12 giugno 2025

Quando l'amore tossico diventa cliché: riflessioni (amaramente) romantiche sui K-Drama


Negli ultimi anni, sempre più fan hanno cominciato a guardare i K-Drama con uno sguardo diverso, più critico. Quei cliché che un tempo ci facevano sospirare oggi iniziano a sembrarci… un po’ indigesti. E non perché siamo diventati cinici, ma perché certi personaggi e comportamenti, a ben vedere, sono tossici. E a volte pure abusivi.

Le persone tossiche, nei drama come nella vita reale, tendono a essere invadenti, egoriferite, controllanti, e spesso non se ne rendono nemmeno conto. Quelle abusive, invece, sono molto più subdole: usano fascino e parole dolci per conquistare fiducia… solo per poi manipolare l’altro.

Questi personaggi li abbiamo visti mille volte, al punto che certi atteggiamenti ci sembrano quasi “normali”. Ma lo sono davvero? O alcuni cliché sono semplicemente troppo vecchi per i tempi in cui viviamo?

Il mito eterno del "Jaebol x Poor Girl"

Uno dei tropi più famosi nei K-Drama è quello del ricco erede (Jaebol/Chaebol) che salva la ragazza povera con la sua generosità… e il suo conto in banca. L’abbiamo visto ovunque: Coffee Prince, Secret Garden, Boys Over Flowers, Heirs, ma anche in titoli più recenti come Goblin, I Am Not A Robot, What’s Wrong With Secretary Kim, Encounter

A volte funziona. Ma diciamocelo: spesso questi personaggi ultra-ricchi usano (anche involontariamente) il loro potere per controllare chi li circonda. La protagonista è “grata”, certo, ma anche incastrata in dinamiche sbilanciate, dove lui ha tutto e lei… dipende.

Narcisisti in giacca firmata

Molti personaggi Jaebol dei drama più datati mostrano segni evidenti di narcisismo. Si sentono superiori, pretendono ammirazione, mettono in scena la propria vita per essere applauditi. Han Chang-ryul e Kim In-Hee in Personal Taste, Park Gulmi in Love Alarm, sono solo alcuni esempi.

E poi ci sono quelli che, oltre a essere vanitosi, diventano veri e propri bulli per ottenere ciò che vogliono: Go Jun-pyo (Boys Over Flowers) è praticamente l’emblema di questo tipo di personaggio.

Il fascino discutibile del "cittadino arrogante"

Un’altra figura classica è quella del 까도남 (kkadonam), “l’uomo di città arrogante”. Bello, ben vestito, ricco… ma anche pieno di sé, freddo, difficile da sopportare. Come Kim Joo-won di Secret Garden, o Lee Kang Hoon di Noble, My Love. A prima vista affascinanti, ma a lungo andare? Tossici e snervanti.

Spesso soffrono anche della cosiddetta Malattia del Principe (왕자병) o della Principessa (공주병): si comportano come se fossero re o regine, solo perché hanno qualche milione in banca. Il risultato? Un mix esplosivo di arroganza e infantilismo.

Ma perché le protagoniste ci cascano sempre?

Ecco la domanda delle domande. Com’è possibile che queste ragazze – dolci, gentili, spesso pure intelligenti – si innamorino di personaggi così tossici?

Nei drama più vecchi il copione era sempre lo stesso: lei si rende conto che il suo "principe azzurro" non è poi così azzurro... ma lui riesce comunque a tornare nella sua vita con una confessione lacrimosa o una dichiarazione d’amore sotto la pioggia. Fine.

Ma davvero quei problemi si risolvono così? O i personaggi saltano a piè pari qualsiasi forma di crescita personale?

Le donne nei drama di ieri e di oggi

Un tempo le protagoniste erano incasellate in ruoli fragili, lamentosi, dipendenti. Anche quando si provava a raccontarle come forti, c’era sempre qualche dettaglio che le faceva crollare nel solito stereotipo: incapaci di badare a sé stesse, sottomesse, o perse dietro a un amore non corrisposto.

