23 dicembre 2025

Il lato strano della Corea e le superstizioni che non ti aspetti (terza parte)


Ogni volta che penso di aver capito un po’ meglio la Corea del Sud, spunta fuori una superstizione nuova pronta a ricordarmi che questo Paese ha un talento speciale per sorprendere anche i fan più navigati. Non importa quanti drama abbia visto, quante ore abbia passato su YouTube, o quante notti insonni a leggere articoli random di cultura coreana. Piccole finestre sulla cultura coreana che, ve lo prometto, renderanno ancora più interessante il modo in cui guardate i vostri k-drama preferiti. Pronti a scoprire questo lato meno conosciuto della Corea? Allora accomodatevi: iniziamo il viaggio.

Una mela di notte? Dipende da chi te lo dice

Siamo cresciuti con quel vecchio proverbio rassicurante: “Una mela al giorno leva il medico di torno.” Una frase che, nella sua semplicità, ha accompagnato generazioni di bambini occidentali, insegnando che la salute è fatta anche di piccoli gesti quotidiani. E per quanto il detto esageri un po’ le proprietà di questo frutto, nessuno ha mai messo davvero in dubbio che le mele facciano bene. In Corea, però, esiste una sfumatura che cambia tutto: la mela sì, ma non di sera. È una credenza diffusa, tramandata soprattutto dagli anziani, che sostengono che mangiare una mela la notte porti indigestioni e renda il sonno agitato. Non ne conosciamo l’origine precisa, ma è un’idea che ritorna spesso, tanto che molti coreani evitano davvero le sagwah dopo il tramonto. La domanda, allora, è inevitabile: mangiare una mela la sera fa davvero male?

In realtà, ciò che davvero disturba il riposo sono cibi pesanti, grassi, piccanti o difficili da digerire. Le mele non rientrano in nessuna di queste categorie. Anzi: sono ricche di vitamine, minerali e antiossidanti che favoriscono un sonno più profondo e regolare. Contengono vitamina C, vitamina B6 e potassio, sostanze che aiutano a rilassare il sistema nervoso, migliorare la respirazione, abbassare la pressione sanguigna e stabilizzare la glicemia. Uno degli aspetti più interessanti riguarda la serotonina, un ormone che favorisce il rilassamento e rende più facile addormentarsi. Le mele contribuiscono alla sua secrezione, regalando una sensazione di calma che accompagna dolcemente verso la notte.

Nella buccia, poi, si trovano i polifenoli, antiossidanti che regolano i livelli di zucchero nel sangue evitando picchi energetici indesiderati e aiutano il corpo a bruciare i grassi mentre dormiamo. Sono un alleato silenzioso e sorprendentemente efficace. La mela è fatta in gran parte di acqua, ma contiene fibre sufficienti per dare un senso di sazietà senza appesantire. Sono fibre solubili e facilmente digeribili, utili anche per il benessere del colon. Gli unici “contro” riguardano gli zuccheri naturali, che rappresentano circa il 10% del fabbisogno giornaliero di carboidrati; ma anche considerando questo, i benefici sono senza dubbio maggiori dei piccoli svantaggi. Mangiare una mela di sera, allora, non solo non fa male: potrebbe addirittura farci dormire meglio.

La verità è che spesso le superstizioni nascono come piccoli avvertimenti, modi per proteggere i bambini da abitudini scorrette o per spiegare in modo semplice comportamenti da evitare. Col tempo, però, alcune di esse continuano a circolare anche quando la scienza ci dice altro. E forse, in questo caso, abbiamo un’occasione per rivalutare completamente l’idea di “spuntino serale”. Forse dovremmo davvero inventare un nuovo modo di dire, una versione aggiornata, più dolce e più accurata: “Una mela di notte ti farà dormire alla grande.”

Dita arancioni e promesse d’estate

Ci sono tradizioni che sopravvivono perché nessuno sente davvero il bisogno di spiegarle. Le vedi, ti incuriosiscono, provi a chiedere… e spesso ottieni solo un’alzata di spalle. È quello che succede quando noti che molti bambini coreani, molte donne e anche alcuni uomini hanno la punta delle dita colorata di arancione. Non è smalto: l’intera falange è macchiata da una tinta calda, tra l’arancio e lo iodio, che sembra spuntare come un segreto di stagione. Se chiedi ai bambini perché abbiano le dita così, difficilmente sapranno dirti qualcosa di preciso. Magari ti risponderanno con un sorriso, o ti diranno che “si fa così in estate”. Ma la verità, come spesso accade, è molto più antica e affascinante.

Ogni anno, verso agosto, torna una tradizione che profuma di estati passate e di rituali familiari: tingere le punte delle dita con i fiori di garden balsam, chiamati bong sung ah. È un fiore che cresce generoso nei mesi più caldi, tanto che molte famiglie lo raccolgono direttamente in giardino. Per chi non ha tempo, esiste anche la polvere pronta, ma i più affezionati preferiscono farlo “come una volta”. I petali vengono raccolti e pestati con pazienza fino a diventare una pasta colorata. A volte si aggiunge un pizzico di sale. Le dita vengono ricoperte completamente da questa miscela, avvolte nella plastica e lasciate così per tutta la notte, come una piccola promessa che si compie mentre dormi. Al mattino, la pasta viene lavata via lasciando un colore intenso, luminoso. Alcuni passano uno strato di smalto trasparente per esaltarne la tonalità. Con il passare delle settimane, e man mano che l’autunno avanza, quella tinta arancione inizia a sbiadire, come un ultimo ricordo dell’estate che se ne va.

