23 maggio 2025

Scleri quotidiani da fangirl di drama coreani

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(aka: 15 motivi per cui la nostra vita è tutto fuorché semplice)

Se sei qui, probabilmente anche tu soffri degli stessi malesseri gioiosi che affliggono noi povere anime perse nei drammi, baci mancati e oppa perfetti.
E se non ne sei sicura... beh, questo è il test che fa per te.

Benvenutə tra i scleri quotidiani di chi vive di drama coreani.
(E sopravvive a fatica).


#1 – L’agonia dell’indecisione post-drama

La verità?
I drama coreani sono così tanti e così ovunque (grazie, Viki, per la tentazione continua) che appena ne finisci uno, ti ritrovi a vagare nel vuoto cosmico delle scelte.
Li vorresti iniziare tutti, ma allo stesso tempo nessuno è mai all’altezza di quello appena concluso.
Io? Passo ore a fissare le anteprime come se dovessero rivelarmi il destino. (Spoiler: non lo fanno mai.)


#2 – Quando l’episodio ti chiama, ma la vita dice NO

Hai compiti. Un esame. Una scadenza.
Ma intanto su Viki è appena uscito l’episodio nuovo.
E tu, che ormai sei un tutt’uno con il cellulare, ti trovi a sbirciare anteprime ogni 5 minuti.
Il risultato? Un senso di colpa gigantesco e la playlist della OST che ti perseguita mentre cerchi invano di concentrarti.


#3 – La battaglia per non dormire (ma mancano solo due episodi!)

C’è chi spegne tutto e va a dormire.
E poi ci sono io, che alle 3 del mattino sono ancora lì a dire: “Uno solo, giuro. Solo questo.”
Spoiler: NON È MAI SOLO UNO.


#4 – Il trauma dell’episodio settimanale

Passi da 12 episodi divorati in due giorni... a due episodi a settimana.
Due. Miseri. Episodi.
E lì capisci cosa significa soffrire davvero.
E ti penti di essere andata troppo veloce. Ma ormai è troppo tardi. Benvenuta nel club.


#5 – Quando qualcuno osa dire che i drama non gli piacciono

E tu sei lì a guardarli con lo stesso sguardo di chi si sente dire “il gelato alla nocciola fa schifo”.
Ma come?! Cosa c’è che non va in te?!
E no, non vale dire “preferisco le serie americane”. Si possono amare entrambi. L’importante è che siano fatti bene. Anche se venissero dal Burundi!


#6 – Vita sociale? No grazie, c’è un drama da finire

Tutti fuori a cena con i fidanzati. Tu?
In pigiama, sul divano, con 3 episodi in coda e il cuore già in subbuglio.
E sinceramente? Non ti senti nemmeno sola.
Perché i tuoi personaggi sono lì. A farti ridere, piangere e battere il cuore.
E a volte ti capiscono più di certe persone reali, diciamocelo.


#7 – Il mio sport preferito? Maratone estreme di drama

Quante puntate puoi guardare prima che ti esplodano gli occhi?
È questo il gioco.
Occhiaie alla L di Death Note, cervicale in fiamme, ma soddisfazione estrema.
P.S. Ogni tanto dormi anche, eh. Solo per non perdere conoscenza nel bel mezzo di un bacio epico.


#8 – L’interruzione nel momento più sbagliato di sempre

Il quasi-bacio. La confessione. Il colpo di scena.
E poi...
“Mangia che si raffredda!”
Grazie mamma/papà/zia/prozia/cugino di 3° grado. Ora la mia anima è uscita dal corpo e non so se riuscirò a rientrarci.


#9 – Dici “aish” almeno 17 volte al giorno

All’inizio lo fai per scherzo.
Poi... non puoi più farne a meno.
Aish per la sveglia. Aish per il drama che lagga. Aish per la vita.
Benvenuto nel club dei dramamaniaci avanzati.


