25 luglio 2025

Gimbap: il sapore di casa avvolto in un rotolo

Ci sono cibi che, più che nutrire, custodiscono. Non lo fanno solo nel senso fisico – avvolgendo un ripieno con cura quasi materna – ma in quello emotivo: custodiscono ricordi, frammenti di infanzia, gesti familiari ripetuti mille volte eppure sempre unici. In Corea, questo cibo ha un nome semplice: gimbap.

Gimbap è il classico esempio di come le cose più ordinarie, a volte, siano le più preziose. Lo trovi ovunque: nei mercatini, nei convenience store, nelle stazioni ferroviarie, nei cestini dei bambini durante una gita scolastica. Ma non lasciarti ingannare dalla sua apparente semplicità. Ogni gimbap racconta una storia. E, come spesso succede con il cibo, quella storia è anche la nostra.

Un universo avvolto in alghe

Gimbap – o kimbap, come viene anche traslitterato – è un piccolo universo fatto di riso, alghe, verdure e ingredienti che cambiano da città a città, da famiglia a famiglia, da mamma a mamma. Perché sì, in Corea c’è una convinzione tanto diffusa quanto tenera: “Il gimbap di mia madre è il migliore del mondo”. Non si discute. Non importa quante versioni gourmet esistano, quante varianti con gamberi, tonno, carne o tofu esistano sul mercato: il gimbap della propria infanzia resta insuperabile.

Ogni casa ha il suo modo. C'è chi lo profuma con olio di sesamo, chi abbonda di spinaci saltati, chi preferisce burdock o carote croccanti, chi non può rinunciare al retrogusto dolce dell’omelette. È una questione d’identità, di radici, di amore.

Le origini? Un po’ leggenda, un po’ realtà

Curiosamente, le origini del gimbap non sono così chiare. Alcuni dicono che derivi dal norimaki giapponese, altri lo riconducono a una pietanza coreana più antica chiamata boksam, servita alla fine della dinastia Joseon. Ma in fondo, cosa importa? Come tutte le ricette tramandate, anche il gimbap ha vissuto un'evoluzione spontanea, fatta di contaminazioni, necessità, creatività domestica.

Quello che è certo è che in Corea, l’uso di avvolgere il riso in alghe risale a ben prima della parola “gimbap” stessa. Persino nel XVIII secolo si parlava di “kimsam”, una pratica che prevedeva il condire le alghe con olio e sale per accompagnare il riso. E ci sono storie tramandate oralmente, come quella dell’anziano di Hadong che – trovando alghe attaccate a un pezzo di legno alla deriva – diede inconsapevolmente il via alla coltivazione delle alghe in Corea.

Chungmu gimbap: il minimalismo del mare

Una delle varianti più affascinanti del gimbap è quella di Chungmu, città costiera ora chiamata Tongyeong. Qui, i pescatori avevano bisogno di cibo che si conservasse a lungo durante le uscite in mare. Così nacque un gimbap minimalista: riso bianco avvolto in alghe, senza condimenti, da accompagnare con kimchi di ravanello piccante e calamari o tortini di pesce. La semplicità del rotolo lasciava spazio all’intensità degli accompagnamenti. È ancora oggi una specialità apprezzata, simbolo di una cultura del “poco ma buono” profondamente coreana.

L’evoluzione di un classico

Negli anni Cinquanta, il gimbap iniziò a perdere ogni somiglianza con il sushi. Niente più aceto nel riso, ma olio di sesamo, sale, zucchero e ingredienti più “casalinghi”: carote, uova, spinaci, prosciutto. Il gimbap divenne un riflesso della dispensa coreana, adattabile e pratico, perfetto per la dosirak (la classica lunchbox da portare a scuola o al lavoro).

Nel 1995, qualcosa cambiò: Gimbap Heaven, una catena che offriva gimbap a 1000 won, fece esplodere la popolarità del piatto. Era economico, saziante, familiare. Divenne il comfort food degli impiegati stressati, degli studenti in cerca di carburante per affrontare gli esami, delle madri affettuose che lo infilavano negli zaini dei figli.

Mille versioni per mille storie

Da allora, il gimbap ha conosciuto ogni tipo di reinvenzione. C’è il gimbap al tonno e maionese, il gimbap con bulgogi, il gimbap fritto, il gimbap vegano con ortaggi selvatici, tofu e alghe. C’è quello con carote a volontà di Jeonju, quello quasi tutto uovo di Gyeongju, o il gigante e inarrestabile “O-wolui Gimbap” di Seoul, talmente grande da rendere impossibile un solo morso.

C’è il Dongwon Bunsik di Busan, famoso per le sue frittate arrotolate e il calamaro marinato. E su Jeju Island potresti imbatterti in un gimbap ripieno… di pesce saury intero! Strano? Forse. Ma chi ha assaggiato quel contrasto tra il riso e il pesce grigliato giura che funziona.

Il gimbap non è solo cibo. È identità, nostalgia, creatività, affetto. È la dimostrazione che anche un semplice rotolo può contenere un mondo. Ogni volta che viene preparato, racconta qualcosa di chi lo fa e di chi lo mangia. In un’epoca in cui cerchiamo esperienze autentiche, cosa c’è di più autentico del cibo che parla delle nostre radici? Che tu lo assaggi in Corea o lo prepari a casa con quello che hai in frigo, ricordati: non esiste un solo tipo di gimbap. Esiste il tuo. E forse, è proprio questo il segreto della sua magia.

Fonte: https://mymileshinesmile.blogspot.com/2023/12/korean-kimbap-roll-taste-of-memories.html

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