12 dicembre 2025

Il lato strano della Corea e le superstizioni che non ti aspetti (prima parte)

 

Ogni volta che penso di aver capito un po’ meglio la Corea del Sud, spunta fuori una superstizione nuova pronta a ricordarmi che questo Paese ha un talento speciale per sorprendere anche i fan più navigati. Non importa quanti drama abbia visto, quante ore abbia passato su YouTube, o quante notti insonni a leggere articoli random di cultura coreana: c’è sempre qualcosa che mi sfugge, e sinceramente adoro questa sensazione. Oggi ho scelto tre superstizioni che forse non avete mai approfondito davvero: la sfortuna del numero 4, la famigerata leggenda del ventilatore che uccide nel sonno e il curioso tabù del fischiare la sera. Tre piccole finestre sulla cultura coreana che, ve lo prometto, renderanno ancora più interessante il modo in cui guardate i vostri k-drama preferiti. Pronti a scoprire questo lato meno conosciuto della Corea? Allora accomodatevi: iniziamo il viaggio.

La sfortuna del numero 4: quando un semplice numero può inquietare un intero Paese

Credi nei numeri “sfortunati”? In molte culture occidentali il 13 è visto come un cattivo presagio, al punto che alcuni evitano quel numero in ogni forma possibile. Negli Stati Uniti, perfino la banconota da due dollari è stata quasi abbandonata perché considerata portatrice di sfortuna. All’opposto, il numero 7 viene celebrato come simbolo di fortuna, soprattutto nei casinò, dove il mitico “777” alle slot significa jackpot. Curiosamente, oggi anche in Corea il sette è visto come un numero positivo, anche se tradizionalmente il più propizio era il tre.

La Corea, però, ha un suo “numero maledetto”: il 4. E non si tratta semplicemente di una credenza vaga: il 4 è considerato così sfortunato da essere associato direttamente alla morte. A differenza del 13 occidentale, che non ha una spiegazione concreta, qui la superstizione ha una logica linguistica precisa. Il carattere cinese che significa “morte” si pronuncia sah, lo stesso identico suono del numero quattro in coreano. È questo gioco fonetico ad aver generato l’intera superstizione.

Le conseguenze, nella vita quotidiana, si notano eccome. In molti edifici il quarto piano non esiste: negli ascensori, il pulsante del 4 viene sostituito dalla lettera “F”. I servizi da tavola non vengono venduti in set da quattro pezzi: meglio due, tre, cinque, qualsiasi cosa purché non quattro. Anche quando si regala denaro bisogna fare attenzione: 30.000 o 50.000 won sono somme perfette, ma 40.000 potrebbero risultare poco educate.

Con il tempo, però, la percezione sta cambiando. La generazione più anziana continua a evitare questo numero con convinzione, mentre i giovani sono molto più rilassati: per molti, il 4 è solo un numero come un altro. Alcuni ragazzi più conservatori, però, mantengono ancora un certo disagio: preferiscono numeri di telefono senza quattro, rabbrividiscono davanti a un “4:44” e considerano sequenze come “44” decisamente inquietanti.

Nonostante queste differenze generazionali, conoscere questa superstizione è utile, soprattutto se si interagisce spesso con amici o colleghi coreani. Anche se per noi il 4 non ha nessuna connotazione particolare, dall’altra parte del mondo può diventare un piccolo campanello d’allarme. E allora, quando possibile, meglio affidarsi ai numeri dispari: non si sa mai quali sottili superstizioni potremmo inavvertitamente sfiorare.

La leggenda del ventilatore che uccide: quando il sonno estivo diventa materiale da horror

L’argomento della morte, in Corea, non si limita ai numeri. A volte prende la forma di un oggetto così innocuo da sembrare la premessa di un episodio comico, e invece è diventato uno dei miti moderni più famosi del Paese: il ventilatore elettrico. Com’è possibile che un elettrodomestico pensato per sopravvivere all’estate abbia spinto un’intera nazione a cambiare le proprie abitudini del sonno? Perché quasi tutti i ventilatori coreani hanno un timer? Prima di sorridere, sappi che questa credenza, la famigerata fan death, è presa molto più sul serio di quanto immagini.

