22 luglio 2025

La terra delle quotes - 198

Nessun commento:

 

  1. Come può la profondità dei miei sentimenti essere proporzionale al numero di volte in cui ci siamo visti? Esiste un amore che non si dimentica, anche con un solo incontro. – The Tale of Lady Ok (2024)
  2. I due hanno vissuto senza riuscire ad aprirsi l’uno con l’altro. Le cose sarebbero andate diversamente se fossero stati più onesti e avessero mostrato i loro veri sentimenti? – When The Phone Rings (2024)
  3. Ora il mio odio non ha più dove andare. Nel momento in cui ho scoperto la verità, il mio cuore si è svuotato. – The Tale of Lady Ok (2024)
  4. Hai detto che ero la tua debolezza? Una debolezza è una ferita che rischia d’infettarsi. Quando qualcuno la tocca, trasalisci, tremi e la difendi con tutte le forze. Quella è una debolezza. – When The Phone Rings (2024)
  5. È più facile ammalarsi quando si è poveri, e non hai nessuno che si prenda cura di te. Se non hai una famiglia, sei davvero solo. E i solitari respingono sempre altri solitari. – Mr. Plankton (2024)
  6. A volte è necessario far finta di non sapere e lasciar correre. È così che si riesce a respirare. – When The Phone Rings (2024)
  7. Non puoi perderti se non hai una meta. Puoi esplorare sempre. Puoi diventare un vagabondo come me. – Mr. Plankton (2024)
  8. Pensavo che obbedire fosse un modo per dimostrarti amore. Ma l’amore non è un sacrificio unilaterale come il tuo né una cieca obbedienza come la mia. – When The Phone Rings (2024)
  9. Amore e attaccamento sono proporzionali. Lasci andare qualcuno perché non lo ami. Quando non ti importa, non trattieni. Lo abbandoni perché è facile. – Mr. Plankton (2024)
  10. Voglio dimenticare tutto del passato. Se continuo a restare ancorata al passato, non sarò mai felice nel presente. – When The Phone Rings (2024)
  11. Nel momento in cui ti lanci nell’ignoto, diventi un vagabondo, e non ti perderai mai più. – Mr. Plankton (2024)
  12. Da bambini impariamo a nuotare. Poi non nuotiamo per decenni. Ma se finiamo in acqua, restiamo a galla. Pensi di aver dimenticato, ma il corpo ricorda. È lo stesso con l’amore. Pensi di aver dimenticato come si fa, ma il cuore ricorda quando ci rientri.» – Queen Of Tears (2024)
  13. Non so cosa significhi l’amore per te. Per me non è essere felici e sussurrarsi parole dolci. L’amore è sopportare il dolore insieme. È scegliere di restare invece di scappare. Anche se l’altro ha debiti o problemi, resti al suo fianco. Questo è l’amore. – Queen Of Tears (2024)
  14. Se stai affogando e non ti piace chi ti tende la corda, non la prendi? – Queen Of Tears (2024)
  15. Ti basta guardarla da lontano per essere felice. Non riesci a smettere di pensarci. Fai una deviazione solo per vederla ancora una volta. Se queste sono prime volte per te, allora è il tuo primo amore. – Queen Of Tears (2024)

Le superstizioni coreane: tra risate, brividi e piccoli riti quotidiani

Nessun commento:

Hai già guardato decine – forse centinaia – di K-Drama. Ti sei persa nei vicoli di Seoul con la fantasia, hai sognato un primo appuntamento al Namsan Tower e ti sei chiesta almeno una volta nella vita com'è davvero l’odore del kimchi appena fatto. Ma un giorno, mentre imparavi il significato nascosto dietro un "Annyeong", qualcosa di strano ha attirato la tua attenzione: le superstizioni coreane. Strambe, affascinanti, a volte divertenti o inquietanti, ma sempre capaci di raccontare molto più di quanto sembri.

Perché sì, capire una cultura non è solo questione di grammatica o di street food: sono i piccoli dettagli, quelli che non ti aspetti, a rivelare la vera anima di un popolo. E le superstizioni sono proprio questo: uno specchio curioso, a volte buffo, altre volte profondo, di ciò che un Paese teme, desidera, spera.

Cosa sono davvero le superstizioni?