Oggi, però, qualcosa è cambiato. Finalmente vediamo donne indipendenti, con una vita al di fuori dell’amore, con opinioni, coraggio, voci forti. Donne che sanno dire no. Personaggi come Woo Suji (Because This Is My First Life), Do Bong-soon (Strong Woman Do Bong-soon), Cha Gi-yeong (The Greatest Marriage), Cha Hyun (Search: WWW), Yoo Hye-jung (Doctors) e Kang Soo-jin (Mother) sono diventati modelli positivi per tanti spettatori, in Corea e fuori.

E quei gesti “romantici” che romantici non sono?

Prendiamo la famigerata presa del polso. Ogni fan di K-Drama sa di cosa sto parlando. Lui afferra lei per il polso e la trascina via. Dramma, emozione, scintille. Ma nella vita reale? È solo un gesto aggressivo e irrispettoso. Eppure continua a essere presente in tantissime scene, come se fosse un atto d’amore. Spoiler: non lo è.

Ruoli stantii e amicizie tossiche

Anche le amiche delle protagoniste, spesso, non fanno una bella figura. O sono insulse, o sono prepotenti, oppure si lasciano trattare male senza fiatare. In Full House (2004), la protagonista era talmente ingenua da ignorare tutte le cattiverie degli amici. Oggi, per fortuna, i drama mostrano amicizie più realistiche: litigi, rotture, ma anche crescita e riconciliazioni.

Perché sì, possiamo ammetterlo: questi cliché non rendono giustizia né alle donne, né agli uomini, né alla realtà delle relazioni. E allora viene da chiedersi: esistono esempi in cui questi tropi sono stati usati bene?

Quando il cliché si evolve (e funziona)

Ogni drama ha bisogno di tensione e conflitti per coinvolgere lo spettatore. Ma questo non significa che si debba giustificare tutto con la “trama interessante”. Una relazione malsana non è più avvincente solo perché fa litigare i protagonisti ogni tre episodi.

I cliché funzionano solo se i personaggi evolvono, se imparano, se crescono insieme. Se invece rimangono uguali dall’inizio alla fine, si cade in situazioni 노답 (nodap), ovvero: senza speranza, senza soluzione.

Fortunatamente, negli ultimi anni sono usciti tanti drama che hanno preso i cliché e li hanno ribaltati. Che hanno creato storie d’amore credibili, sane, dolci, realistiche.

Un esempio? When The Camellia Blooms. Dongbaek e Yongsik vivono una relazione vera, imperfetta, che sfida ostacoli di ogni tipo: una madre ipercritica, vicini impiccioni, un ex invadente… e persino un serial killer. Eppure, loro ci provano, con dolcezza, rispetto e sostegno reciproco.

Nei vecchi drama, quando un amore era “proibito”, spesso l’uomo diventava prepotente o infantilmente silenzioso. Invece oggi vediamo sempre più protagonisti che comunicano, che sbagliano ma chiedono scusa, che mettono l’altro al centro.

I K-Drama non devono rinunciare al dramma per essere belli. Ma non serve neanche sacrificare il rispetto, la crescita personale e le relazioni sane sull’altare dell’effetto wow.

E se proprio vuoi un protagonista freddo, arrogante o scontroso… assicurati che cambi. Che alla fine del drama sia diventato una persona migliore. Che abbia fatto un percorso. Che non resti fermo al cliché.

In cerca di storie più sane?

Se anche tu sei stanco/a di cliché tossici e vuoi una bella dose di relazioni sane e personaggi ben scritti, ecco qualche drama da mettere in lista:

  • When The Camellia Blooms (동백꽃 필 무렵)

  • Avengers Social Club (부암동 복수자들)

  • Touch Your Heart (진심이 닿다)

  • Because This Is My First Life (이번 생은 처음이라)

  • Strong Woman Do Bong Soon (힘쎈여자 도봉순)

Perché sì, i cliché fanno parte della storia dei K-Drama. Ma siamo pronti per qualcosa di più. Qualcosa che somigli, almeno un po’, all’amore vero.


