13 dicembre 2025

Taemyeong: i soprannomi prenatali coreani tra cacca d’oro, sogni e superstizioni


Quando penso alla gravidanza in Corea del Sud, la prima immagine che mi viene in mente non è una pancia rotonda o una stanza d’ospedale, ma… un nome buffo scritto su un cartellino. Non il nome “vero”, quello che finirà sui documenti ufficiali, ma un soprannome tenero, a volte surreale, che accompagna il bambino molto prima di vedere il mondo: il taemyeong, il “nome del feto”. In Corea, i bambini iniziano a essere chiamati per nome quando sono ancora al sicuro nel grembo. E spesso questi nomi non hanno nulla di elegante o altisonante: sono piccoli, quotidiani, quasi infantili. 

Taemyeong: il soprannome “da pancione” che nasce prima del bambino

C’è una mamma che chiama ancora oggi la sua figlia maggiore “cacchina”, lo stesso soprannome che le aveva dato quando era nella pancia. Le sembrava semplicemente carino: la parola ddong, “cacca” in coreano, suona divertente e le sembrava perfetta per quella piccola creatura che rotolava dentro di lei.

E non è affatto l’unica. “Cacca” è, sorprendentemente, uno dei taemyeong più popolari tra le future mamme coreane. C’è chi lo trasforma addirittura in qualcosa di prezioso: una rapper ha scelto per il suo primo figlio il soprannome geum-ddong, “cacca d’oro”, mentre una comica ha chiamato il suo bambino ddong-byeol, un gioco di parole tra “cacca” e “stella”.

Ma il mondo dei nomi prenatali coreani non si ferma certo lì. I taemyeong possono assumere praticamente qualsiasi forma: sono piccoli universi affettivi costruiti con cibo, immagini quotidiane, giochi linguistici, desideri e superstizioni.


Soprannomi che sanno di anguria, fragole e tteok

Molto spesso, i taemyeong sono ispirati al cibo. Non è raro che il soprannome del bambino rispecchi le voglie della madre: “anguria”, “fragolina” e altre delizie diventano nomi provvisori con cui la famiglia inizia a parlare al piccolo.

Altri nomi possono sembrare semplici pietanze o verdure, ma nascondono auguri affettuosi. Chaltteok, la torta di riso glutinoso, esprime il desiderio che il bambino “resti attaccato” al grembo, che la gravidanza proceda senza rischi e non si interrompa. Yeolmu, il “ravanello giovane”, porta con sé un augurio più sottile: una gravidanza liscia e senza intoppi. In coreano, infatti, “yeol” suona come il numero dieci, mentre “mu” è associato allo zero. Dentro un nome così semplice si nasconde il desiderio di attraversare con serenità l’intero percorso, dall’inizio alla fine.

Questi soprannomi sembrano quasi piccole formule affettive: un modo tenero, creativo e profondamente simbolico di immaginare il bambino prima ancora di incontrarlo.


Taegyo: educazione prenatale e legame emotivo

L’uso dei taemyeong è legato a una cultura che dà enorme importanza all’educazione prenatale, il taegyo. Non si tratta solo di ascoltare musica classica, leggere storie o parlare dolcemente al bambino non nato. In Corea, il taegyo è un approccio molto radicato che mira a costruire un legame emotivo forte già durante la gravidanza.

Molte future mamme tengono un diario della gravidanza, scrivendo pensieri, paure, desideri e rivolgendosi al bambino chiamandolo già per nome; quel nome provvisorio, affettuoso, che ancora non finirà sui documenti ma che intanto lo rende una presenza reale nella loro vita.

Anche se gli effetti educativi del taegyo non sono mai stati dimostrati scientificamente, resta una pratica profondamente sentita. In questo contesto, il taemyeong diventa un ponte emotivo: permette alla famiglia di relazionarsi al bambino come a qualcuno che “c’è già”, anche se non è ancora nato.


Una funzione pratica: quando il nome legale può aspettare

In Corea, il taemyeong è utile anche da un punto di vista molto concreto. La legge prevede che i genitori registrino la nascita del bambino entro 30 giorni, online o presso l’ufficio distrettuale.

Non è come in altri Paesi, dove il certificato di nascita viene compilato direttamente in ospedale subito dopo il parto, costringendo i genitori a scegliere il nome legale in anticipo o comunque quasi immediatamente. In Corea, quei 30 giorni sono una finestra preziosa: si può riflettere, valutare, confrontarsi, e non è raro che la decisione arrivi solo dopo alcune settimane dalla nascita.

