4 febbraio 2023

Raccontami una storia... (5)

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La madre di Han Sŏkpong

Raggiunta a notte inoltrata la cima della collina, Sŏkpong scorse da lontano la propria casa, all'interno della quale s'intravedeva, da dietro una finestra, la fioca luce di una lampada a olio, e si affrettò a discendere, raggiungendola d'un fiato. Da quando, tre anni prima, era andato in un tempio buddista per apprendere l'arte della calligrafia, Sŏkpong aveva sempre avuto dinanzi agli occhi l'immagine della madre, rimasta sola in caso dopo la sua partenza. Sicuro di aver imparato già abbastanza, voleva adesso incontrare al più presto possibile l'adorata madre e mostrarle il proprio talento, frutto di tre anni di duro apprendistato.
Giunto davanti alla soglia di casa, Sŏkpong arrestò immediatamente i propri passi. Aveva sentito toc-toc-toc ossessivo prodotto dal coltello con cui la madre tagliava i dolci di riso, per poi venderli. Era con quel denaro che la madre pagava i suoi studi al tempio... il cuore di Sŏkpong si strinse al pensiero di sua madre che ogni notte stava a lavorare per lui fino ad un'ora così tarda. Poi pensò: "Da ora in poi, non ci saranno più problemi. Dato che ho completato gli studi, sarò io adesso a mantenere mia madre per tutto il tempo che vivrà".
Con questa promessa fatta a se stesso, Sŏkpong aprì la porta: "Madre!".
Tutta intenta a tagliare dolci di riso alla debole luce della lanterna, la madre volse lo sguardo nella direzione da dove aveva sentito provenire quella voce. Allora accadde un fatto strano: la madre non sembrò mostrare la minima contentezza alla vista dell'amato figlio, che pur mancava da casa da così tanto tempo. Anzi, l'apostrofò addirittura con tono di rimprovero: "Come, sei già tornato?".
Sŏkpong rispose ostentando una gran sicurezza di se: "Ho finito gli studi e sono tornato, madre. Da adesso, potrete vivere più comodamente giacché sarò io ad occuparmi di voi".
Ma anche a quelle parole la madre restò impassibile, replicando: "Non ho bisogno di vivere agiatamente. Anche a costo di enormi sacrifici, voglio che tu divenga, grazie allo studio, una persona illustre". Poi aggiunse: "Dici di aver completato i tuoi studi, eh? Allora, vediamo un pò fin dove arriva la tua abilità".
Sŏkpong fu molto contento di ciò. Finalmente, credeva che fosse venuto il momento di dimostrare alla madre i risultati di tre lunghi anni di studi ed esercizi. La madre spense la lampada ad olio, dicendo: "Cerca di scrivere, adesso, i caratteri che hai imparato".
Sŏkpong cominciò a scrivere. Nello stesso tempo la madre, seduta accanto a lui, riprese a tagliare i dolci di riso. Poi disse: "Ora basta".
Dopodiché riaccese la lampada. I dolci tagliati dalla madre erano tutti ben squadrati e identici nelle loro dimensioni. I caratteri tracciati di Sŏkpong erano non solo sbilenchi, ma alcuni più grandi ed altri più piccoli. Sŏkpong abbassò il capo, confuso. La madre gli disse, con voce dura: "Hai visto? Credi davvero, adesso, di aver completato i tuoi studi? Ora va, e continua a studiare ed esercitarti. E non pensare minimamente di tornare finchè anche al buio i caratteri da te tracciati non saranno identici tra loco come questi miei dolci".
Quella notte stessa, Sŏkpong, si avviò verso il tempio dal quale era appena tornato. Negli anni che seguirono proseguì con ardore gli studi, avendo sempre davanti a se l'immagine della madre che tagliava i dolci di riso.
E così Sŏkpong divenne un calligrafo eccelso, quel gran Maestro Han Sŏkpong il cui nome divenne famoso non solo in Corea, ma fin nella lontana Cina.

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La tigre e il cachi

La favola parla di una tigre che aveva paura di un caco secco.