Immagina quelle credenze un po’ magiche, tramandate dalla nonna alla mamma e poi a te, senza che nessuno si fermi mai davvero a chiedersi: "Ma chi l’ha deciso?". Sono i rituali che si fanno "perché non si sa mai", gli oggetti che portano fortuna, i gesti da evitare come se da loro dipendesse il destino di tutta la giornata.

In Corea, le superstizioni sono ovunque, spesso silenziose, ma presenti. E anche se il Paese oggi è tecnologicamente all’avanguardia, con grattacieli luccicanti e metropolitane che sembrano astronavi, queste credenze resistono. Perché la modernità non cancella mai del tutto ciò che tocca il cuore.

Un mix di religioni e spiritualità

Per capire perché i coreani credono in certe cose, bisogna fare un passo indietro nella storia. La Corea è un incrocio di influenze religiose: Confucianesimo, Buddismo e Sciamanesimo si sono intrecciati per secoli, lasciando tracce profonde nella vita quotidiana.

Il Confucianesimo ha portato il rispetto per gli antenati e le gerarchie. Il Buddismo ha aggiunto karma, reincarnazione e un legame speciale con la natura. Lo Sciamanesimo – forse la radice più antica e viscerale – ha insegnato che esistono spiriti ovunque, e che alcuni esseri umani possono parlare con loro.

Il risultato? Una mappa invisibile di gesti e colori, animali e numeri che hanno significati ben precisi. E ignorarli, beh… potrebbe portare guai.

I numeri che parlano

In Corea, i numeri non servono solo per fare i conti.

  • 3 (삼, sam) è un numero fortunato. Rappresenta cielo, terra e umanità. Un tris perfetto.

  • 4 (사, sa) è temutissimo. Suona come la parola "morte", e non è raro vedere palazzi dove il quarto piano… semplicemente non esiste.

  • 8 (팔, pal) è il numero della prosperità, amato dagli uomini d’affari e dai giocatori d’azzardo.

Ogni numero ha un’anima, e sceglierli – o evitarli – è quasi un’arte.

I colori che sussurrano messaggi

Anche i colori in Corea non sono mai neutri.

  • Rosso (빨간색, ppalgansaek) significa festa, felicità, amore. Lo trovi ai matrimoni, negli abiti delle spose, nei decori delle feste.

  • Bianco (하얀색, hayansaek) è il colore del lutto. Niente vestiti candidi ai party, a meno che tu non voglia sembrare pronta per un funerale.

  • Nero (검은색, geomeunsaek) è sfortunato. Elegante, sì, ma carico di presagi cupi.

Un vestito può cambiare tutto, e non è solo una questione di moda.

Animali portafortuna (o sventura)

  • Gazze (까치, kkachi): se ne vedi una, preparati a una buona notizia.

  • Pipistrelli (박쥐, bagjwi): no, non fanno paura. Anzi, in Corea portano felicità e lunga vita.

Sì, anche i pipistrelli possono diventare simpatici, basta cambiare prospettiva.

Le superstizioni più assurde – ma vere!

Ecco una carrellata di credenze che troveresti più facilmente in una commedia romantica… ma che in Corea sono (ancora oggi!) prese sul serio da molti:

  • Mai scrivere il nome di qualcuno con l’inchiostro rosso: è come augurargli la morte.

  • Mai lavarsi i capelli il primo giorno dell’anno: potresti lavare via la buona sorte.

  • Non fischiare di notte: attireresti spiriti che ti seguiranno ovunque.

  • Tagliare le unghie di notte: i topi potrebbero mangiarle e trasformarsi in esseri umani. E se ti stai chiedendo "Perché proprio i topi?", la risposta è: nessuno lo sa. Ma è meglio non rischiare.

  • Regalare scarpe al partner? Grave errore**: scapperà da te indossandole.

  • Servire ali di pollo al fidanzato? Peggio che litigare. Potrebbero “volare” via… letteralmente.

  • Mangiare zuppa di alghe prima di un esame? Vietato: scivola via tutto quello che hai studiato.

  • Mangiare taffy appiccicoso? Perfetto: le nozioni rimarranno ben incollate alla mente.

  • Sognare un maiale? Fortuna, soldi, fertilità. Altro che incubo!

