24 maggio 2025

Hanbok e nostalgia: un viaggio tra sete, simboli e sogni coreani

 

C’è qualcosa di profondamente rassicurante nel guardare (e riguardare) un drama storico.
Quando il presente sembra incepparsi e l’unica connessione stabile è quella con i ricordi, mi rifugio lì — in quelle storie che conosco a memoria, ma che continuo a cercare come un rifugio familiare. E capita, ogni tanto, che mi ritrovi a notare un dettaglio nuovo: un ricamo sull’orlo della manica, un fiocco che non avevo mai visto, un colore che ora mi parla in modo diverso.

Così è nato questo articolo: da un momento di stallo, da un po’ di malinconia e, soprattutto, dalla voglia di riscoprire la bellezza del hanbok, l’abito tradizionale coreano che nei sageuk (i drama storici) è molto più di un costume di scena — è un personaggio silenzioso, che racconta, che rivela, che incanta.

Hanbok: l’eleganza senza tempo

Il hanbok è l’abito tradizionale coreano, indossato sia da uomini che da donne. La sua struttura è semplice, ma i suoi significati sono infiniti. Per le donne, si compone principalmente di una giacca corta (jeogori) e di una gonna lunga (chima). Per gli uomini, invece, il jeogori si accompagna ai pantaloni larghi chiamati baji. Eppure, dentro questi pochi elementi si nascondono mondi.

Le stoffe, i colori e i dettagli cambiano in base allo status sociale, alla professione, alla cerimonia. Le figlie dei ministri brillano in sete vivaci, le gisaeng seducono con trasparenze sottili, le donne comuni indossano toni della terra in tessuti robusti e sinceri. Ogni strato, ogni nodo, ogni ricamo è un codice sociale, un messaggio.

Ma non è solo questione di status. C’è una poesia implicita nell’ondulazione della chima al vento, nel modo in cui la luce attraversa una jeogori di seta trasparente. C’è arte. C’è grazia. C’è silenzio che parla.

Tra veli, nastri e segreti

Forse l’elemento che più mi affascina del guardaroba femminile nei drama storici sono gli accessori. Quei piccoli dettagli che trasformano un abito in un racconto.

Il norigae, ad esempio, è un ciondolo ornamentale che pende dal nodo della chima o dalla cintura. Ogni forma (una farfalla, un fiore, una foglia) è una metafora; ogni movimento, un sussurro.

Poi ci sono i veli — il jangot che copre il viso con eleganza, il sseugae chima che si drappeggia come un sipario di mistero. Quando una donna lo indossa per fuggire da uno sguardo o nascondere un’emozione, il mio cuore batte un po’ più forte. Perché la moda, nei sageuk, è sempre anche un linguaggio dell’anima.

Le acconciature che raccontano vite

Una treccia può dire: “non sono ancora sposata”. Uno chignon basso fermato da un binyeo d’argento può dichiarare: “sono una donna di casa”. Un’acconciatura eoyeo meori, con il peso teatrale delle gache e delle tteoljam fluttuanti, può affermare: “sono la Regina”.

E poi ci sono le piccole cose, come la baetssi daenggi delle bambine, o le acconciature delle gisaeng, elaborate fino all’esagerazione, ma sempre magnetiche. Non sono solo belle: sono parte della narrazione. E ogni volta che provo a ricreare quelle pettinature con una coperta in testa, torno un po’ bambina anche io.

I colori del potere: quando l’abito è legge

Nei palazzi della dinastia Joseon, l’abbigliamento era regolato con la stessa precisione delle cerimonie. Ogni evento — dal lutto alla celebrazione, dal rituale al matrimonio — prevedeva un codice preciso di vesti. C’erano i jebok per i riti ancestrali, i jobok per le cerimonie ufficiali, i sangbok per l’uso quotidiano del re. E poi gli infiniti dettagli che cambiavano da un grado all’altro, da un momento all’altro.

I re indossavano il myeonbok, con i suoi nove simboli ricamati, e il copricapo myeonryugwan con le sue nove file di perle pendenti. Gli ufficiali di corte portavano i jeokchoui e i dalryeong, con gradi e creature cucite a seconda del rango: gru per i civili, tigri per i militari, kirin per i principi.

Ogni filo era parte di una gerarchia. Ogni stivale, ogni cintura, ogni manica aveva un significato.

Eppure, nonostante l’apparente rigidità del sistema, c’è una bellezza struggente nella ricchezza di questi abiti, una delicatezza nei contrasti fra colori e materiali, fra potere e vulnerabilità.

Le spose, le regine, le figlie del popolo

Il hwarot, con i suoi motivi floreali e la sua regalità intrinseca, era riservato alle principesse per i matrimoni. Il wonsam, con le sue sfumature di verde, rosso o giallo a seconda del rango, veniva concesso anche alle donne comuni per le nozze, ma solo nella versione più semplice.

Il dangui, invece, è forse il capo più noto — quella giacca lunga con orli curvi, che vediamo spesso nei drama quando le regine passeggiano nei corridoi in silenzio, lo sguardo perso, il cuore pieno. È una veste che sa di quotidianità e insieme di sogno.

E poi c’è l’hyangdae — quel nastro lungo che pende dalla giacca delle spose, bianco come un addio. Si dice servisse a raccogliere le lacrime mentre le ragazze lasciavano la casa paterna. Una delle immagini più poetiche che io abbia mai incontrato.

Gli uomini e la sobria eleganza

Mentre le donne sfoggiano veli e ricami, gli uomini si affidano a una raffinatezza più contenuta ma altrettanto intensa. I loro jeogori, i baji, i durumagi, e soprattutto i copricapi — dai classici gat trasparenti per i nobili, ai jeonrip per i militari, fino ai heukrip con fili di giada per i reali.

C’è un dettaglio che adoro: le decorazioni dei cappelli. Le gatkkeun (i cordoncini dei gat), le perle incastonate, i fermagli. E poi il modo in cui tutto è progettato per contenere, valorizzare e proteggere il sangtu, quel nodo alto che raccoglie i capelli degli uomini adulti. Un piccolo gesto che racchiude anni di cultura e crescita.

La nostalgia si cuce a mano

Mentre scrivevo questo articolo, mi sono accorta di quante cose abbiamo perso nel tempo. Non parlo solo degli abiti o dei rituali — parlo dell’attenzione ai dettagli, della lentezza del gesto, del rispetto per ciò che si indossa.

I drama storici non sono solo fiction. Sono archivi viventi, sono finestre sul passato, sono piccoli scrigni in cui la memoria si cuce a mano. E ogni volta che vedo una principessa sistemarsi il jeogori o un giovane studioso indossare il suo dopo prima degli esami, io sento che una parte di me si raddrizza. Come se anche io, nel mio piccolo, stessi tornando in forma.

Che sia un hanbok color lavanda o una chima sbiadita, ogni abito racconta una storia. E noi, spettatori affamati di bellezza e significato, non possiamo che lasciarci vestire dalla nostalgia.

Fonte:

  1. https://thetalkingcupboard.com/2011/06/11/traditional-korean-clothing-inspired-by-kdramas/
  2. https://thetalkingcupboard.com/2014/09/29/traditional-korean-clothing-part-2/

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