Una sera la tigre andò in un piccolo villaggio e sentì un bambino piangere. Per far smettere di piangere il bambino la madre disse: “Guarda, sta arrivando una tigre. Ora devi smettere di piangere”. Tuttavia il bambino non si fermò e fece pensare alla tigre che il bambino non ha paura di lui. Poi la madre disse: “Cachi secchi”, e il bambino smise. Così, questo fece pensare alla tigre che il caco è una bestia molto più temibile di lui.

Nella stessa notte, un ladro andò al villaggio per rubare una mucca, ma pensò erroneamente che la tigre fosse una mucca e le saltò addosso. Tuttavia, a causa della paura e pensando che potesse essere il caco, la tigre corse con tutte le sue forze. Allora il ladro si aggrappò alla tigre con tanta paura di essere preso e mangiato dalla tigre se fosse caduto….

Quando arrivò il mattino, il ladro saltò giù dalla tigre e corse a nascondersi dietro un vecchio albero, e anche la tigre corse via sospirando di sollievo. Ma quando la tigre incontrò un orso (o una lepre), l’orso disse che il caco era probabilmente solo un umano e propose loro di andare a prenderlo. Ma quando l’orso attaccò il ladro, questi tirò i testicoli dell’orso, uccidendolo, e la tigre scappò di nuovo.

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La storia del principe Hodong

Nel quarto mese del quindicesimo anno del regno di Taemusin, il principe Hodong, nel corso di un viaggio verso il paese di Okchŏ, incontrò per la strada Ch’oe Ri, sovrano di Nangnang. Costui, colpito dalla bellezza del giovane, volle subito prenderlo come genero, e così avvenne. Tornato momentaneamente a Koguryŏ, però, Hodong venne a sapere che la propria patria si apprestava ad attaccare Nangnang, per cui mandò subito un emissario dalla moglie (rimasta appunto a Nangnang) per raccomandarle di distruggere un tamburo e un flauto che lì erano ritenuti i massimi tesori del regno (si trattava infatti di strumenti magici, in grado di suonare da soli all’approssimarsi di truppe nemiche). La moglie di Hodong eseguì l’ordine del nemico, anche se ciò comportava il tradimento della propria patria, e così il regno di Nangnang fu sconfitto da Koguryŏ. Hodong, tuttavia, non sopravvisse a lungo. Il re Taemusin, infatti, cominciò a concedergli enormi favori, suscitando in tal modo la gelosia della regina consorte. Hodong, infatti, non era figlio della moglie principale del re e la regina temeva che egli potesse alla fine ascendere al trono in luogo del legittimo principe ereditario. La regina mise così in giro una calunnia dalla quale Hodong non osò difendersi, in obbedienza al principio della devozione filiale che comunque doveva mostrarsi verso la moglie del padre. In questo modo, diviso fra l’ingiustizia subita e l’impossibilità di trasgredire al principio della devozione filiale, l’undicesimo mese di quello stesso anno il principe si tolse la vita, gettandosi sulla propria spada.

Yŏno, Seo e la fondazione dello Stato giapponese

Yŏno e Seo erano una coppia di sposi che viveva nel Mare d’Oriente. Un giorno, Yŏno si trovava su uno scoglio a raccogliere alghe. A un tratto, quello scoglio si staccò dal resto della terra e, divenuto un’autentica imbarcazione, fu trasportato dai venti fino in Giappone. Quando arrivò, Yŏno fu creduto dagli indigeni un essere soprannaturale e venne subito eletto sovrano. Intanto, però, Seo cercava il marito e, non vedendolo tornare, decise di partire alla sua ricerca. Ella stessa perciò salì su uno scoglio che, divenuto a sua volta imbarcazione, la trasportò fino alle isole giapponesi. I due sposi poterono così riunirsi, ma in loro assenza, a Silla, il sole e la luna avevano finito di splendere. Il sovrano di Silla, volendo conoscere il motivo di tale fenomeno, ordinò ad astrologi e indovini di indagare. Il responso fu che era stata l’assenza dei due sposi a provocare lo spegnimento degli astri. Il re di Silla ordinò dunque ai due di rientrare, ma Yŏno fece rispondere: La mia venuta in questo paese è stata decretata dal Cielo: come potrei adesso ritornare? Tuttavia, esiste una soluzione: consegnerò all’ambasciatore di Silla una bella pezza di seta, tessuta da mia moglie. Se quella seta verrà offerta al Cielo in sacrificio, allora tutto tornerà come prima. E così avvenne. Quando l’ambasciatore inviato dal re di Silla tornò in patria con la seta, questa fu offerta al Cielo, e sole e luna tornarono a splendere.