  • Mangiare cibo rosso nel giorno più freddo dell’anno? Tiene lontani gli spiriti maligni e rafforza la salute.

Un piccolo glossario per sentirsi parte del gioco

Un giorno, magari in un mercatino di Busan, ti capiterà di sentir pronunciare parole che ti suoneranno familiari. Ecco quelle che potresti imparare prima di partire:

ItalianoCoreano (script)Pronuncia
Superstizione미신misin
Fortunato행운haeng-un
Sfortunato불행bul-haeng
Rito의식ui-sik
Rosso빨간색ppal-gan-saek
Funerale장례jang-nye
Matrimonio결혼gyeol-hon
Sfortuna나쁜 운nappeun un
Buon presagio길운gilun
Quadrifoglio네잎클로버ne-ip keulrobeo

Le superstizioni coreane sono come piccoli segreti sussurrati da una cultura che ha tanto da raccontare. Alcune fanno sorridere, altre spaventano, altre ancora sembrano uscite da un drama fantasy. Ma tutte – nessuna esclusa – parlano d’amore, di paura, di desiderio di protezione. E, alla fine, ci ricordano che anche nei Paesi più moderni, c’è sempre spazio per la magia delle tradizioni.

Perché, diciamocelo, in fondo un po’ superstiziosi lo siamo tutti.

 Fonte: https://ling-app.com/ko/korean-superstitions/

Geonbae! Vita, cultura e contraddizioni del bere in Corea del Sud

Nessun commento:

 

Se pensiamo alla Corea del Sud, le prime immagini che ci vengono in mente sono probabilmente legate ai K-drama, al K-pop, al cibo di strada e ai templi antichi incastonati tra i grattacieli. Ma c’è un aspetto della vita quotidiana coreana che, pur essendo meno instagrammabile, è fondamentale per comprenderne davvero la cultura: il bere.

Sì, perché in Corea del Sud non si beve “per ubriacarsi” e basta. Si beve per socializzare, per mostrare rispetto, per rafforzare legami sul posto di lavoro, per liberarsi dallo stress e perfino per dire “mi interessi” senza doverlo pronunciare ad alta voce.

Il soju come simbolo nazionale

In Corea, il soju non è solo una bevanda: è una consuetudine radicata, un gesto sociale, un rituale collettivo. Pensate che il consumo medio settimanale si aggira intorno ai 13 shot a persona. Per capirci: quello che per noi potrebbe essere una serata brava, lì è... martedì.

Il soju ha un sapore delicato, un grado alcolico relativamente basso e si accompagna spesso alla birra in una combinazione nota come somaek. Si beve con colleghi, amici, parenti. Non è mai solo una questione di alcol: è condivisione. Ed è un modo per avvicinarsi agli altri, spesso più diretto di mille parole.

Il bere come linguaggio sociale

Offrire un bicchiere in Corea è come tendere una mano. È un invito all’intimità, un “voglio conoscerti meglio” sussurrato attraverso il vetro di un bicchierino. Nei drama si nota subito: prima si beve, poi si piange, si ride, ci si confessa.

E tutto ha un codice preciso. Le regole non scritte della cultura del bere coreana sono un perfetto esempio della gerarchia che permea ogni aspetto della società.

Etichetta alcolica: 10 regole (non proprio facoltative)

  1. Mai rifiutare un drink da un superiore: è questione di rispetto. Anche se ti propinano dieci shot, tu... sorridi e bevi.

  2. L’ordine conta: in famiglia beve per primo il nonno, poi i genitori, poi i fratelli maggiori. All’ufficio, il CEO, poi i dirigenti. Tu per ultimo.

  3. Versa con entrambe le mani: sempre. Anche se sei mancino. Anche se hai in mano il cellulare. Trova un modo.

  4. Ricevi il drink con entrambe le mani: un gesto piccolo, ma fondamentale. Se non lo fai, comunichi disinteresse o maleducazione.

  5. Il bicchiere del superiore deve essere più alto: quando brindate, fai in modo che il tuo bicchiere tocchi il suo... ma più in basso.

  6. Bevi voltandoti di lato: copri la bocca e gira il viso. Mostrare il volto mentre si beve può essere considerato irrispettoso.