“Fan death” è il nome dato alla convinzione che dormire in una stanza chiusa con un ventilatore puntato direttamente addosso possa essere fatale. A sostenerlo, nel 2005, fu addirittura il Korea Consumer Protection Board (KCPB), un’agenzia governativa che riportò venti casi di asfissia tra il 2003 e il 2005 attribuiti a ventilatori o condizionatori accesi durante il sonno. Secondo il KCPB, il contatto diretto con l’aria fredda potrebbe provocare ipotermia, oppure squilibrare il rapporto tra ossigeno e anidride carbonica nella stanza. Per questo consigliava di dormire con la porta aperta, usare ventilatori oscillanti e impostare il timer per spegnerli automaticamente. E sì: è proprio da qui che nasce il famoso timer dei ventilatori coreani.

La Corea è l’unico Paese al mondo in cui questa credenza è così radicata. Il resto del pianeta, infatti, non la condivide per un motivo semplice: non ci sono prove scientifiche che la sostengano. Un ventilatore domestico non è abbastanza potente da creare un vuoto nella stanza, non può alterare seriamente l’ossigeno nell’aria, non produce ozono in quantità pericolose e non è in grado di abbassare la temperatura a livelli letali. E anche qualora il freddo diventasse eccessivo, ci si sveglierebbe molto prima di correre rischi concreti.

Diversi professionisti della salute lo hanno ribadito, tra cui il dottor Lee Yoon-sung, professore alla facoltà di medicina della Seoul National University. Esaminando le presunte “vittime del ventilatore”, ha concluso che la causa della morte non era l’elettrodomestico, ma condizioni preesistenti come malattie cardiache, problemi polmonari o forte alcolismo. Dettagli che spesso non emergono in un titolo di giornale… perché ammettiamolo, “anziano con patologie muore nel sonno” attira meno dell’idea del ventilatore assassino.

Eppure, la credenza persiste. Chi crede nella fan death segue tutte le precauzioni: porta socchiusa, ventilatore che oscilla, timer sempre impostato. In fondo, se l’hanno ripetuto per tutta la vita, perché dubitarne? Ogni tanto un articolo di cronaca riaccende la paura, ricordando alla popolazione che il ventilatore non va preso alla leggera. E dove non arrivano i media, arrivano le ipotesi complottiste: c’è chi pensa che il governo usi la fan death per “spiegare” alcuni decessi sospetti, o per ridurre il consumo di elettricità nelle estati più torride.

Esiste anche una spiegazione più “culturale”: negli anni Settanta, quando i ventilatori iniziarono a diffondersi, la Corea era ancora molto superstiziosa. Il mondo spirituale conviveva con quello quotidiano e non era raro credere che spiriti maligni potessero aggirarsi di notte. L’idea che un “fabbricatore di vento” potesse portare via il respiro vitale di una persona addormentata non era così assurda… almeno non per gli standard dell’epoca.

La buona notizia? Non hai bisogno di spegnere il ventilatore la notte. Basta non puntarlo dritto sul viso e usare il timer, che in fondo male non fa. E se proprio vuoi dormire sereno, puoi sempre infilare un talismano sotto il cuscino o concederti una visita al cartomante del quartiere: non si sa mai cosa potrebbe rivelarti sul tuo destino… o su quello del tuo ventilatore.

Fischiare con conseguenze: quando un suono innocente diventa un richiamo per fantasmi (e serpenti)

Se sei uno straniero in Corea, probabilmente all’inizio non ci fai neanche caso: ti metti a fischiettare una melodia allegra mentre cammini per strada, fai dondolare la gamba seduto in metro, ti immagini il suono di un flauto nella notte come qualcosa di rilassante, e tagliarti le unghie dopo il tramonto ti sembra la cosa più normale del mondo. In molti Paesi lo è. In Corea, invece, ognuna di queste azioni porta con sé un bagaglio di superstizioni, sguardi storti e “meglio di no” sussurrati a mezza voce.

