Se nel tempo abbiamo parlato di sciamane, di possessioni, di riti ancestrali e spiritualità, non ci eravamo mai fermati davvero a riflettere sul ruolo delle donne che, in Corea, leggono il futuro. Quelle figure che, lontano dai riflettori, siedono in piccole stanze illuminate da luci rosse o si mescolano tra le bancarelle di un mercato notturno. Le cartomanti. Le chiromanti. Le lettrici di destino.
Perché sì, in Corea il destino si può leggere. E si legge in tanti modi diversi.
Uno dei più popolari è il Saju (사주), un’antica forma di divinazione basata sulla data e ora di nascita di una persona. In coreano, saju significa letteralmente “quattro colonne” e si riferisce ai quattro pilastri astrologici: anno, mese, giorno e ora di nascita. A partire da queste informazioni, il saju interpreta la vita di una persona – la personalità, la carriera, le relazioni, i momenti di difficoltà – secondo l’equilibrio dei cinque elementi (fuoco, acqua, terra, metallo, legno) e il ciclo dello yin e yang.
La lettura del saju può sembrare distante e impersonale, ma in realtà è profondamente connessa alla vita quotidiana di molti. Non è raro, infatti, che i genitori lo consultino per decidere il nome di un figlio, che i giovani lo interpellino prima di sostenere un colloquio, o che venga preso in considerazione nella scelta del partner. In un mondo iper-razionale e competitivo come quello coreano, dove tutto sembra dover avere una spiegazione logica, c’è ancora spazio per l’invisibile. Per qualcosa che ci sfugge.
E non è solo il saju. Anche la lettura delle carte, come i tarocchi, sta vivendo un periodo di grande popolarità. Basta passeggiare nei quartieri giovanili di Seoul, come Hongdae o Gangnam, per imbattersi in file di piccole stanze dove un cartello con su scritto “타로” (tarot) invita ad entrare. Le clienti sono in gran parte donne – giovani, spesso tra i venti e i trent’anni – che cercano conforto, risposte, una direzione. Chiedono dell’amore, del lavoro, della salute. A volte si siedono per gioco, altre volte con il cuore in subbuglio.
Molte di queste lettrici sono donne. Alcune sono sciamane moderne, altre semplici appassionate, ma tutte svolgono un ruolo importante, spesso non riconosciuto: quello di guida. Di sostegno. Di orecchio che ascolta senza giudicare.
Quello che colpisce non è tanto l’atto in sé del “predire il futuro”, ma il bisogno profondo di sentirsi capiti. Di trovare un filo rosso che tenga insieme i pezzi disordinati della propria vita. In un paese in cui la pressione sociale è altissima, il lavoro definisce l’identità e i rapporti personali sono spesso filtrati da gerarchie e aspettative, queste figure diventano piccoli porti sicuri. Luoghi in cui si può essere fragili, indecisi, vulnerabili. In cui si può piangere senza paura di apparire deboli.
Negli ultimi anni, la divinazione in Corea ha conosciuto una trasformazione. È uscita dai templi e dai mercati per entrare nel digitale: si prenota online, si paga con carta, si leggono i tarocchi via Zoom. Persino le grandi aziende stanno cavalcando l’onda, proponendo app e servizi a pagamento. Ma se cambia la forma, resta intatto il bisogno. Quello umano, eterno, di cercare una direzione.
C’è anche chi ne fa una questione di femminismo. In una società ancora patriarcale, in cui il successo delle donne è spesso messo in discussione, molte giovani coreane scelgono di affidarsi ad altre donne per farsi leggere le carte. Non perché ci credano ciecamente, ma perché sentono che lì, in quel piccolo gesto di cura e attenzione, si nasconde qualcosa di profondamente rivoluzionario: il diritto di chiedere. Di cercare. Di credere in qualcosa di più grande.
Io non so se il futuro si possa davvero prevedere. Ma so che ci sono momenti nella vita in cui ci sentiamo così persi da aver bisogno che qualcuno ci prenda per mano, anche solo per un istante, e ci dica: “Andrà tutto bene.” E se quella voce arriva da una sconosciuta in una stanza di carta e luci soffuse, poco importa. Perché forse, in quel momento, è tutto ciò che ci serve.
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