29 dicembre 2025

Chunhyang, il canto del pansori e le ombre delle gisaeng

 


Ogni volta che arriva la primavera, la mente corre a una storia precisa: quella di Chunhyang. Il suo stesso nome, Chunhyang (춘향), significa “profumo di primavera”, e porta con sé l’idea di qualcosa di effimero ma persistente, che torna puntuale ogni anno, come un ricordo che non si lascia archiviare. Attorno a questa figura, però, non c’è solo una romantica leggenda popolare: c’è un intero universo culturale fatto di canti, palchi improvvisati nei mercati, ciliegi in fiore, funzionari corrotti, donne che cercano margini di libertà dentro un sistema rigido… e ci sono anche le gisaeng, quelle danzatrici-colte che tanti paragoni hanno attirato con le geishe giapponesi, sospese tra bellezza, arte e stigma. Per capire fino in fondo la forza di Chunhyang, bisogna partire da lì: dal pansori, il canto narrato che le ha dato voce.


Il pansori: una voce, un tamburo e tutto un mondo

Il pansori è probabilmente una delle forme d’arte “tradizionali” coreane più conosciute fuori dalla Corea, spesso descritto come una sorta di “opera coreana”, o, in tempi più recenti, chiamato con una formula più accattivante: K-Opera. In realtà, prima ancora di essere una “grande forma” da teatro prestigioso, è sempre stato, profondamente, una forma di narrazione orale. È popolare tra i coreani fin dal XVII secolo e nasce in contesti tutt’altro che elitari: i cantori, chiamati kwangdae, si esibivano nei villaggi rurali o nei mercati, in spazi aperti, davanti a pubblici misti e rumorosi. Quello che colpisce del pansori è la semplicità apparente dell’allestimento: sul palco o dove capita, perché la sua forza è proprio quella di poter essere eseguito ovunque, ci sono solo due figure. Un cantante (kwangdae), che porta sulle spalle l’intero peso della storia, e un percussionista (kosu), che lo accompagna con il tamburo, lo sostiene, lo incalza, lo interroga. Questa essenzialità pratica permetteva alle esibizioni di nascere e vivere quasi ovunque: bastava uno spazio, qualche ascoltatore, una voce allenata e un tamburo.

Tradizionalmente, il cantante raccontava una storia scelta da un repertorio di dodici opere, chiamate madang. Tra queste, una delle più celebri è proprio La canzone di Chunhyang. I cantori di pansori non si limitano a “cantare un testo”: variano ritmo e melodia, si muovono tra registri diversi, seguono i cambiamenti di situazione e di atmosfera man mano che la storia si sviluppa, e modulano ogni nota per aderire allo stato emotivo dei personaggi. Il racconto procede alternando parti cantate e parti recitate, creando una forma narrativa pienamente multimodale, in cui la voce non è solo suono, ma gesto, corpo, commento, a volte anche ironia. Non è un caso che si ritenga che il pansori si sia sviluppato a partire dai canti sciamanici: lunghi racconti orali che mescolavano passaggi parlati e parti cantate. Le ricerche hanno messo in luce come questi canti rituali e le narrazioni di pansori, soprattutto quelle nate nella regione di Jeolla-do, siano spesso identici, o quanto meno molto simili, per tecniche utilizzate e struttura.

La differenza, però, è fondamentale. I canti sciamanici sono intrinsecamente sacri: al centro c’è una divinità sciamanica dotata di poteri speciali, e lo scopo è apertamente religioso e spirituale. Il pansori nasce invece come narrazione laica, che rappresenta in modo realistico i problemi della vita quotidiana della gente comune. Il suo orizzonte di senso ruota intorno a debiti, desideri, frustrazioni, ingiustizie, speranze della vita di tutti i giorni. Proprio perché si rivolgeva a un pubblico ampio e popolare, nelle performance di pansori veniva spesso introdotto il linguaggio colloquiale per spiegare meglio la trama o chiarire alcuni passaggi dei dialoghi. Questa scelta, così concreta e “terra terra”, aveva un effetto collaterale importante: gli spettacoli erano lunghissimi. Una rappresentazione completa de La canzone di Chunhyang può arrivare a durare sette o otto ore. È un’esperienza di immersione totale in cui il pubblico, letteralmente, si trasferisce dentro la storia per un’intera giornata.