Partiamo dal protagonista principale: il fischio. Nella maggior parte dei Paesi occidentali il fischiettare ha un’aura super positiva. L’immagine classica è quella dell’anziano che passeggia in una bella giornata, fischiettando la sua canzone preferita, sereno e senza pensieri.  Tutto questo cambia completamente quando attraversiamo il mare e arriviamo in Corea. Qui, a parte i più giovani, molte persone guardano il fischiare con evidente disapprovazione. Se lo fai in pubblico, soprattutto di sera, c’è una buona probabilità che qualcuno ti lanci un’occhiata severa o ti chieda direttamente di smettere. E non è solo una questione di “buone maniere”: il problema è, ancora una volta, la superstizione.

Secondo una credenza tradizionale, fischiare di notte attira spiriti maligni e serpenti. Il suono del fischio che taglia il silenzio buio veniva percepito come qualcosa di inquietante, quasi innaturale. Immagina la Corea di un tempo, senza elettricità diffusa: candele e olio erano preziosi, le famiglie andavano a dormire presto per alzarsi all’alba e lavorare nei campi, e il buio non era solo “romantico”, ma anche fonte di paura. Sentire un fischio improvviso nell’oscurità poteva facilmente trasformarsi in un brivido lungo la schiena. Dire ai bambini che “fischiare di notte attira i fantasmi” era un modo molto efficace per farli smettere mentre tutti cercavano di dormire. La credenza, però, ha continuato a circolare anche quando le notti coreane si sono riempite di luci al neon.

Accanto al fischio c’è anche il “cugino musicale” di questa superstizione: il flauto. Esiste un detto ancora molto conosciuto che recita: “Se suoni il flauto di notte, i serpenti verranno fuori” (밤에 피리를 불면 뱀이 나온다). L’idea è simile a quella dell’incantatore di serpenti indiano, ma con un tocco più oscuro: la melodia acuta del flauto di bambù, suonata al buio, veniva associata al sibilo dei serpenti, considerato di pessimo auspicio. In pratica, suonare il flauto dopo il tramonto significava rischiare di attirare serpenti intorno alla casa. Anche qui, la parte pratica è evidente: era un modo perfetto per convincere i bambini a smettere di fare rumore la sera, evitare lamentele dei vicini e mantenere la quiete notturna.

Curiosamente, però, non tutti i serpenti erano visti come una minaccia. Nella tradizione coreana si credeva che avere un serpente che viveva sotto il pavimento di casa o vicino al portico potesse portare fortuna, soprattutto se il serpente era bianco. Era considerato una sorta di guardiano domestico: portatore di buona sorte e utilissimo nel tenere sotto controllo i ratti. Un mix affascinante di paura, rispetto e utilità pratica.

Da qui, la domanda: i coreani ci credono ancora davvero? Forse non in modo letterale, ma il retaggio si vede eccome. Fischiare in pubblico è ancora raro, imparare a fischiare non fa parte del “pacchetto base” della crescita, e chi lo fa rischia facilmente di attirarsi la classica occhiata infastidita dell’ajumma di turno. Se sei straniero, nessuno ti arresterà per un cinguettio, ma non aspettarti che venga interpretato come un gesto “carino”: più probabilmente verrà percepito come strano, maleducato o leggermente inquietante, soprattutto di notte.