La vera storia dietro al drama: Secret Royal Inspector & Joy

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Tra risate, inseguimenti e complicità inaspettate, Secret Royal Inspector & Joy è uno di quei drama che sembrano nati per farci sorridere. Ma dietro le atmosfere leggere e le battute ben calibrate, si nasconde una figura storica affascinante, spesso dimenticata persino nei libri di scuola: quella del secret royal inspector, o Amhaeng-eosa, un funzionario in incognito che, con una mappae appesa alla cintura e una lettera sigillata dal re, partiva per missioni solitarie in nome della giustizia.

E no, non era finzione. Esistevano davvero.

Il volto nascosto del potere

Durante il regno della dinastia Joseon, la Corea era attraversata da conflitti interni e tensioni sociali che rendevano instabile anche la più solida delle province. A prima vista, l’apparato amministrativo sembrava saldo e gerarchizzato. Ma la realtà era ben diversa: la corruzione dilagava nei distretti locali, e i sudditi, spesso troppo poveri o ignorati, erano le prime vittime di un sistema che, più che proteggerli, li opprimeva.

Fu in questo scenario che nacque la figura dell’Amhaeng-eosa: un ispettore segreto nominato direttamente dal re, inviato sotto copertura nelle province per smascherare abusi di potere, proteggere il popolo e, in alcuni casi, riscrivere intere sentenze giudiziarie. La sua autorità era temporanea, ma assoluta: poteva destituire governatori, riaprire processi, confiscare beni pubblici e persino far arrestare ufficiali corrotti.

Ma c’era un prezzo da pagare.

Eroi solitari e giustizia amara

L’Amhaeng-eosa era un giovane ufficiale, spesso poco più che trentenne, scelto proprio perché troppo giovane per aver stretto legami con l’élite locale. Era mandato lontano dalla capitale con un compito difficile e segreto, affidatogli in silenzio, senza scorta e senza privilegi. Viaggiava da solo, con un solo oggetto in grado di rivelare la sua identità: il mapae, la tessera reale per requisire cavalli e uomini. E un sigillo, da aprire solo una volta superati i confini della capitale.

Dormiva dove poteva, a volte anche sotto i ponti. Non aveva rimborsi o fondi statali: molti di loro, infatti, si ritrovavano a mendicare per poter continuare la missione. E quando il loro compito terminava, tornavano nella capitale per redigere un rapporto dettagliato: un resoconto degli abusi scoperti, dei funzionari corrotti, dei cittadini virtuosi da premiare e dei talenti nascosti da raccomandare per incarichi futuri.

Ma la giustizia, si sa, ha un costo.

Molti Amhaeng-eosa, come il celebre filosofo e riformatore Jeong Yak-yong, pagarono con l’esilio o la persecuzione politica l’audacia di aver denunciato troppo. Altri furono minacciati fisicamente da quegli stessi ufficiali che avevano smascherato. Perché, in fondo, anche in una monarchia assoluta, la verità può fare paura.

Dalla cronaca alla leggenda

Eppure, in tutto questo, qualcosa di straordinario accadde: il popolo non dimenticò.

I segreti reali ispettori divennero protagonisti di racconti orali, romanzi e leggende. Il più amato tra tutti fu Park Mun-su, vissuto durante il regno di Yeongjo. Di lui si raccontano oltre 300 storie, tutte incentrate sul suo spirito giusto, sulle sue trovate astute e sulla sua implacabile guerra alla corruzione. Per il popolo, era una sorta di Robin Hood coreano, un cavaliere solitario che non portava spada, ma una lettera firmata dal re.