Dal rito alla pagina: come il pansori ha cambiato la letteratura coreana

Si sostiene spesso che l’origine della letteratura coreana moderna possa essere fatta risalire proprio al pansori. Il passaggio chiave avviene quando queste narrazioni, nate per essere dette e cantate, iniziano a essere fissate per iscritto e a circolare come testi da leggere. Nel momento in cui le storie del pansori diventano libri, si consolida un pubblico specifico per questo tipo di narrativa e, contemporaneamente, si apre la strada a una nuova forma di rappresentazione: più attenta, più realistica, più concentrata sulle condizioni sociali dei ceti popolari durante il periodo Joseon. L’affermazione del pansori come forma d’arte autonoma è profondamente legata ai cambiamenti sociali della tarda epoca Joseon. Da un lato, la crisi dell’ordine confuciano tradizionale; dall’altro, la crescita parallela della classe dei comuni, che iniziava a rivendicare spazi, voci, diritti. Entrambi questi fenomeni contribuirono a secolarizzare lo sciamanesimo, indebolendo la credenza che i problemi quotidiani potessero essere risolti con incantesimi e rituali. In questo vuoto che si apre tra il sacro che arretra e il quotidiano che avanza, la richiesta di una forma d’arte più realistica, coinvolgente e “umana” cresce in modo esponenziale.

All’inizio il pansori era molto semplice e la sua funzione primaria era l’intrattenimento, in netto contrasto con i canti sciamanici, legati al mondo spirituale. Gli artisti, però, avevano bisogno di un pubblico per sopravvivere: non potevano permettersi di raccontare storie che la gente non sentisse proprie. Così scelsero di perfezionare antiche storie già note alle masse, invece di crearne di completamente nuove. È grazie a questo lavoro di raffinazione continua che un repertorio di racconti conosciuti finisce per consolidarsi e, alla lunga, il numero delle opere arriva a dodici. Quando queste dodici opere iniziano a essere codificate come forme d’arte musicali e letterarie raffinate, non sono più solo “spettacoli da mercato”. Attirano l’attenzione anche dell’élite colta di Joseon, soprattutto nel XVIII secolo. Un esempio simbolico è quello di Yu Chinhan, che ascoltò La canzone di Chunhyang e ne rimase talmente colpito da riscriverla in cinese letterario, elevandone lo status e rendendola compatibile con i codici culturali dell’élite.

Per lungo tempo, il pansori era stato deriso e guardato dall’alto in basso, liquidato come un semplice svago per la gente comune. Ma questo processo di riscrittura, codificazione e circolazione lo trasforma in qualcosa di diverso: una forma d’arte sofisticata, capace di parlare alla sensibilità popolare e, allo stesso tempo, di soddisfare le esigenze estetiche dei letterati. In questo universo, Chunhyang è molto più che una protagonista romantica: è un nodo in cui si intrecciano storia letteraria, trasformazioni sociali e sogni individuali. Non a caso, a Namwon, la città tradizionalmente associata alla sua vicenda, esiste un santuario dedicato a Chunhyang nel Gwanghallu Garden, diventato nei secoli un luogo simbolico dove la leggenda e lo spazio urbano si sovrappongono. 