#10 – 49 cotte in contemporanea

Oppa ovunque.
E tu non sai più come gestire tutte le emozioni.
Anche se (fortunatamente) guardo un drama alla volta, la sensazione è la stessa che provo col K-pop quando 15 gruppi fanno comeback lo stesso mese.
Corea, fammi respirare.


#11 – Pensare a un mondo senza drama

...mi viene da piangere solo a scriverlo.
Questa rubrica non esisterebbe. Io non esisterei.
Grazie drama, per essere la mia terapia.


#12 – Febbre da drama: la diagnosi è chiara

Non è che voglio stare a casa a guardare 10 episodi. È la mia cura.
Lo dice anche la meme: “Devo restare a casa, ho la febbre da drama.”
E nessun medico potrà mai convincermi del contrario.


#13 – Quando ti dicono: “Guardi troppi drama”

Scusate, ma chi ve l’ha chiesto?
Il mio tempo libero lo riempio con quello che amo. E se ciò significa vivere in un loop emotivo tra amore e tragedia... beh, è una mia scelta.
Quindi no, non smetterò. Mai. I don't care.
(Ok, frase cringe, ma ci sta.)


#14 – Quando i personaggi stanno male… e tu pure

Non sono solo personaggi.
Sono la mia compagnia, la mia emozione, il mio specchio.
Quando loro ridono, rido anch’io.
Quando piangono... addio mondo.
E no, non è esagerato. Chi ama leggere, guardare serie o vivere le storie con il cuore lo sa bene.
(La vita è più facile coi drama felici. Ma vuoi mettere quelli strappalacrime?)


#15 – La vita quotidiana di una drama-addicted

Computer acceso 24/7. Pigiama mood. Capelli disordinati.
Ma anche cuore pieno, emozioni a mille e mente che viaggia in mille mondi diversi.
Siamo pigre? Forse.
Siamo strane? Un po’.
Ma siamo FELICI.
E soprattutto, siamo fangirl vere. Quelle che si distinguono dalla massa. Quelle che vivono con passione.
E che gridano al mondo intero: viva i drama, AHAHAHA.


Fammi sapere nei commenti quale di questi 15 scleri è il tuo preferito… o se ne hai altri da aggiungere! Che tanto, lo sappiamo, la lista è infinita. Nel frattempo… torno a guardare la puntata che avevo messo in pausa mentre scrivevo questo post. 😏📺

Tra storia e destino: l’hanbok di Boong-Do e Se-ryung

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Ci sono argomenti che, per quanto li abbia affrontati mille volte, sembrano sempre sfuggirti tra le dita. Ogni volta che mi siedo per scrivere sull’hanbok, finisco in un vortice di emozioni, immagini, e silenzi che profumano di seta e storia. È successo di nuovo. Ma stavolta ho deciso di cedere a questo richiamo, lasciando che fossero due personaggi a guidarmi in questo viaggio tra pieghe, colori e memorie: Kim Boong-Do, il nostro impassibile studioso Joseon, e Lee Se-ryung, la donna che ha indossato, letteralmente, ogni volto della storia.


Quando l’eleganza è una forma di identità

L’hanbok non è solo un abito. È uno specchio. Di chi lo indossa, di ciò che si è e soprattutto di ciò che si vorrebbe mostrare al mondo. Nel mondo dei drama storici, gli abiti raccontano quasi più dei dialoghi. E se c’è qualcuno che ha saputo raccontare senza dire troppo, quello è Boong-Do, l’uomo dai mille cappotti e sguardi di velluto.

A prima vista, l’hanbok maschile potrebbe sembrare monotono, ma basta osservare attentamente per accorgersi della sua ricchezza: jeogori (저고리) più lunghi rispetto a quelli femminili, baji (바지) ben stretti alle caviglie con le corde daenim, e poi i dettagli – piccoli, essenziali – come le boseon, le immancabili calze bianche indossate da tutti, dal contadino al re.

