7 luglio 2025

Hangul, il cuore scritto della Corea: viaggio nella nascita di una lingua che ha salvato un popolo

 


Ci sono storie che non si imparano solo con la mente, ma che si sentono scorrere dentro come un’eco antica. Storie che non parlano solo di parole, ma di identità, di popoli che lottano per esistere e di re che scelgono la compassione anziché il potere. Hangul è una di quelle storie.

Forse non tutti sanno che tra le lingue dell’Estremo Oriente, il coreano è considerato tra le più semplici da imparare. Bastano pochi giorni per padroneggiare le lettere dell’alfabeto chiamato Hangul. Ma questa apparente semplicità è frutto di un dono. Un dono lasciato in eredità da un re che ha fatto della cultura la sua missione: Sejong il Grande.

Alle origini: quando la lingua non era del popolo

Per capire la nascita di Hangul, dobbiamo tornare indietro nel tempo, nella Corea della dinastia Joseon. In quei secoli lontani, la lingua coreana esisteva, certo, ma non aveva un volto scritto che le appartenesse davvero. Si utilizzavano gli Hanja (한자), caratteri cinesi importati dalla letteratura e dalla religione buddista. Erano complicati, elitari, adatti solo a chi aveva ricevuto un’istruzione formale — cioè ai nobili, ai funzionari, agli studiosi.

Il popolo invece? Escluso. Analfabeta. Invisibile. Il dolore più grande non era solo l’ignoranza, ma il fatto che la loro voce, le loro emozioni, la loro cultura... restassero intrappolate nella sola oralità. Non c’era uno strumento con cui esprimersi, raccontarsi, esistere. E in fondo, quando non puoi scrivere ciò che sei, rischi di non esserlo davvero.

Fu per questo che nacquero sistemi ibridi come l’Idu, che cercavano di adattare i caratteri cinesi alla grammatica coreana. Ma erano solo soluzioni temporanee. Serviva un cambiamento radicale. Serviva un re che ascoltasse.

Un re con il cuore del popolo: Sejong il Grande

Se oggi in Corea esiste una lingua che unisce, che educa, che emoziona... è grazie a lui. Sejong il Grande, quarto re della dinastia Joseon, nacque nel 1397 e salì al trono giovanissimo, a soli 21 anni. Ma non fu solo un sovrano, fu un visionario. Fondò il Jiphyeonjeon (la Sala dei Saggi), radunando i più brillanti studiosi del regno con un sogno: rendere la conoscenza accessibile a tutti.

La sua filosofia si ispirava al Neo-Confucianesimo: un pensiero che metteva al centro la giustizia, l’educazione e il rispetto tra sovrano e suddito. Ma Sejong non si fermò alla teoria. Voleva agire. Voleva spezzare quella barriera che impediva al suo popolo di leggere, scrivere, sognare.

Fu così che nel 1443 ordinò la creazione di un sistema di scrittura del tutto nuovo. E forse, come sostengono alcune cronache, lo inventò lui stesso. Tre anni dopo, nel 1446, venne pubblicato l’Hunminjeongeum, ovvero "i suoni corretti per istruire il popolo". Era nato Hangul, l’alfabeto coreano.

“Un uomo intelligente può impararlo prima di pranzo. Uno stupido, in dieci giorni.” — Re Sejong

Hangul era rivoluzionario. Non solo per la sua semplicità, ma per il suo significato simbolico. Era la prima scrittura pensata per il popolo, e non per il potere. Con Hangul, anche i contadini, le donne, i bambini potevano finalmente imparare a leggere e scrivere. Potevano scrivere poesie, lettere, cartelli, storie.

Hangul diede al popolo una voce scritta, e con essa un’identità. Era la nascita di un nuovo nazionalismo, non basato sull’esclusione ma sulla condivisione di un linguaggio comune.

Ma il potere teme la semplicità

Come spesso accade nella storia, ciò che avvicina le persone fa paura a chi comanda. I nobili, i letterati, gli yangban, videro Hangul come una minaccia. Per loro, l’unica scrittura degna era quella cinese. Hangul era considerato rozzo, volgare, “di seconda classe”. Ma soprattutto, pericolosamente accessibile.