Chunhyang: il profumo di primavera e il peso delle regole

La storia di Chunhyang è considerata una delle opere più importanti della letteratura coreana e una parte duratura del patrimonio popolare del Paese. Si ritiene che abbia avuto origine proprio da un pansori, e continua ancora oggi a essere raccontata in forme diverse. È, in sostanza, una delle più celebri storie d’amore della penisola coreana, ma la sua forza va ben oltre il romanticismo. Nel tempo sono nate e si sono stratificate molte versioni della sua vicenda. Ogni generazione, ogni trascrizione, ogni adattamento ha aggiunto qualcosa, ha limato dettagli, ha spostato accenti. Una delle versioni più note, La canzone di una moglie fedele, Chunhyang, mette al centro una serie di temi tutt’altro che leggeri: il rapporto tra le donne e il confucianesimo, la frustrazione nei confronti della rigida gerarchia sociale di Joseon, la corruzione governativa e l’ipocrisia radicata nella società.

Chunhyang diventa così un prisma attraverso cui osservare non solo due innamorati ostacolati dal destino, ma anche tutte le contraddizioni di un sistema che chiede alle donne virtù assoluta, mentre le imprigiona in ruoli e posizioni subalterne. Durante la dinastia Joseon, il confucianesimo era diventato l’ideologia dominante, e questo aveva inciso profondamente sulla vita delle donne e sul loro ruolo sociale. Serabbe riduttivo, però, rappresentarle solamente come vittime passive di questo sistema. Il confucianesimo, per quanto patriarcale, era anche un insieme dinamico di norme, testi, pratiche interpretative. Proprio in queste pieghe, alcune donne riuscivano a sfruttare i principi confuciani a proprio vantaggio, usando il linguaggio dei doveri, dell’onore, della fedeltà per rivendicare margini di scelta e di resistenza Questa “agency” femminile è resa con grande lucidità in Chunhyang. Nella versione tradotta in inglese da Richard Rutt, Chunhyang è la figlia illegittima di uno yangban (un nobile) e di una kisaeng (un’intrattenitrice). La sua stessa nascita la colloca in uno spazio ambiguo: è legata alla nobiltà di sangue ma segnata dalla condizione subordinata della madre. Nonostante questo, intraprende una relazione tra classi diverse con Mongryong, il figlio del governatore locale di Namwon, nella provincia del Jeolla del Nord. Quando il padre di Mongryong viene trasferito nella capitale, i due giovani sono costretti a separarsi. Al suo posto arriva un nuovo governatore, corrotto e autoritario. È in questo vuoto di potere, nel passaggio da un’autorità legittima a una abusante, che la storia di Chunhyang cambia tono.


Una moglie fedele in un mondo ingiusto

Chunhyang si considera ormai, di fatto, una donna sposata. Quando il nuovo governatore insiste perché diventi la sua amante, lei rifiuta. Non lo fa appellandosi soltanto al sentimento o alla gelosia, ma chiamando in causa i principi confuciani stessi. Pronuncia una frase che riassume, in poche parole, tutta la sua posizione morale:

“Un suddito non può servire due re, e una moglie non può appartenere a due mariti: questo è il mio principio.”

Il governatore, in un primo momento, sembra apprezzare questa fermezza e la elogia. Ma è un apprezzamento superficiale, quasi estetico: poco dopo torna a trattarla come una semplice kisaeng, come una donna il cui valore e la cui libertà dipendono solo dal suo capriccio. La spinge a obbedire ai suoi ordini, ignorando volutamente il principio che lei ha appena rivendicato.