Nel frattempo, il bambino viene chiamato con il suo taemyeong. Se entri in un reparto maternità coreano da straniero, potresti restare spiazzato nel vedere neonati avvolti nelle coperte con cartellini che sembrano più scherzi affettuosi che nomi veri e propri. Dietro a quei nomi buffi, però, c’è un intero universo culturale, simbolico ed emotivo.


“Come si chiama il tuo bambino?” – quando la domanda nasconde un’altra aspettativa

Per chi viene da fuori, la domanda «Qual è il soprannome del tuo bambino?» può sembrare stranissima. Altrove può capitare di scherzare con espressioni come “panino nel forno” o “strana creatura che mi sveglia di notte”, ma difficilmente questi diventano nomi usati in modo costante da tutta la famiglia.

In Corea, invece, il taemyeong è dato per scontato. È il modo normale di riferirsi al bambino durante la gravidanza. Non è il nome ufficiale che comparirà sui documenti anche se, a volte, succede che il soprannome resti così appiccicato da trasformarsi nel nome definitivo.

Chi decide di non scegliere un taemyeong può ritrovarsi a ricevere qualche sguardo perplesso, come se mancasse un tassello importante nel rituale della gravidanza. Ma proprio in questa frizione tra abitudine coreana e sguardo straniero si apre uno spazio interessante: quello in cui si iniziano a confrontare sensibilità diverse su cosa significhi “prepararsi” a dare il benvenuto a un figlio.


Diventare genitori in Corea: tra test di gravidanza, carte di felicità e centri sanitari di comunità

Gravidanza in Corea non significa solo taemyeong, ma un intero ecosistema di servizi, abitudini e piccole differenze quotidiane che, se arrivi da un altro Paese, noti immediatamente.

Tutto parte da un oggetto piccolissimo: il test di gravidanza. Trovarlo è estremamente semplice: basta entrare in farmacia, chiedere “imsin test juseyo” (“test di gravidanza, per favore”) e in pochi minuti si ha in mano la risposta che ti cambierà la vita. Le farmacie sono ovunque, spesso almeno una a ogni isolato, e il consiglio è semplice: non avere paura di chiedere. Sapere è sempre meglio che restare nel dubbio.

Da lì in poi, il sistema coreano prova , anche per necessità demografiche, a sostenere le famiglie in ogni modo possibile. Una delle misure più tangibili è la National Happiness Card, una carta offerta a tutte le donne in gravidanza, straniere e coreane, a patto che versino i contributi nel sistema di assicurazione sanitaria nazionale.

La carta ha un valore di 500.000 won (o anche di più, a seconda dell’anno) e può essere utilizzata in qualsiasi ospedale o clinica per coprire le spese legate alla gravidanza: visite, esami, controlli. È un sostegno concreto, pensato per alleggerire almeno un po’ il peso economico di un percorso spesso lungo e complesso.


I centri di sanità pubblica: integratori, esami e corsi gratuiti

Un’altra risorsa fondamentale sono i centri sanitari di comunità. Ogni distretto (gu) ne ha uno: per trovarlo, basta prendere il nome del proprio quartiere e aggiungere “bogunso”.

In questi centri si possono ottenere gratuitamente integratori di ferro e vitamine, oltre a fare esami del sangue che, in uno studio privato, verrebbero pagati di tasca propria. In base alla situazione economica della donna o della coppia, e alle loro condizioni lavorative, possono essere offerti ulteriori esami, supplementi e sussidi.

Non si tratta solo di prestazioni mediche: vengono organizzati anche corsi gratuiti su temi come l’alimentazione sana in gravidanza o l’allattamento. L’errore più comune è scoprirne l’esistenza troppo tardi, magari a pochi giorni dal parto, realizzando di aver pagato ciò che si sarebbe potuto ottenere gratuitamente. L’ideale sarebbe andarci all’inizio della gravidanza, per capire bene a quali servizi si ha diritto.


Un badge per sedersi in metro: “Imsanbu Meonjeo”

Un dettaglio che colpisce molto chi viene dall’estero è il badge per le donne incinte. Una volta confermata la gravidanza, l’ufficio distrettuale locale consegna un piccolo contrassegno con la scritta “Imsanbu Meonjeo”, cioè “Donne incinte prima”.

Questo badge serve soprattutto alle donne che non sono ancora visibilmente incinte, ma affrontano comunque nausea, stanchezza, vertigini e tutti i disagi dei primi mesi. Appendendo il badge in modo ben visibile sulla borsa o sulla giacca, diventa più facile trovare posto sui mezzi pubblici senza dover giustificare il proprio stato a ogni corsa.

