C’è una bellezza che non ha bisogno di parole per raccontarsi, una bellezza che si fa suono, vibrazione, eco del passato. È la bellezza della musica tradizionale coreana, quella che non si limita a riempire l’aria, ma si insinua nell’anima e risveglia qualcosa di antico e potente.
Uno degli aspetti più affascinanti della cultura coreana è proprio la sua capacità di preservare le proprie radici senza rinunciare alla modernità. La musica tradizionale è un ponte invisibile che unisce il passato al presente, è memoria viva, è identità collettiva che si tramanda di generazione in generazione. E gli strumenti con cui questa musica prende vita non sono semplici oggetti: sono custodi di storie, rituali, emozioni.
Quando il vento canta: gli strumenti a fiato
Molti strumenti a fiato coreani sono realizzati in bambù, un materiale che da sempre rappresenta resistenza, flessibilità e armonia con la natura. Ognuno di questi strumenti ha una voce diversa, un carattere tutto suo.
Il Piri (피리), ad esempio, è un doppio strumento a canna che si suona in verticale. Il suo suono è caldo, rotondo, con quella leggera ruvidità che lo rende umano. Basta soffiare dentro il suo corpo di bambù per risvegliare secoli di storia.
Poi c’è il Danso (단소), simile a un flauto, che con le sue cinque forature e il suo piccolo foro a forma di U ci ricorda quanto sia sottile il confine tra semplicità e magia.
Il più curioso? Forse il Saenghwang (생황): una specie di organo portatile, con diciassette canne di bambù inserite in una zucca essiccata. Sì, hai letto bene: una zucca! Eppure, il suo suono è armonioso, stratificato, quasi etereo.
E non possiamo dimenticare il Daegeum (대금), uno strumento orizzontale con una membrana che vibra e regala un suono vibrante, quasi ipnotico.
Esistono poi tanti altri strumenti a fiato, dai nomi che sembrano poesie: Ji, Tungso, Yak, Hun, Nabal, Nagak, Taepyeongso... ognuno con la sua funzione, il suo carattere, la sua epoca.
Fili di seta e legno: gli strumenti a corda
Le corde coreane non si suonano soltanto: si accarezzano, si pizzicano, si tirano con dolcezza o con forza, a seconda dell’anima del brano. I materiali? Legno di paulonia, seta, metallo. Ogni strumento è un piccolo gioiello artigianale.
Il più famoso è il Gayageum (가야금), una cetra con 12 corde (ma oggi se ne trovano anche con 18, 21, 25). I ponti mobili, il corpo in legno chiaro, le corde di seta: ogni elemento contribuisce a un suono soave, elegante, che sembra raccontare segreti sussurrati al tramonto.
C’è anche l’Haegeum (해금), simile a un violino verticale, con due corde e un arco che striscia lentamente, facendo vibrare ogni emozione. Sembra quasi uno strumento fragile, ma la sua voce è intensa, dolente, piena.
L’Ajaeng (아쟁) invece si suona con un bastoncino di legno di forsizia: una cetra dai toni gravi, quasi solenni, che accompagnava un tempo le cerimonie di corte.
E poi c’è il Yanggeum (양금), che si colpisce con sottili bacchette di bambù per ottenere un tintinnio metallico, simile a una danza di gocce su pietra.
Tra gli altri strumenti a corda troviamo nomi poetici e misteriosi come Geomungo, Bipa, Gonghu, Wolgeum, Ongnyugeum.... Ognuno racconta un mondo a parte.
Il battito della tradizione: strumenti a percussione
La percussione, in Corea, è qualcosa di più di un ritmo. È cerimonia, comunicazione, energia primordiale. I materiali? Pelle, legno, metallo, pietra. Ogni battito è una preghiera, un richiamo, una festa.
Il Bak (박) è fatto di sei tavolette di legno unite da un’estremità. Si apre a ventaglio e si suona per scandire i momenti più importanti della musica.
Il Janggu (장구) è il tamburo a clessidra per eccellenza. Lo si può suonare con una mano e un bastone, o con due bacchette, a seconda che si stia eseguendo musica da corte o popolare. Il suo suono è coinvolgente, a tratti ipnotico, capace di accompagnare anche danze e spettacoli teatrali.
Il Jwago (좌고) è un tamburo appeso, suonato da seduti, spesso usato per dare l’attacco o sottolineare momenti chiave in un’esecuzione orchestrale.
E come non citare il Pyeongyeong (편경)? Sedici lastre di pietra sospese e suonate con un bastone ricavato da un corno di bue. Ogni pietra ha un suono diverso, e più è spessa, più il suono si fa acuto. Un’arte che richiede pazienza, precisione e ascolto.
Tra le altre percussioni tradizionali troviamo buk, jong, kkwaenggwari, jing, e nomi ancora più curiosi come Jingo, Galgo, Yonggo, Sakgo… una vera orchestra del tempo.
Anche la modernità ha la sua voce
Accanto agli strumenti della tradizione, oggi in Corea si trovano anche chitarre acustiche (어쿠스틱 기타), tastiere elettroniche, batterie, sassofoni, violini e ukulele. Eppure, anche tra questi strumenti più “globali”, la lingua coreana riesce a donare loro una nuova identità. Non è solo un “guitar”, è gita (기타). Non è solo un “piano”, è piano (피아노). Anche qui, ogni parola diventa musica.
Un’eredità da ascoltare
Conoscere gli strumenti tradizionali coreani non significa solo imparare dei nomi difficili o identificare dei suoni nuovi. Significa aprirsi a un mondo che continua a vivere grazie a mani che suonano, cuori che ascoltano e culture che si tramandano.
La Corea ha fatto della sua musica un ponte tra passato e futuro, un linguaggio che non ha bisogno di essere tradotto. Basta chiudere gli occhi, ascoltare il suono di un gayageum o di un haegeum, e improvvisamente ci si ritrova altrove: in un palazzo antico, in un campo all’alba, o semplicemente in un sogno che profuma di bambù, seta e pietra.
E allora sì, lasciamoci guidare dal suono. Perché forse, come dice un proverbio coreano, “la musica può esprimere ciò che le parole non riescono nemmeno a sussurrare.”
Fonte: https://ling-app.com/ko/instruments-in-korean/
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