Chunhyang, in risposta, mette a nudo l’ipocrisia del sistema. Afferma che “la virtù di una donna è la stessa per i ranghi alti e per quelli bassi” e cita una serie di kisaeng riconosciute per il loro “buon carattere”. Così facendo, contraddice l’idea che l’onore, la fedeltà, la moralità appartengano solo alle mogli legittime delle famiglie nobili. La scena rende in modo vivido la frustrazione per una società che pretende virtù assoluta da alcune donne, mentre ne considera altre automaticamente disponibili e sacrificabili. Sul piano legale, questo clima si riflette anche nelle norme che, durante la dinastia Joseon, vennero introdotte per accentuare la distinzione tra mogli “primarie” e mogli “secondarie”. Queste ultime, insieme ai loro figli, erano oggetto di una discriminazione profondissima. Per questo è interessante mettere a confronto Chunhyang con sua madre, Wolmae. Wolmae è una kisaeng ed è stata moglie secondaria di un governatore yangban. Quando Mongryong la raggiunge per chiederle il permesso di sposare Chunhyang, lei lo invita alla prudenza. Ricorda il suo passato dicendo che il defunto marito “scambiò un aquilone per un falcone e mi chiamò al suo servizio”: una frase autoironica che suggerisce come l’infatuazione e il desiderio del marito avessero compromesso la sua capacità di valutare le conseguenze sociali e legali della loro relazione.

Wolmae rivede lo stesso rischio in Mongryong. Lo avverte di non sottoporre Chunhyang agli stessi tormenti che ha vissuto lei. Gli spiega chiaramente che, se dovesse decidere di abbandonarla, la ragazza resterebbe senza nulla e, molto probabilmente, non riuscirebbe a risposarsi. La sua difficile situazione economica è la conseguenza diretta del suo status: in quanto moglie secondaria, non aveva diritto all’eredità. Alla morte del marito non le è stato lasciato denaro sufficiente per vivere dignitosamente. Nonostante le sue paure, però, Wolmae non è solo amarezza. Rimane ottimista sul fatto che i due giovani possano “recidere i legami col passato”, e questo desiderio racconta una tensione collettiva: un bisogno di cambiamento che, in quel periodo della storia di Joseon, era molto diffuso.


Funzionari corrotti, ispettori segreti e il sangue del popolo

Chunhyang non si limita a raccontare un amore ostacolato, né a esplorare il rapporto tra le donne e il confucianesimo. Entra anche nel cuore politico della tarda epoca Joseon. In quel periodo, diversi funzionari-scrittori controllavano i governi locali. Questi governi erano spesso corrotti, e la distanza tra i proclami morali del sistema confuciano e la realtà quotidiana era evidente a chiunque dovesse pagare tasse e tributi. Come risposta a questi abusi, il re, a volte, inviava degli ispettori segreti con il compito di indagare e smascherare ciò che accadeva nelle province. Questo ruolo fu ricoperto, tra gli altri, anche da figure come Jeong Yakyong: intellettuali-funzionari che si muovevano tra teoria politica e pratica amministrativa. Nel racconto di Chunhyang, il governatore corrotto e la successiva nomina di Mongryong a ispettore segreto rispecchiano direttamente questa realtà. Non è un caso se le pratiche di estorsione si concentrano attorno al sistema della tassa sul grano: i governi locali traevano profitto sfruttando meccanismi di prestito, interessi e restituzioni scorrette. Nel suo ruolo di ispettore segreto, Mongryong recita durante un banchetto in onore del governatore:

“Il vino pregiato in coppe d’oro è il sangue del popolo. Le vivande su piatti di giada sono la carne del popolo.”

Sono due versi durissimi, una denuncia diretta della ricchezza ostentata dal governatore, che non è altro che il frutto del sangue e della fatica dei contadini. Questo era molto diffuso nelle opere satiriche coreane. Il fatto che compaia qui e in molte altre versioni di Chunhyang, nonostante le continue riscritture e revisioni della storia, suggerisce un forte e duraturo apprezzamento per questi versi e per il sentimento radicale che esprimono. È il grido di un popolo che vede la propria sofferenza trasformata in banchetti e coppe d’oro.