Per chi usa quotidianamente metro e autobus durante la gravidanza, è uno strumento piccolo ma prezioso: un modo silenzioso per chiedere spazio e considerazione.


Gravidanza e lavoro: tra stereotipi, congedi e lotte da affrontare

C’è un aspetto della gravidanza in Corea che può risultare particolarmente spiazzante per chi arriva da contesti diversi: la percezione diffusa che una donna incinta non debba lavorarePer chi è cresciuto in Paesi dove è normale, pur con tutte le difficoltà,lavorare fino agli ultimi mesi, ascoltare frasi del tipo “ma sei incinta, non puoi lavorare” può risultare persino offensivo.

Ci sono donne che, appena scoperta la gravidanza, lasciano immediatamente il lavoro. Non è sempre così, ma non è affatto raro. Questo rende più comprensibile, ad esempio, l’atteggiamento di certi datori di lavoro: vedere arrivare una donna con il pancione può scatenare esitazioni, dubbi, richieste implicite di “fare un passo indietro”.

Per chi lavora come freelance, a volte l’unica soluzione è non dire nulla prima di presentarsi sul posto. Una volta lì, davanti a occhi un po’ spaventati, bisogna spiegare che esistono idee diverse su ciò che si può o non si può fare in gravidanza e che non si accetterebbe un incarico se non ci si sentisse in grado di portarlo a termine.

Da un punto di vista legale, in Corea esiste il congedo di maternità, che può arrivare fino a tre mesi. Ma il fatto che sia previsto sulla carta non significa che venga concesso senza resistenze. Anzi: è molto probabile dover lottare per ottenerlo.

Spesso i datori di lavoro non conoscono bene i diritti delle lavoratrici incinte, anche perché molte preferiscono licenziarsi non appena scoprono di aspettare un bambino. In altri casi, è proprio il datore di lavoro a cercare di convincere la donna di non avere diritto a un congedo che, invece, le spetta di pieno diritto.

Per questo è fondamentale arrivare preparate: conoscere in anticipo le proprie tutele, avere un’idea chiara di come ci si vuole muovere e presentarsi a qualsiasi incontro già informate. Solo così si può affrontare una conversazione che, altrimenti, rischia di trasformarsi in una lunga serie di “no” non motivati.


Scegliere (e cambiare) medico tutte le volte che serve

Uno dei punti di forza del sistema coreano è la grande disponibilità di ospedali e centri nascita, soprattutto nelle grandi città come Seoul. Il livello generale è simile, anche se alcuni posti sono più costosi di altri, e non bisogna avere paura di cambiare medico più volteSi può iniziare con una ginecologa, passare a un medico in un grande ospedale e poi spostarsi ancora in un piccolo centro nascita vicino casa. È possibile farlo anche abbastanza avanti nella gravidanza, senza che questo crei particolari problemi. La cosa davvero importante è avere il tempo di guardarsi intorno: visitare più strutture, fare domande, valutare chi mette più a proprio agio. La gravidanza è un viaggio lungo, ed è essenziale sentirsi ascoltate e rispettate dal proprio medico.


Ecografie a ogni visita e app per conservare i ricordi

Un’altra differenza evidente rispetto ad altri Paesi è la frequenza delle ecografie. Ci sono contesti in cui se ne fanno due in tutta la gravidanza, magari nessuna dopo la ventesima settimana. In Corea, invece, è normale che venga fatta un’ecografia praticamente a ogni visitaI medici rassicurano sul fatto che non ci siano rischi particolari, e molte future mamme vivono questa abitudine come un dono: un’occasione in più per vedere come sta crescendo il bambino, seguirne i movimenti, sentirlo meno astratto Naturalmente, se non si è a proprio agio con tutte queste ecografie, si può rifiutarle. È un diritto. Molti ospedali e cliniche usano anche applicazioni dedicate, su cui caricano foto e video delle ecografie. In questo modo, tutto resta archiviato sul telefono e diventa facilissimo mostrare il pancione in 3D ad amici e parenti, ovunque si trovino. Per sapere quale app utilizza la struttura in cui si è in cura, basta chiedere alla reception.


Nessuno ti tocca la pancia (a meno che tu non lo chieda)

Se in alcuni Paesi è quasi inevitabile che familiari, amici e perfino sconosciuti ti tocchino la pancia senza chiedere, in Corea succede l’esatto contrario: nessuno ti mette le mani addossoUn’altra differenza importante riguarda la preparazione al parto. In molti contesti occidentali esistono corsi strutturati, in cui si impara a gestire il respiro, a riconoscere le contrazioni, a prepararsi mentalmente ed emotivamente alla nascita. In Corea, questi corsi non ci sono. L’idea di base è che, in quanto donna, il tuo corpo “sa già cosa fare”. È dopo la nascita che potrebbe servire più aiuto.