  7. Non lasciare mai il bicchiere mezzo pieno: o lo bevi tutto o niente. Mezze misure non sono previste.

  8. Non riempirti mai il bicchiere da solo: aspetta che qualcuno lo faccia per te. E ringrazia.

  9. Adeguati al ritmo degli altri: se bevono lentamente, rallenta. Se bevono veloce, accelera (ma occhio a non esagerare).

  10. Resisti alla pressione: se sei al limite, puoi rifiutare—ma fallo con grazia. Un semplice “sono già un po’ brillo” può bastare.

Il bere come dovere lavorativo

In Corea, il lavoro non finisce mai davvero quando esci dall’ufficio. Le hoesik (cene aziendali) sono appuntamenti fissi, e più che occasioni per rilassarsi sono test di resistenza sociale.

Il superiore ti invita a bere? Accetti. Il collega ti passa un altro shot? Lo prendi. Rifiutare può essere visto come un’offesa, o peggio, come segno di scarsa “dedizione” al gruppo.

C’è qualcosa di profondamente ironico in tutto questo: bere per “socializzare” può anche significare essere costretti a farlo.

Bere per non crollare

La pressione sociale, scolastica, lavorativa in Corea è alle stelle. Studenti e impiegati vivono giornate estenuanti, e l’alcol diventa spesso l’unica valvola di sfogo. Ma il corpo, per quanto addestrato, ha dei limiti. Ed ecco che nascono… i rimedi post-sbronza.

Le zuppe del giorno dopo: Haejangguk

La Corea ha un vero e proprio arsenale di zuppe contro il mal di testa post-soju. Si chiamano tutte haejangguk (letteralmente: “zuppa per curare la sbornia”) ma ognuna ha il suo twist:

  • Sogogi haejangguk: con manzo a fette.

  • Hwangtae haejangguk: con merluzzo essiccato.

  • Sunji haejangguk: con sangue coagulato di maiale o manzo.

  • Kongnamul haejangguk: con germogli di soia, la più leggera e apprezzata dagli stranieri.

  • Soondubu haejangguk: con tofu, quasi vegetariana.

  • Sagol haejangguk: con spina dorsale di maiale, peperoncino e carne tenerissima.

Queste zuppe si trovano ovunque, persino nei minimarket. Insieme a bibite, snack e pillole che promettono miracoli dopo una notte pesante.

I drama, lo specchio (ironico) della realtà

Se guardi drama coreani, l’avrai notato: le scene in cui i protagonisti bevono soju abbondano. Spesso da soli, altre volte tra amici, in un karaoke, in un bar di strada. Il bicchiere diventa veicolo di emozioni. È lì che si dichiarano, si lasciano, si confessano segreti.

La cultura del bere viene quasi romanticizzata. Ma dietro quella bottiglietta verde, c’è anche il lato oscuro.

La faccia nascosta del geonbae

L’abuso alcolico in Corea è una realtà pesante. Le “one shot”, ovvero bere il bicchiere tutto d’un fiato, sono parte integrante del rituale. Ma moltiplicale per 10, 20, 30… e i rischi diventano tangibili.

Blackout, scarsa capacità di giudizio, aggressività. E, in alcuni casi, conseguenze molto più gravi. Si parla anche di violenze domestiche e calo della produttività. Ma le aziende di liquori restano intoccabili, con campagne pubblicitarie da milioni di dollari e una forte influenza politica.

E se non vuoi bere?

C’è un piccolo trucco, un modo gentile per rifiutare senza spezzare il momento: porta il bicchiere alle labbra, fai finta di bere e poi appoggialo. Nessuno si offenderà, se lo farai con discrezione.

Perché alla fine, l’alcol non è davvero il centro della questione. Quello che conta è sentirsi parte del gruppo, mostrarsi rispettosi e condividere un momento.


In Corea, il bere non è solo un’abitudine: è una vera e propria lingua fatta di gesti, regole e sguardi. È un modo per dire "ti rispetto", "sono con te", "non sei solo".

Ma è anche un sistema che può soffocare, obbligare, schiacciare. Un equilibrio sottile tra calore umano e pressione sociale.

Quindi sì, se andrai in Corea, preparati a dire “geonbae!”... ma ricorda anche che puoi sempre alzare il bicchiere, sorridere, e scegliere se bere davvero—o no.


Fonte: https://ling-app.com/ko/korean-drinking-culture/