Da Namwon allo schermo: Chunhyang nell’epoca dei drama

La storia di Chunhyang non si è fermata al pansori e ai testi scritti. Oggi esistono numerose rivisitazioni moderne della sua vicenda. Tra le più famose, almeno in tempi relativamente recenti, c’è il drama televisivo del 2005 Sassy Girl Chun-hyang, con Han Chae-young, Jae Hee, Uhm Tae-woong e Park Si-eun. Questa serie ha una colonna sonora che combina rap moderno e pansori, creando un ponte curioso tra tradizione vocale antica e ritmi contemporanei. È stata anche la prima serie scritta dal celebre duo di sceneggiatrici Hong Jung-eun e Hong Mi-ran, le cosiddette “Hong sisters”, che da allora sono diventate un nome di riferimento nel panorama dei drama. Interessante è anche il modo in cui la storia viene spostata nel tempo. Invece di concentrare l’attenzione sui funzionari corrotti e sul rapporto tra le donne e il confucianesimo, il drama sceglie di esplorare alcune questioni economiche e sociali centrali dei primi anni 2000: precarietà, sogni di successo, diseguaglianze, pressioni familiari, nuove forme di mobilità sociale. 

La longevità di Chunhyang sembra derivare proprio da questa capacità di adattarsi ai tempi, pur restando radicata nel suo intreccio classico di amanti ostacolati dal destino. Oggi, questa eredità non vive solo sugli schermi. A Namwon, nella provincia del Jeolla del Nord, è possibile visitare un parco a tema Chunhyang, a circa un’ora di autobus da Gwangju. Namwon è tradizionalmente l’ambientazione della storia, e il parco diventa uno spazio in cui la leggenda prende forma tra padiglioni, statue e installazioni. Chi arriva lì può partecipare al Chunhyang Festival, che prevede rappresentazioni del pansori dedicato a Chunhyang e persino un concorso di bellezza: Miss Chunhyang. In primavera, quando i ciliegi in fiore si aprono lungo i viali, il paesaggio rende ancora più evidente il legame tra questa figura letteraria e l’idea di una stagione che profuma di rinascita, ma non cancella mai del tutto il peso delle ingiustizie che lei ha attraversato.


Dalle kisaeng alle gisaeng: donne tra arte, Stato e desiderio

Accanto alla figura di Chunhyang, e in parte intrecciata alla sua storia attraverso il personaggio di Wolmae, si muove un’altra presenza costante nella cultura coreana: quella delle gisaeng (o gesang, nella trascrizione antica). In Corea esiste una classe di danzatrici che corrisponde, per certi aspetti, alle geishe del Giappone. Le gisaeng appartengono formalmente allo Stato: ricevono il loro sostentamento dal tesoro nazionale e sono controllate da un dipartimento specifico, collegato al corpo ufficiale dei musicisti. Sono, a tutti gli effetti, una risorsa amministrata dal governo, destinata a svolgere un ruolo preciso nei contesti cerimoniali, diplomatici e mondani.

In una società segnata dalla povertà diffusa, capita che un uomo, se ha più figli di quanti ne possa mantenere, decida talvolta di affidare un figlio maschio al governo perché diventi un eunuco. In questo modo gli assicura una forma di sostentamento e, potenzialmente, anche onori molto elevati. In passato, infatti, l’ordine degli eunuchi aveva ottenuto ed esercitato un grande potere, grazie alla vicinanza alla Famiglia Reale. Allo stesso modo, un uomo può decidere di dare sua figlia perché diventi una gisaeng. La bambina viene presa in tenera età e affidata a bravi maestri che la istruiscono con cura nella musica, nella lettura e nella scrittura, e nei lavori di fino. Rispetto alla maggior parte delle donne comuni, che non avevano accesso a un percorso formale di istruzione, queste ragazze risultano molto più colte e preparate. Non stupisce, quindi, che la loro compagnia sia molto ricercata: sanno conversare, intrattenere, suonare, cantare, danzare.

Un altro elemento che le distingue è la libertà di movimento. Le gisaeng si mescolano liberamente con uomini e donne, senza quell’imbarazzata modestia che ci si aspetta dalle “signore per bene”. Queste ultime, infatti, possono vedere solo gli uomini della propria famiglia immediata e non possiedono le stesse abilità artistiche delle gisaeng.