La regina Sŏndŏk e le donne di Silla

La regina Sŏndŏk salì al trono nel 632 e resse il paese per sedici anni. L’imperatrice dei Tang, moglie di T’aejong, le mandò una volta delle pitture raffiguranti peonie bianche, rosse e viola, insieme a tre misure di semi di quelle stesse piante. La regina Sŏndŏk, osservando le pitture, disse: «Sicuramente questi fiori non avranno nessun profumo», e quando le piante fiorirono, dopo avere piantato i semi nel giardino, questa considerazione si rivelò vera. La regina, infatti, aveva notato che nelle pitture non c’era nessuna farfalla posata o intenta a volare tra quei fiori. Un’altra volta, mentre si trovava nel tempio Yŏngmyo, nella capitale, in prossimità dello stagno della porta di giada, la regina udì un gracidare di rane benché si fosse in pieno inverno. Subito, ella mandò duemila soldati a ovest della capitale Kyŏngju, nella ‘valle della natura femminile’. Lì l’esercito inviato dalla regina trovò imboscati cinquecento soldati di Paekche, che poterono essere attaccati e sbaragliati. Avendole i ministri chiesto come avesse potuto prevedere un simile evento, la regina rispose: Lo stagno dove ho sentito le rane si chiama ‘della porta di giada’, termine che indica il sesso femminile, così come la valle in cui si trovavano i nemici. Il grido di una rana in pieno inverno è qualcosa di innaturale: è un grido di rabbia, di odio o di guerra; e quindi è un grido di nemici. Il sesso femminile rappresenta lo Yin, che nella simbologia Yin-Yang equivale al colore bianco e alla direzione ovest. In più, il membro maschile muore dopo essere penetrato nel sesso femminile e questo mi ha fatto intendere che i nemici entrati in quella valle sarebbero stati facilmente sconfitti. A tal punto la regina Sŏndŏk era sapiente e saggia. 


Un certo uomo, chiamato Chigwi, era solito lodare la bellezza della regina e, struggendosi per lei, si era ridotto magro ed emaciato. Avendo saputo ciò, la regina gli fece arrivare una lettera che diceva: «Domani andrò al tempio Yŏngmyo a sentire la fragranza dei fiori. Fatti trovare là». Felice per tale messaggio, Chigwi si recò al tempio e lì si mise ad aspettare la regina. Questa però ritardava il suo arrivo, e allora l’uomo, a un certo punto, si fece vincere dal sonno. Quando infine Sŏndŏk arrivò, trovò l’uomo addormentato e allora, sfilatosi un bracciale, glielo mise sul petto, e poi fece ritorno al Palazzo Reale. Svegliatosi, l’uomo capì di aver perso una di quelle occasioni che raramente capitano nel corso di una vita e in quel momento, dal suo petto, nacque un fuoco che finì per divorarlo. Avendo udito questo, la regina chiamò un mago e gli fece scrivere un incantesimo che venne poi affisso dal popolo alle porte di casa come difesa contro gli incendi. Il nome ‘Chigwi’ è formato da due caratteri che significano, rispettivamente, ‘volontà’ e ‘spirito’, e indica pertanto una persona divenuta uno spirito per essere stata incapace di attuare la propria volontà.

Brano estratto dal libro La letteratura coreana - Antonietta l. bruno © tutti i diritti riservati.