Boong-Do, poi, ci regala uno sguardo completo su ogni sfaccettatura dell’abito maschile. Non si limita al quotidiano: lo vediamo con il dopo (도포) ampio e fluttuante, spesso accompagnato dal jeonbok, un gilet senza maniche che aggiunge carattere. Ogni strato ha un significato, ogni tessuto racconta un livello sociale. Persino il saejodae, la cintura con frange, cambia colore a seconda del rango.

E i cappelli? Ah, lì si apre un mondo. Il gat (갓), il cappello nero semi-trasparente in crine di cavallo, con tanto di gatkeun, il laccio impreziosito da gemme riservato ai nobili. O ancora il più discreto jeongjagwan, per le ore casalinghe. L’eleganza dell’uomo Joseon si manifesta nel sussurro dei dettagli, mai nel grido dei colori.


L’hanbok femminile: ogni trasformazione, un abito nuovo

E poi c’è Lee Se-ryung. Lei che da figlia di nobile è diventata principessa, poi schiava e infine comune cittadina. Lei che ha attraversato ogni scala sociale e, nel farlo, ha indossato ogni possibile variazione dell’hanbok. Se Boong-Do è la continuità dell’eleganza maschile, Se-ryung è la metamorfosi continua del destino femminile.

Si parte sempre da dentro: il sok-ot (속옷), l’intimo, è bianco e silenzioso. Sokbaji, sokchima e sokjeogori – pantaloncini, sottogonna e sottogiacca. Strati invisibili che definiscono la silhouette e il portamento. Le nobildonne usano seta, le comuni mortali si arrangiano con cotone, se lo hanno.

Il jeogori femminile, corto e vivido, si distingue da quello maschile per l’estro. Il goreum (il nastro che chiude il davanti), il git (colletto) e il kkeutdong (i polsini) sono spesso realizzati con tessuti diversi, a contrasto. Un’arte visiva, oltre che sartoriale.

La gonna, o chima, fluttua come una nuvola e si colora di rossi, verdi, viola. Ogni combinazione racconta un’origine, una classe, una celebrazione. Se sei una principessa, puoi indossare la dangui, con geumbak, ricami dorati che mostrano fiori o draghi. Se sei una sposa, la scelta è l’hwarot, abito rosso da cerimonia tempestato di auguri ricamati.

E quando la vita si fa dura? Quando Se-ryung diventa schiava? Anche l’hanbok cambia. Addio seta, benvenuto cotone grezzo. A volte nemmeno quello è tuo: indossi ciò che resta dei vestiti altrui. Eppure, anche in quel momento, ogni piega racconta chi eri, chi sei e chi non vuoi dimenticare di essere.


 Il diritto all’invisibilità

Una nota che mi ha sempre colpita è come le donne, pur vestite a festa, fossero invisibili al mondo esterno. Quando uscivano, dovevano coprirsi. Non con un cappello, ma con un intero mantello: il jangot, o in alternativa il sseugae chima. Un modo per celare il volto, per negare la propria presenza. E mi fa sempre riflettere su come, in quella società rigida, il corpo femminile fosse considerato un segreto da custodire. O da nascondere.


Scarpe, dignità e destino

Sia per gli uomini che per le donne, le scarpe chiudono il cerchio. I contadini indossano le jipsin, sandali di paglia. I nobili, le hye o le taesahye, spesso foderate di pelliccia. Le spose, scarpe ricamate che sembrano uscite da un sogno. Eppure, anche lì, la differenza non è solo estetica: è sociale, è economica, è politica.


Dalla seta dei palazzi ai pixel dello schermo

C’è qualcosa di profondamente toccante nel vedere un personaggio come Se-ryung cavalcare con il suo hanbok spiegazzato o Boong-Do chiudersi il gat con lo sguardo rivolto all’orizzonte. Sono istanti che condensano secoli di storia in un singolo fotogramma. E noi, spettatori moderni, ci perdiamo tra pieghe e pensieri.

