noi stessi.


Fonti

  1. https://koreangirlexplains.com/swimming-pool-beach-etiquette-in-korea
  2. https://frenchmaninkorea.blogspot.com/2019/03/introduction-to-korean-beach-culture.html
  3. https://gwangjunewsgic.com/community/expat-living/swimming-in-korea/

1 settembre 2025

Quando l'amore ferisce: la genitorialità tossica nei K-Drama

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Ci sono temi che ritornano, silenziosi ma potenti, in molte delle storie che amiamo. Temi che ci colpiscono perché sanno parlare alla parte più nascosta di noi. La genitorialità tossica è uno di questi. Nei K-Drama, è come un’eco sommessa che risuona dietro le trame romantiche, gli intrecci scolastici e le battaglie interiori dei personaggi. Non sempre è protagonista, ma spesso è lì. Invisibile, ma presente. Ed è proprio questa presenza costante a renderla tanto rilevante.

Le serie coreane non hanno paura di mettere in scena il lato più oscuro dell’amore genitoriale. Mostrano famiglie apparentemente perfette che crollano sotto il peso delle aspettative, genitori che si trasformano in carnefici emotivi, figli che non possono essere altro che proiezioni di un sogno che non hanno scelto. È un ritratto duro, a volte difficile da guardare. Ma necessario. Perché attraverso quelle storie, molti spettatori ritrovano frammenti della propria.

Il volto severo dell'autorità

L’immagine del genitore autoritario è una delle più frequenti. Un volto serio, parole fredde, sguardi che non ammettono replica. Nei K-Drama, questo tipo di genitorialità assume spesso tratti estremi: padri e madri che controllano ogni aspetto della vita dei figli, imponendo scelte universitarie, carriere e perfino relazioni. I desideri dei figli? Relegati all’irrilevanza.

SKY Castle è il manifesto di questa visione. I genitori, ossessionati dal successo accademico, trasformano i loro figli in pedine di un gioco crudele, dove l’affetto è condizionato dai risultati e l’umanità sacrificata sull’altare dell’eccellenza. È un mondo che non lascia spazio all’errore. Dove un figlio che crolla non viene abbracciato, ma rimproverato. E la frattura che si crea non è solo familiare: è esistenziale.

Quando l’amore diventa ferita

Al di là del controllo, c’è anche qualcosa di più sottile, ma altrettanto devastante: l’abuso emotivo. I genitori, anziché proteggere, possono diventare la prima fonte di dolore. Nei K-Drama questo viene raccontato con coraggio. Madri e padri che gridano, umiliano, manipolano. Che mettono al primo posto se stessi, lasciando i figli a raccogliere i cocci di una fragilità che non è mai stata ascoltata.

Ci sono anche i genitori assenti, quelli che non ci sono proprio. Né fisicamente, né emotivamente. The Glory ne è un esempio incisivo: le famiglie dei bulli non solo chiudono gli occhi di fronte alla violenza dei propri figli, ma sono talvolta complici, quando non del tutto disinteressate. E la mancanza di una guida diventa lo specchio di una società che preferisce voltarsi dall’altra parte.

In Something in the Rain, invece, l’attenzione si sposta sul controllo affettivo: una madre che disapprova la relazione della figlia non per il suo bene, ma per mantenere il controllo sulla sua vita. E allora l’amore, quello vero, deve combattere contro le catene invisibili dell’approvazione familiare.

E poi c’è chi, come in Come and Hug Me, cresce con un padre che è l’incarnazione del male: un serial killer. Una realtà estrema che però simbolizza una verità più comune di quanto si pensi – che il dolore inflitto da chi dovrebbe amarci è il più difficile da superare.

La maschera del genitore perfetto

Toxic Parents (2023) racconta una storia diversa, ma complementare: quella di una madre che affronta il dolore più grande, la morte della figlia, e che indaga sul passato alla ricerca della verità. Ma ciò che emerge non è solo un mistero da risolvere: è il peso delle aspettative che, anche senza violenza, possono spezzare. Il genitore tossico, in questo caso, non è solo quello che urla. È anche quello che pretende in silenzio, che guarda con delusione, che non accetta la fragilità.

Riflessioni che lasciano il segno

Molti spettatori, guardando questi drammi, sentono qualcosa muoversi dentro. Perché è facile riconoscersi. Forse non del tutto. Ma in un gesto, in una frase, in un pianto soffocato… c’è qualcosa che suona familiare. I K-Drama riescono a toccare corde intime, quelle che spesso restano mute per anni. Ed è in questo che risiede la loro forza.

Queste storie non solo commuovono, ma accendono riflessioni. Su cosa significhi essere genitori. Su quanto possa costare essere figli. E su come sia possibile, anche dopo tanta oscurità, provare a riscrivere il proprio destino.

Perché non tutti i K-Drama finiscono con una redenzione. Non tutti offrono un lieto fine. Ma molti mostrano la resilienza. La capacità di reagire, di sopravvivere, di rinascere. Anche da soli. Anche senza scuse. Anche solo per se stessi.

E se invece parlassimo d’amore?

Non quello fatto di fiori e frasi dolci. Ma quello che accoglie, che non impone, che chiede “Come stai?” senza aspettarsi una risposta felice. I K-Drama, nel mostrarci cosa non dovrebbe essere un genitore, ci ricordano anche cosa potrebbe essere. Un rifugio. Un appoggio. Una presenza.

E forse è per questo che, anche se fanno male, queste storie ci restano dentro. Perché parlano di una speranza che non smette mai di esistere: quella di essere visti, ascoltati, accettati. Per davvero.

Fonti

  1. https://www.researchgate.net/publication/381182491_Authoritarian_Parenting_Practices_on_Korean_Drama_Reception_Analysis_on_SKY_Castle
  2. https://www.idntimes.com/korea/kdrama/7-toxic-parenting-kim-ok-hui-di-drakor-our-unwritten-seoul-c1c2-01-dfccf-m6t44f