Nel tempo, la figura dell’Amhaeng-eosa è entrata nell’immaginario collettivo coreano come simbolo di giustizia popolare. Dai romanzi dell’epoca Joseon come Chunhyangjeon fino ai drama moderni, questo personaggio ha sempre esercitato un fascino particolare: era il funzionario che si sporcava le mani, il burocrate che non aveva paura di spogliarsi della sua autorità per confondersi tra la gente, ascoltarla, comprenderla e poi – solo poi – colpire.

Il drama come specchio: tra finzione e realtà

Secret Royal Inspector & Joy prende ispirazione da questo mondo storico, anche se lo veste di colori moderni. I due protagonisti, Ra Ian e Joy, non rappresentano figure realmente esistite, ma sono un tributo a quell’ideale di giustizia vissuta sul campo, tra taverne, mercati e uffici amministrativi in rovina. In particolare, Ra Ian incarna quella tensione tra vocazione e rifiuto del potere: un uomo che sognava solo di aprire una bottega di ravioli e si ritrova invece con il peso della legge sulle spalle.

Ma dietro il sorriso di Kim Joy, dietro gli equivoci e i momenti leggeri, c’è qualcosa di più profondo: la storia di chi ha lottato per migliorare la vita della gente comune. Non a palazzo, ma camminando tra il fango delle strade di provincia. Senza gloria, senza onori, a volte persino senza ritorno.

E se oggi ci commuoviamo davanti a una scena in cui un ispettore mostra la sua identità segreta per punire un magistrato corrotto, forse è perché, in fondo, sappiamo che è successo davvero. Non nel copione di un drama, ma nelle pieghe più silenziose della storia coreana.

Una giustizia silenziosa, ma incorruttibile

Alla fine, la vera forza dell’Amhaeng-eosa era proprio questa: agire nell’ombra. Essere un riflesso del re tra il popolo, ma anche una voce che poteva riferire al sovrano ciò che nessun funzionario osava dire. Un ruolo difficile, spesso scomodo, ma necessario. Perché ogni sistema, anche il più sofisticato, ha bisogno di chi lo metta alla prova. E ogni popolo, di tanto in tanto, ha bisogno di sapere che non è solo.

Il drama ci regala una versione romanzata, certo. Ma la storia vera è già di per sé potente, piena di sacrifici e ideali infranti. Ed è proprio questo che la rende ancora più viva. Perché ci ricorda che, anche in tempi lontani, c’erano uomini disposti a rischiare tutto pur di dare voce a chi non ne aveva.

E in un mondo in cui la giustizia sembra sempre più spesso in bilico, forse dovremmo tornare a raccontare proprio questo tipo di storie.

Fonte: 

  1. https://en.wikipedia.org/wiki/Secret_Royal_Inspector_%26_Joy
  2. https://en.wikipedia.org/wiki/Secret_royal_inspector

Coming of Age Day: La storia

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Fonte di Ispirazione  QUI

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Da adolescenti, tutti abbiamo sognato quel momento magico in cui smetti di essere un “figlio di qualcuno” e cominci a diventare te stesso. Quel giorno in cui, per legge, non hai più bisogno del permesso di mamma o papà per scegliere chi essere. Quello in cui finalmente puoi dire: “Sono adulto”.

In Corea, questo passaggio non è solo un concetto astratto o una data su un documento. È una vera e propria celebrazione. L’età legale per diventare adulti è 19 anni, abbassata da 20 nel 2013 con una revisione del codice civile, in risposta alla crescente maturità degli adolescenti di oggi. Dal loro diciannovesimo compleanno in poi, i ragazzi e le ragazze coreani possono votare, sposarsi, lavorare a tempo pieno, guardare film vietati ai minori… e soprattutto, diventare legalmente responsabili delle proprie azioni.

Ma ciò che rende la Corea davvero unica è che questa transizione viene ufficialmente celebrata con un’intera giornata dedicata: il Coming of Age Day (성년의 날), che cade ogni terzo lunedì di maggio. Un momento pensato per ricordare ai giovani che la libertà è anche responsabilità, e che la maturità non è solo una questione di diritti, ma anche di scelte.

