4 giugno 2025

La storia del Tè in Corea


Il mondo del tè in Corea è un universo antico e affascinante, che affonda le radici in oltre duemila anni di storia. Eppure, nonostante la sua lunga tradizione, è ancora oggi un tesoro nascosto, spesso messo in ombra dalla fama più ampia della cultura del tè in Cina o in Giappone. In Corea, l’industria del tè ha subito un forte ridimensionamento negli ultimi decenni, surclassata da una vera e propria ossessione collettiva per il caffè. Ma le tracce del legame profondo tra il popolo coreano e il tè non sono svanite. Sono lì, sotto la superficie, pronte a riemergere nei momenti in cui si sente il bisogno di rallentare. Sempre più spesso, in questi ultimi anni, i coreani stanno riscoprendo questo legame antico come una strada per ritrovare equilibrio, radici e serenità.

La leggenda vuole che il tè sia arrivato in Corea grazie ai monaci buddhisti, attorno al VII secolo. Come spesso accade in Asia, le rotte culturali passavano attraverso la spiritualità: furono proprio i monaci, di ritorno dagli studi in Cina, a portare con sé non solo il sapere religioso, ma anche la pratica raffinata del tè. Tuttavia, secondo un’antica cronaca coreana, il Samguk Yusa ("Memorabilia dei Tre Regni"), esiste anche un'altra affascinante versione della storia: il tè sarebbe stato introdotto da Heo Hwang-ok (허황옥), la prima regina del Geumgwan Gaya, una figura leggendaria di origine indiana. Si narra che, sposando Re Suro e approdando per la prima volta in Corea, portò con sé una pianta di tè che piantò nella nuova terra. Ma al di là della leggenda, è opinione diffusa che furono i monaci buddhisti a dare vera linfa alla cultura del tè in Corea, integrandola nei rituali religiosi e nei momenti di connessione spirituale.

Proprio come la Cina ha la cerimonia Gongfu e il Giappone la Chanoyu, anche la Corea custodisce la sua tradizione cerimoniale: si chiama Darye (다례), letteralmente “rito del tè”. Una pratica elegante e raccolta, portata avanti da più di mille anni. All’inizio veniva eseguita come offerta agli dèi o agli spiriti dei defunti, spesso in contesti buddhisti o durante rituali commemorativi per i re. Con il tempo, però, soprattutto durante la dinastia Joseon, la cerimonia del tè si è trasformata: è uscita dai templi ed è entrata anche nelle case dei reali e, in forme più semplici, nella vita del popolo. I reali la eseguivano in occasioni formali, mentre il popolo la integrava nella jesa (제사), la cerimonia che si tiene in memoria degli antenati. In passato, il tè aveva un ruolo centrale in questi momenti, anche se oggi non è più così comune.

La bellezza del Darye sta nei dettagli: si svolge su tavoli bassi, con movimenti lenti e misurati, quasi danzati. Ogni gesto è pensato per creare armonia, per trasformare il semplice gesto del bere in un momento di ascolto. L’ospite non solo prepara il tè con cura, ma spesso intrattiene una conversazione leggera con chi partecipa. L’atmosfera è rilassata, mai frettolosa. E a seconda dell’occasione, si usano diversi tipi di ceramica – dal bianco più semplice fino ai toni bronzo o verde giada. Anche l’occhio ha la sua parte, perché ogni dettaglio concorre alla creazione di un momento di equilibrio.

Nel corso della storia, anche i tipi di tè consumati in Corea si sono evoluti. Un tempo si usavano soprattutto Tea Bricks o Tea Cakes, spesso a base di tè nero. Ma con l’influenza cinese, il ventaglio si è ampliato: tè al crisantemo, all’artemisia, e infusi di ogni genere hanno iniziato a diffondersi. La Corea ha poi sviluppato una sua produzione più “locale”, come lo yujacha (유자차), fatto con la frutta yuja e trasformato in una sorta di marmellata da sciogliere in acqua calda. Questi tè, conservati nello zucchero e spesso serviti come rimedi naturali, sono diventati apprezzatissimi anche all’estero, soprattutto in Giappone. Oltre ad avere sapori delicati e variegati, portano con sé una forte componente terapeutica: leniscono, scaldano, curano.

Oggi, però, il tè non ha più lo spazio di un tempo nella vita quotidiana dei sudcoreani. L’invasione del caffè – elegante, veloce, modaiolo – ha relegato il tè in un angolo più intimo e silenzioso. Ma proprio per questo, in un’epoca in cui si corre sempre, il tè sta tornando. Sta tornando nei gesti di chi cerca pace, di chi si sente sopraffatto dallo stress, di chi desidera un attimo per respirare. Sempre più persone si stanno avvicinando alla cerimonia del tè non per nostalgia, ma per bisogno. Come un piccolo rito di benessere, per il corpo e per l’anima. Alcuni infusi vengono bevuti quando si è malati, altri sono più indicati in certi periodi dell’anno – come lo yujacha, che scalda cuore e mani durante l’inverno.

Il tè, in fondo, non è solo una bevanda. È un simbolo. È una pausa in un mondo che non si ferma mai. È un ponte tra passato e presente. E, anche se non è più al centro della quotidianità come un tempo, conserva ancora un posto speciale nella cultura alimentare coreana. I suoi sapori sono molti – amaro, dolce, aspro, salato, acido – come le emozioni della vita. Ed è forse proprio per questo che, oggi, in silenzio, il tè sta ritrovando il suo spazio: in una tazza condivisa, in un momento di ascolto, in quella lentezza che consola e che cura.

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