Vorrei tanto toccarli, quegli abiti. Vederli in un museo, annusare il tempo che contengono. Ma per ora mi basta ritrovarli nei drama, nei personaggi che amo, nei movimenti lenti che raccontano un mondo scomparso – ma che in fondo, vive ancora tra le cuciture della mia memoria.


Quindi sì, hanbok. Ancora una volta. Sempre.

Fonte:

  1. https://thetalkingcupboard.com/2013/04/10/hanbok-for-women-lee-se-ryungs-style/
  2. https://thetalkingcupboard.com/2012/06/21/hanbok-for-men-kim-boong-dos-style/

La vera storia dietro ai drama: Ferite di corona – Moon Lovers ed Empress Chun Chu, tra ambizione e solitudine

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Ci sono storie in cui l’amore è una condanna.
Storie in cui essere nati principi o principesse non è un privilegio, ma una trappola.
In Moon Lovers – Scarlet Heart: Ryeo e Empress Chun Chu, il palazzo reale non è mai casa: è campo di guerra.
La corona pesa più del sangue. E ogni legame è, in fondo, una minaccia.

Due drammi diversissimi, ma uniti da un filo rosso: il potere che divora, l’ambizione che uccide, e l’amore che resta – troppo fragile o troppo tardi.


🌙 Moon Lovers – Scarlet Heart: Ryeo – L’amore condannato tra le ombre del trono

Il drama ci porta alla corte del regno di Goryeo, tra i figli del re Taejo. Ma non è solo una storia di successione: è una tragedia in piena regola, guidata da intrighi, gelosie, e un amore impossibile.

Go Ha Jin, una ragazza del XXI secolo, si risveglia nel corpo di Hae Soo, durante il regno del futuro re Gwangjong. Lì incontra il quarto principe Wang So, figura storica realmente esistita e spesso ricordata per la sua crudeltà… ma anche per la sua solitudine.

La loro storia d’amore è intensa, dolorosa e destinata alla rovina.
La corte è un campo minato: ogni gesto è interpretato, ogni fratello è un potenziale nemico.
Il potere non perdona. E non risparmia nessuno.

Il drama cerca di umanizzare un sovrano spesso demonizzato, e allo stesso tempo ci ricorda che, nel gioco del trono, nessuno esce vivo con il cuore intatto.


👑 Empress Chun Chu – La regina che governò con il sangue

Passiamo ora a una figura realmente esistita e temuta: Queen Heonae, conosciuta anche come Empress Chun Chu, la terza imperatrice del regno di Goryeo.

Dimenticate ogni romanticismo.
Questa è una donna politica, spietata, strategica. Ma dietro la durezza, c’è un passato lacerato: perse il marito per intrighi di corte, perse il potere per una gravidanza vista come pericolo, e passò anni lontana da tutto.

Quando torna, lo fa per vendicarsi. E per riprendersi tutto.
Mette suo figlio sul trono e comanda da dietro le quinte con freddezza chirurgica.
Non c’è spazio per l’amore. Non c’è spazio per la fragilità.

Ma c’è spazio per la domanda che brucia:

cosa resta di una donna che ha dato tutto per proteggere un figlio e un regno?


✨ Troni senza pace

In entrambi i drama, il potere non redime.
Fa solo emergere il peggio.
L’amore non salva. Scomplica. Ferisce. Distrugge.
E le donne – sia Hae Soo che Chun Chu – pagano sempre il prezzo più alto.

  • Una viene dimenticata dal tempo, perduta nel passato.

  • L’altra viene ricordata come crudele, mai come madre o sopravvissuta.

Eppure, nei loro silenzi, nei loro sguardi, nelle loro scelte,
si legge la verità più amara della monarchia:

Che la solitudine del trono vale più delle corone,
e meno di una carezza mancata.