E così, nel 1504, Hangul fu messo al bando. La sua colpa? Aver dato al popolo la possibilità di pensare, di scrivere, di esprimere dissenso. Ma le idee non si possono bandire per sempre.

Hangul resiste, e torna a farsi sentire

Nei secoli successivi, Hangul continuò a vivere nell’ombra. I racconti popolari, le canzoni, i romanzi — tutto ciò che parlava direttamente al cuore della gente — continuava a usare Hangul. E proprio grazie a questa letteratura “pop”, l’alfabeto resistette alle censure e alle repressioni.

Alla fine dell’Ottocento, in piena crisi tra analfabetismo, corruzione e pressioni occidentali, Re Gojong capì che Hangul poteva essere la chiave per ricostruire il paese. Nel 1894, con la Riforma Gabo, lo rese lingua ufficiale per i documenti governativi. L’anno dopo si iniziò a insegnarlo nelle scuole. Era solo l’inizio della rinascita.

La prova più dura: l’occupazione giapponese

Nel 1910, il Giappone annesse la Corea e cercò in ogni modo di cancellarne la cultura. Venne imposta la lingua giapponese, Hangul fu proibito, le scuole coreane chiuse. Ma ancora una volta, il popolo resistette.

Gruppi come la Korean Language Society combatterono per preservare l’alfabeto, codificandone regole e ortografia nel 1912 e nel 1930. E quando, nel 1938, il Giappone proibì definitivamente l’uso del coreano, Hangul divenne simbolo di ribellione silenziosa.

La liberazione e il nuovo inizio

Nel 1946, dopo la caduta dell’impero giapponese, Hangul fu finalmente riconosciuto come alfabeto ufficiale della Corea. Anche se il paese fu diviso, sia il Nord che il Sud lo scelsero come fondamento della loro identità.

Il Nord lo purificò eliminando ogni traccia di Hanja. Il Sud mantenne un equilibrio, ma Hangul divenne comunque il cuore pulsante della comunicazione, dell’arte, della cultura.

Dal 2012, il 9 ottobre in Corea del Sud è tornato a essere festa nazionale: l’Hangul Day. È il giorno in cui si celebra non solo un alfabeto, ma la libertà di essere se stessi.

Ma cos’è, davvero, Hangul?

La parola 한글 si compone di:

  • 한 (han): può indicare la Corea o il popolo coreano

  • 글 (geul): scrittura, parola scritta

Originariamente chiamato Hunminjeongeum, fu solo nel 1912 che il linguista Ju Si-gyeong coniò il termine “Hangul”. L’alfabeto oggi è composto da 24 lettere base (14 consonanti e 10 vocali), con altre combinazioni che portano il totale a 40 suoni possibili.

A differenza dei sistemi logografici come il cinese, Hangul è alfabetico e fonetico. Ogni parola è un insieme di suoni scritti in blocchi sillabici. Un sistema elegante, razionale, quasi musicale.

Hangul oggi: identità, musica, tecnologia

Oggi, grazie a Hangul, la Corea ha uno dei più alti tassi di alfabetizzazione al mondo. Ma non è solo questo. Hangul ha reso possibile la rinascita culturale e tecnologica della Corea del Sud, che in pochi decenni è passata da paese povero a potenza globale nel K-pop, nei drama, nella tecnologia.

Hangul è diventato un simbolo di orgoglio nazionale, una melodia che canta l’identità di un popolo.

Come disse Noah Webster:

“Una lingua nazionale è un vincolo di unione nazionale.”

Hangul non è solo un alfabeto. È resistenza. È amore. È casa.

Quando impari a scrivere in Hangul, non stai solo decifrando lettere. Stai toccando con mano una storia fatta di lacrime e trionfi, di umiliazioni e rinascite. Stai ascoltando la voce di un popolo che, anche nei momenti più bui, non ha mai smesso di credere nel potere della parola.

E questa, forse, è la lezione più bella che Hangul può insegnarci:
che la cultura può essere salvata con l’inchiostro, e che ogni persona, se messa nelle condizioni giuste, può imparare a dire “io esisto” — nero su bianco.

Fonte: https://ling-app.com/ko/history-of-hangul/

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