E il bello è che il fischio non è l’unico gesto “innocente” che in Corea si porta dietro un’aura di sfortuna. Muovere nervosamente la gamba mentre sei seduto, per esempio, è visto malissimo. Esistono mille teorie sul perché lo facciamo: qualcuno parla di circolazione del sangue, altri di nervosismo, altri ancora di un retaggio “da cacciatori”, con i muscoli pronti a scattare. Qualunque sia la spiegazione reale, in Corea è nato un detto molto chiaro: “Se muovi la gamba, la tua fortuna se ne andrà” (다리 떨면 복이 나간다). L’idea è che quel movimento faccia scappare la fortuna non solo dalla persona che lo fa, ma dall’intera famiglia. E così, vedere una madre che posa la mano sulla gamba del figlio che trema, o una moglie che blocca con decisione il ginocchio del marito, non è solo un gesto di fastidio: è un tentativo di proteggere la sorte di tutti.

Un’altra piccola superstizione collegata alla vita quotidiana è quella del non tagliarsi le unghie di notte. L’espressione tradizionale dice: “Non tagliare le unghie di notte” (밤에 손톱을 깎지 말라). La storia che la accompagna racconta di un erudito che, alla debole luce di una lampada a olio, tagliò le unghie dopo il tramonto e gettò i frammenti nel cortile. Durante la notte, un topo li mangiò e si trasformò in una creatura con le sembianze dell’erudito. È il tipo di racconto perfetto per far scattare la fantasia dei bambini: “Se taglio le unghie di notte verrà un topo a mangiarle?”, chiede il bambino. “Ecco perché non dovresti farlo”, risponde la madre, chiudendo la conversazione.

Dietro la leggenda, però, c’è come sempre una logica molto concreta: prima dei moderni tagliaunghie, le unghie venivano accorciate con piccoli coltelli, forbici o falcetti agricoli. Tagliarle al buio, alla luce ballerina di una lampada a olio, aumentava parecchio il rischio di ferirsi. Era molto più sicuro farlo di giorno. E poi c’è il finale “non scritto” della storia: la mattina dopo, la moglie dell’erudito entra scalza nella stanza e pesta i frammenti di unghia che lui, mezzo addormentato, non aveva pulito bene. “Ahi! Ahi! Ahi!”… da quel momento lui non si azzardò mai più a tagliarsi le unghie di notte. Una lezione di sicurezza domestica mascherata da superstizione.

Morale per noi spettatori e viaggiatori: in Corea fischiare di notte, scuotere la gamba senza sosta o mettersi a tagliare le unghie dopo il tramonto non sono solo piccole manie personali, ma gesti che toccano corde profonde della cultura tradizionale. Nessuno ti impedirà fisicamente di farli, ma se vuoi evitare di disturbare, scandalizzare o evocare nella mente dei presenti fantasmi, serpenti e sfortuna in generale… forse è meglio rimandare il fischiettio a quando rientri a casa. O almeno aspettare di essere da solo, lontano dallo sguardo severo di un’ajumma.

Più mi addentro in queste superstizioni, più mi rendo conto che la Corea ha un’incredibile capacità di trasformare anche le piccole stranezze quotidiane in qualcosa di affascinante. Il numero 4 che non compare negli ascensori, il ventilatore che “ruba l’aria” mentre dormi, il fischio che richiama spiriti indesiderati… sono dettagli che magari non cambiano la vita, ma che raccontano un modo preciso di vedere il mondo.

Ed è proprio questo che mi fa amare così tanto la cultura coreana: il mix perfetto tra modernità e tradizione, tra linee pulite dei grattacieli e vecchie storie che ancora resistono. Sono sfumature che spesso passano inosservate nei k-drama ma che, quando le scopri, ti fanno guardare tutto con occhi diversi.

Se queste tre superstizioni vi hanno incuriosito, sappiate che non finisce qui. La Corea ha un repertorio infinito di credenze bizzarre, poetiche, assurde o tenerissime, e nelle prossime settimane ne esploreremo altre. Perché in fondo, conoscere un Paese significa anche ascoltare le sue piccole leggende… e magari, la prossima volta che vedrete un ventilatore acceso di notte in un drama, ci farete un pensierino.

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