La tradizione affonda le sue radici nel passato più lontano. Già nel X secolo, durante la dinastia Goryeo, si celebrava l’ingresso nell’età adulta con cerimonie solenni. Nel 965, il re Gwanjong regalò al principe ereditario un abito riservato agli uomini adulti, seguendo i costumi cinesi. Con il tempo, la cerimonia si è arricchita di simbolismi, specialmente durante la dinastia Joseon, dove i quindicenni delle classi medie e nobili venivano ufficialmente accolti nel mondo degli adulti.

Uno degli aspetti più affascinanti? I capelli. Sì, proprio così. Nella cerimonia chiamata Gwallye (관례), i ragazzi raccoglievano i lunghi capelli in un nodo alto, coprendolo con un gat, il cappello nero in crine di cavallo simbolo di dignità maschile. Le ragazze, invece, nella cerimonia Gyere (계례), passavano dalla treccia infantile allo chignon, fermato con un elegante binyeo, un fermaglio in giada. Cambiarsi i capelli, in pratica, significava cambiare identità.

Nonostante le radici patriarcali di queste cerimonie – dove ai maschi era riservata una formazione più articolata e ritualizzata – oggi il governo sudcoreano ha recuperato questi riti con uno spirito moderno e inclusivo. Dal 1973, il Coming of Age Day è diventato un giorno riconosciuto ufficialmente, e dal 1999 viene sostenuto dal Ministero della Cultura, dello Sport e del Turismo, con eventi organizzati in scuole, villaggi tradizionali e centri educativi.

Ogni anno, centinaia di ragazzi e ragazze partecipano a cerimonie simboliche in abiti hanbok, immersi in atmosfere d’altri tempi. Un esempio? Il villaggio tradizionale di Hanok sul monte Namsan, dove giovani studenti e soldati – coreani e stranieri – imparano come si beve il tè secondo l’etichetta, si inchinano ai genitori e indossano i costumi cerimoniali sotto la guida di esperti. Per alcuni, è un modo per sentirsi parte di una storia antica. Per altri, una semplice curiosità culturale.

Eppure, oggi, il Coming of Age Day si vive in tanti modi diversi. Alcune scuole, come la Dong Myung Girl’s High School, lo festeggiano insieme alla cerimonia di diploma. Altri preferiscono qualcosa di più intimo: una cena in famiglia, una serata al bar con gli amici, un regalo simbolico. E, un po’ ironicamente, sono proprio le ragazze a essere al centro delle attenzioni. È diventata ormai consuetudine regalare loro un fiore, un profumo… e, se va bene, un bacio. Un piccolo rito non ufficiale ma dolcissimo, che negli anni ha preso piede più di qualsiasi discorso istituzionale.

Alcuni, come Jueun, scelgono la semplicità: “Io e i miei amici siamo solo andati in un bar. Le ragazze con i fidanzati hanno ricevuto qualche regalino…”. Altre, come Seulmin, ricordano il giorno con affetto: “Mio padre mi ha regalato un profumo e siamo usciti a cena tutti insieme”. Per molte, l’occasione è perfetta per un servizio fotografico con rose in mano e abiti bianchi, immortalando quel momento sospeso tra adolescenza e età adulta.

Ma non tutti hanno tempo per festeggiare. C’è chi, come Gangshim nel 2009, ha passato il giorno tra i libri, a preparare gli esami: “Ho ricevuto qualche messaggio di auguri da amici e colleghi universitari… ma ho studiato tutto il giorno”.

E forse è proprio questa la verità più semplice e bella: diventare adulti non è sempre un grande evento. A volte è un abbraccio, un regalo, un tè bevuto con calma. A volte è solo un giorno qualunque in cui ti rendi conto che sei cresciuto.