Non mancano, però, i corsi di yoga prenatale, spesso offerti nei centri di comunità o nei centri nascita. Arrivano di solito nel secondo trimestre, mentre nel terzo le raccomandazioni si concentrano sulle passeggiate e su un’attività fisica moderata. Più che preparare tutto in anticipo, l’idea è di ascoltare il corpo e affidarsi al supporto del personale al momento del bisogno.

Dopo il parto, invece, ci si aspetta spesso che la donna vada a vivere per un po’ con la propria madre o con la suocera, o che una delle due venga da lei, per aiutarla e insegnarle come prendersi cura del neonato. Se questo non è possibile o non è desiderato, molte donne scelgono di soggiornare in un hotel post-partum, i sanhujoriwon, dove possono restare da due settimane a un mese per riposarsi e seguire corsi su come accudire il bambino.


Superstizioni sulla gravidanza: sogni, simboli e intuizioni

Intorno alla gravidanza, in Corea, non ci sono solo servizi e burocrazia: c’è un mondo di superstizioni e credenze che convivono con ecografie 3D e app sul telefono.

Una delle più affascinanti riguarda i sogni di concepimento, chiamati taemong. Tradizionalmente, può essere la donna incinta, ma anche una sorella, la madre o la suocera ad avere un sogno che indica che qualcuno in famiglia è incinto. Il simbolismo del sogno suggerisce anche il sesso del bambino.

Alcuni esempi ricorrenti:

  • per un maschio, si dice che siano significativi i sogni con una tigre, un drago, un frutto con semi all’interno o un animale forte e muscoloso;
  • per una femmina, invece, un uccello, un serpente, un anello o un fiore.

Sono interpretazioni tradizionali, ma non sono rigide. Può capitare che qualcuno sogni, per esempio, un elefante gigantesco e lo interpreti comunque come segno di una gravidanza in arrivo, semplicemente per la sua imponenza.

Baby shower, dol e il timore di “sfidare” la sorte

I baby shower, così come vengono intesi in molti Paesi occidentali, non sono particolarmente diffusi in Corea. Tradizionalmente, non ci prepara molto in anticipo per l’arrivo del bambino perché questo viene visto come un modo per “sfidare la sorte”. Prepararsi troppo presto portava sfortuna. Anche se, alcune coreane hanno confessato che vorrebbero che questa tradizione fosse più presente anche in Corea: è un modo bellissimo per riunire amici e familiari, condividere attese, prepararsi insieme al grande evento. Di solito, in Corea non si organizza una grande festa per il bambino fino ai 100 giorni di vita o al primo compleanno, quando si celebra il dol, una cerimonia importante, simbolica e piena di rituali.


Fare esercizio in gravidanza

Un’altra differenza culturale forte riguarda il movimento in gravidanza. C’è chi ama correre, fare yoga, andare in bici, fare trekking, stare all’aria aperta. In molti contesti, mantenere un’attività fisica moderata è considerato sano, ovviamente ascoltando il proprio corpo. In Corea, però, capita spesso di sentirsi ripetere che sarebbe meglio smettere di fare esercizio. Prima arriva lo yoga prenatale (di solito nel secondo trimestre), poi le passeggiate consigliate nel terzo. Ma nei primi mesi non è raro che chi ti sta intorno ti dica di sederti, anche quando tu senti il desiderio di alzarti e muoverti. Anche i medici, a volte, insistono perché si rinunci all’attività fisica. Si può provare a spiegare che ci si sente bene, che non si sta esagerando, che si sta solo cercando un modo per scaricare l’energia accumulata. Ma la preferenza generale resta spesso quella di una gravidanza più “statica” di quanto molte persone abituate a muoversi troverebbero naturale.

Alla fine, che si tratti di scegliere un taemyeong buffo o di capire se è il momento giusto per andare in ospedale, il filo rosso è sempre lo stesso: prepararsi ad accogliere una nuova vitaIn mezzo a tutto questo, il taemyeong resta una delle immagini più tenere e potenti: un nome provvisorio, buffo, simbolico, che racchiude in poche sillabe il desiderio di proteggere, di sperare e di iniziare ad amare qualcuno che, per ora, esiste solo come una piccola vita che si muove, silenziosa, dentro di noi.


Fonti

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