19 giugno 2025

Fiore nazionale coreano: Un promemoria della propria speranza e forza


C’è qualcosa di profondamente poetico nel fatto che il fiore nazionale coreano non sia il più raro, il più appariscente o il più profumato. È semplicemente il più resistente.

Il Mugunghwa – conosciuto anche come Rose of Sharon – non si lascia abbattere. Anche quando appassisce, anche quando sembra ormai perduto, sboccia di nuovo. E lo fa con una determinazione così tranquilla da sembrare naturale, come se non potesse fare altrimenti.

Ed è proprio questo il punto.

Il Mugunghwa incarna perfettamente lo spirito del popolo coreano: forte, tenace, instancabile. In un mondo in cui i fiori sono spesso associati alla delicatezza, alla fugacità e alla bellezza effimera, la Corea ha scelto un fiore che racconta invece una storia di resistenza, rinascita e identità.

Un fiore che racchiude un popolo intero

Oggi la Corea del Sud è sulla bocca di tutti. Cultura pop, skincare, elettronica, cinema, musica: da Seoul al resto del mondo, la sua influenza sembra inarrestabile. Ma non è sempre stato così.

Fino a pochi decenni fa – e parliamo del 1953, praticamente ieri se si guarda alla storia di una nazione – la Corea era una terra martoriata da guerre, invasioni, colonizzazioni. Una terra che conosceva bene la parola "lotta". Eppure, nonostante tutto, non si è mai arresa.

Come il suo fiore.

Il Mugunghwa, che in coreano si scrive 무궁화, deriva dalla parola mugung (무궁), che significa "eternità", "infinito", "immortalità". È una pianta che può sopravvivere a condizioni estreme. Può sembrare stanca, abbattuta, a fine corsa… e poi, senza preavviso, torna a fiorire con forza. Proprio come la Corea, che ha trovato nella sua sofferenza un’identità solida, nel suo passato doloroso un motivo per andare avanti.

Una bellezza antica, radicata nella leggenda

La storia del Mugunghwa affonda le radici nei miti fondatori della Corea. Secondo la leggenda, il re Dangun – figura semidivina e fondatore del primo regno coreano, Gojoseon – era figlio del dio Hwanung e di una donna nata da un’orsa trasformata in essere umano. In quel tempo lontano, il Mugunghwa veniva chiamato fiore del cielo e rappresentava un dono celeste, qualcosa di sacro.

Non a caso, nella storia coreana, questo fiore ha sempre avuto un posto speciale. Durante l’epoca del Regno di Silla, il territorio era conosciuto come Geunhwahyang, ovvero "Terra del Mugunghwa". E sotto la dinastia Goryeo, le rappresentazioni del fiore erano talmente importanti da diventare persino una forma di ricompensa per i funzionari pubblici più meritevoli.

Un fiore che premiava l’impegno e il valore. Un fiore che non era solo decorativo, ma narrativo. Diceva: "Hai resistito. Hai fatto la cosa giusta. Sei degno."

Quando la bellezza diventa atto di resistenza

Ma c’è un capitolo particolarmente intenso nella storia del Mugunghwa, e riguarda il periodo più buio della Corea moderna: la colonizzazione giapponese (1910-1945).

In quegli anni, ogni simbolo dell’identità coreana era represso. Parlare la propria lingua, tramandare le proprie tradizioni, persino coltivare certi fiori era considerato un atto sovversivo. Ma i coreani non si lasciarono zittire. In segreto, iniziarono a piantare Mugunghwa ovunque. Nei cortili, nei giardini nascosti, nei campi lontani dagli occhi delle autorità.

Era un gesto semplice, silenzioso, ma potentissimo. Un fiore dopo l’altro, il Mugunghwa divenne un simbolo di resistenza, di speranza, di libertà desiderata. E quando finalmente la Corea ottenne l’indipendenza, fu naturale scegliere proprio lui come fiore nazionale.

La sua forma, il suo colore, il suo significato

Il Mugunghwa non è un fiore qualsiasi.
Appartiene alla famiglia degli ibischi, specie Syriacus. I suoi fiori hanno in genere cinque petali, e sbocciano in colori delicati ma intensi: bianco, rosa, viola, rosso. Fiorisce da luglio a ottobre, con una costanza impressionante. Anche quando un fiore appassisce, subito ne sboccia un altro. Il ciclo continua, instancabile.

La pianta ha una forma eretta, a vaso, e viene spesso usata sia come pianta ornamentale che per infusi curativi. Sì, perché il Mugunghwa è anche un rimedio della medicina tradizionale: abbassa la pressione, rinfresca l’organismo, protegge la pelle, combatte l’infiammazione.

In un certo senso, è come se la sua forza si trasmettesse anche a chi lo assume.

Un simbolo vivo che ancora oggi ci parla

Oggi il Mugunghwa si trova ovunque in Corea del Sud: sui documenti ufficiali, negli edifici pubblici, persino nelle uniformi della polizia. È onnipresente, ma non scontato. Perché ogni fiore porta con sé una storia millenaria, fatta di cadute e rinascite, di oppressioni e liberazioni, di sacrifici silenziosi e trionfi fragorosi.

È facile lasciarsi incantare dal K-pop, dalle luci di Seoul, dai drama che ci fanno sognare. Ma c’è qualcosa di ancora più profondo da scoprire.
Qualcosa che va oltre la superficie. Qualcosa che ha radici.

Il Mugunghwa non è solo il fiore nazionale della Corea. È la memoria di ciò che è stato e la speranza di ciò che sarà. È un promemoria, per tutti noi, che anche nelle fasi più buie possiamo tornare a sbocciare.

E forse, la prossima volta che lo vedrete in un parco di Seoul, in una tazza di tè, su un murales o in un angolo inaspettato del mondo, vi ricorderete che anche voi siete come lui: capaci di rifiorire, sempre.


fonte: X

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