Perché farlo? Oggi, la risposta più comune è semplice: per divertimento. Ma sotto la superficie c’è molto di più. In passato si credeva che i fiori di bong sung ah tenessero lontani gli spiriti maligni e le malattie. È probabile che venissero usati anche come smalto naturale o come tintura per i tessuti, sia in Corea che in Cina, quando il colore era un linguaggio e una protezione insieme. C’è poi un mito che accompagna da secoli questa pratica, un racconto dolce che sa di attese e desideri: se il colore sulle dita resiste fino alla prima neve dell’inverno, allora troverai  e sposerai il tuo vero amore. Una superstizione romantica e ingenua, come tutte le storie che parlano di anime gemelle e destini già scritti. E forse è questo a rendere così speciale quel gesto: il modo in cui trasforma un semplice fiore in un talismano. Qualcosa che non serve davvero a tenere lontani gli spiriti, ma che resta come un gioco d’estate, un rito familiare, un frammento di magia tramandato senza fretta.

La leggenda dei reni rubati: quando la paura corre più veloce della realtà

Ci sono superstizioni che nascono per spiegare l’inspiegabile, altre che servono a proteggere, e poi ce ne sono alcune che vivono solo per spaventarci. Quella dei reni rubati appartiene a quest’ultima categoria, una storia che ha attraversato continenti e decenni, cambiando forma ma non intenzione. Tutto parte da un racconto macabro che circola dalla fine degli anni ’80: viaggiatori sedati a loro insaputa, un risveglio improvviso in una vasca colma di ghiaccio, un biglietto lasciato sul petto, un avvertimento sussurrato nel panico: “ti hanno tolto un rene”. A rendere la storia ancora più inquietante c’è il dettaglio del mercato nero, dove gli organi umani possono raggiungere cifre altissime. In queste leggende, però, le vittime non sono complici: non hanno mai acconsentito a nulla. Subiscono, nel sonno, una violazione terribile.

La buona notizia, e spesso anche la parte meno condivisa, è che non esiste alcuna prova che questi episodi siano mai accaduti davvero. Sono storie inventate, nate in un immaginario collettivo che, chissà come, trova sempre il modo di trasformare timori diffusi in trame da film horror. La Corea, naturalmente, ha avuto la sua versione di questa leggenda. E sembra che tutto sia partito proprio da una città familiare a molti: GwangjuNell’estate del 2013 cominciò a circolare uno screenshot di una conversazione su KakaoTalk. Raccontava di un rapimento, di una siringa conficcata nel collo, di un risveglio in un campo isolato, di un rene misteriosamente scomparso. La vittima? Ovviamente il classico “amico di un amico”, il protagonista senza volto di tutte le leggende metropolitane. Bastò poco: il messaggio diventò virale, accumulando migliaia di like e condivisioni su Facebook.

E come accade sempre con queste storie, la suggestione prese piede. Si racconta che una donna anziana, spaventata per il marito ubriaco che rientrava in taxi, lo avesse implorato di stare attento a una presunta “banda di trafficanti di organi” in circolazione. L’uomo, già confuso dall’alcol, prese la paura alla lettera e si lanciò fuori dal taxi in corsa, finendo con un braccio rotto. È uno di quei casi in cui la leggenda fa più danni della realtà. Bufale come questa tornano spesso durante l’estate, una stagione perfetta per far circolare storie che fanno venire i brividi a chi le legge. Non si basano su nulla di concreto, ma la loro natura sensazionalistica le rende irresistibili: più sono assurde, più vengono condivise. La leggenda del “taxi del mercato nero” divenne così famosa da essere riportata perfino da testate considerate affidabili.

A quel punto, per placare il panico generale, intervennero le forze di polizia locali. L’indagine fu rapida e definitiva: non esisteva nessuna rete criminale, nessun traffico di reni orchestrato da tassisti, nessuna minaccia nascosta tra le strade di Gwangju. La leggenda venne smentita, e insieme ad essa venne ripulita l’immagine della città, che tornò a essere considerata un luogo sicuro, accogliente e vivibile. Alla fine, la verità è molto meno drammatica di quanto raccontino le storie online. Quando saliamo su un taxi coreano, l’unica cosa di cui dobbiamo realmente preoccuparci è la velocità, a volte fin troppo entusiasta, con cui alcuni tassisti affrontano le strade. Tutto il resto appartiene a quel territorio affascinante e imprevedibile delle leggende metropolitane, dove la paura diventa intrattenimento e la realtà si trasforma, per un momento, in una storia da raccontare.

Più mi addentro in queste superstizioni, più mi rendo conto che la Corea ha un’incredibile capacità di trasformare anche le piccole stranezze quotidiane in qualcosa di affascinante. Ed è proprio questo che mi fa amare così tanto la cultura coreana: il mix perfetto tra modernità e tradizione, tra linee pulite dei grattacieli e vecchie storie che ancora resistono. Sono sfumature che spesso passano inosservate nei k-drama ma che, quando le scopri, ti fanno guardare tutto con occhi diversi.

Se queste tre superstizioni vi hanno incuriosito, sappiate che non finisce qui. La Corea ha un repertorio infinito di credenze bizzarre, poetiche, assurde o tenerissime, e nelle prossime settimane ne esploreremo altre. Perché in fondo, conoscere un Paese significa anche ascoltare le sue piccole leggende… e magari, la prossima volta che vedrete un ventilatore acceso di notte in un drama, ci farete un pensierino.

Fonti:

  • https://gwangjunewsgic.com/arts-culture/korean-myths/behind-the-myth-eating-apples-at-night/
  • https://gwangjunewsgic.com/arts-culture/korean-myths/orange-fingertips/
  • https://gwangjunewsgic.com/arts-culture/korean-myths/the-urban-legend-of-organ-harvesting-and-gwangju-taxis/

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