2 giugno 2025

La vera storia dietro ai drama: Amare un dio – Gumiho, spiriti e immortali nel cuore moderno della Corea

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C’è una costante nei drama romantici soprannaturali coreani: l’amore più bello è anche quello più impossibile.
Non è solo una differenza di classe o di epoca. È una distanza ontologica, fatta di immortalità, potere, maledizioni e identità leggendarie.

In Goblin, My Girlfriend is a Gumiho e Bride of the Water God, l’amore nasce tra esseri di mondi diversi. Uno è condannato a vivere per sempre, l’altro a morire. Uno è un dio, l’altro è umano. Uno non capisce il cuore, l’altro non può più farne a meno.

Tre drammi, tre divinità, tre umani. Un solo sentimento che li rende uguali.

🌊 Bride of the Water God – Il peso della divinità

Ispirato a un manhwa molto noto in Corea, Bride of the Water God rilegge in chiave moderna una leggenda tradizionale: quella della dea dell’acqua e della sposa umana sacrificata per la pioggia.

Nel drama, il dio Ha Baek scende sulla Terra per ritrovare delle pietre sacre, e qui incontra Yoon So Ah, una psicologa razionale, discendente di un’antica famiglia che serviva il suo culto. Lui è egoriferito, lei è stanca della vita. Eppure tra loro nasce qualcosa di fragile e inevitabile.

Ma non è facile amare un dio: Ha Baek è potente, immortale, ma estraneo alla sofferenza umana. So Ah, invece, è tutta ferite e sarcasmo. È proprio nella frizione tra divinità e umanità che la storia prende forma: un dio che impara a diventare uomo, una donna che riscopre il bisogno di credere.

🐺 My Girlfriend is a Gumiho – La volpe che voleva vivere

La Gumiho, la volpe a nove code, è una delle figure più antiche e temute del folklore coreano. Tradizionalmente è associata a donne belle e pericolose, che seducono uomini per rubarne l’energia vitale.

Il drama però capovolge la leggenda: la Gumiho protagonista è dolce, ingenua, affamata di manzo… e soprattutto desiderosa di diventare umana. Vuole vivere, amare, sentire.
Accanto a lei, un ragazzo pavido e viziato, Dae Woong, che scoprirà cosa significa proteggere qualcuno senza potere.

La perla di volpe, simbolo del potere che lei cede per avvicinarsi all’umanità, diventa qui il cuore pulsante di un legame tenero e commovente. Ma può una creatura millenaria rinunciare alla sua essenza per amore?

🌌 Goblin – L’eternità della mancanza

In Goblin, la leggenda si fa poesia.
Il generale Kim Shin, tradito e condannato dagli dèi, è trasformato in Goblin, un essere immortale che può trovare pace solo quando la sua “sposa predestinata” estrarrà la spada conficcata nel suo petto.
Passano secoli. Fino a quando incontra Ji Eun Tak, una ragazza che vede i fantasmi e ride alla vita nonostante tutto.

Il drama è un inno alla solitudine dell’eternità, al peso del ricordo, alla bellezza struggente di ogni singolo attimo.
Kim Shin è un dio che ha visto fin troppe morti, Eun Tak è una giovane vita che si aggrappa alla speranza. Insieme costruiscono qualcosa di impossibile, meraviglioso, temporaneo.

A fianco a loro, la figura di Black, il mietitore di anime, che nel suo stesso drama spin-off ci ricorda un'altra verità: la morte non è il contrario dell’amore. È solo il suo confine.


✨ Divinità, leggende e cuori umani: l’amore soprannaturale nei drama coreani

In tutti e tre questi drama, l’elemento fantastico non è mai puro ornamento. Serve a scavare nelle domande più profonde:

  • Cosa ci rende umani?

  • Cos’è l’amore, se l’altro non può invecchiare o morire con te?

  • Si può rinunciare all’immortalità per un sentimento effimero?

  • Ha Baek deve scendere dal suo trono per capire cosa significa proteggere.

  • La Gumiho deve rischiare tutto per conoscere la fragilità.

  • Il Goblin deve desiderare la fine per comprendere davvero il valore della vita.

In fondo, il messaggio è uno solo:
Non è la divinità a fare la grandezza di un amore.
È quanto sei disposto a diventare umano, per viverlo fino in fondo.


I 5 finali più usati nei K-Drama romantici (e perché a volte ci fanno alzare gli occhi al cielo)

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Ci siamo passati tutti: stai guardando un drama con il cuore in gola, sei arrivata all’ultimo episodio e ti chiedi, emozionata e ansiosa, "Come finirà?". Hai investito tempo, lacrime, notti insonni, urla inascoltate contro lo schermo… e poi boom, arriva uno di quei finali. Sì, proprio quei finali. Quelli che hai già visto mille volte e che ormai riconosci a naso. Non sono per forza brutti, ma diciamo che a volte lasciano l’amaro in bocca. O almeno, una gran voglia di lanciare il telecomando. Ecco i 5 tipi di finale che, da fan di lunga data dei K-Drama romantici, ho imparato a riconoscere e a sopportare (o a maledire). Pronti?

1. “Un anno dopo…” – Il salto temporale più abusato della storia

Appare scritto in bianco su sfondo nero. Oppure è sussurrato dalla voce narrante. Ma il messaggio è chiaro: è passato un anno. E, come per magia, tutti i problemi si sono risolti. La coppia si rincontra sotto la prima neve, in un caffè, o per puro caso in aeroporto. E tutto si sistema. Fine. Ci sono due versioni principali di questo trope:

🌸 (a) La chiusura per tutti, anche per il barista comparso nell’episodio 3

Avete presente quei finali in cui persino il cane randagio che passava sullo sfondo ha trovato amore, lavoro e stabilità emotiva? Sono rassicuranti, certo. Ma spesso sembrano troppo “puliti”, quasi forzati. La vita vera non si chiude con fiocchetti rosa. E poi, davvero ci serviva sapere che l’amica dell’amico del cugino ora fa la pasticcera in Canada?

🌸 (b) La riconciliazione-lampo

Dopo mille ostacoli, la coppia si lascia. E poi, un anno dopo, si rivede e... tutto dimenticato! Baci, sorrisi e via. Ma quindi perché ci avete fatto soffrire per quattro episodi con quella rottura inutile? Spesso questi salti temporali sembrano solo un modo pigro per evitare di scrivere una vera evoluzione del rapporto.

2. Il break-up all’ultimo minuto (e il make-up nei titoli di coda)

Questo è il classico colpo basso. Hai passato 14 episodi a vedere la coppia costruire qualcosa, a crescere insieme, ad affrontare le difficoltà… e quando finalmente sembrano pronti per un lieto fine? Si lasciano. Episodio 15. Per una sciocchezza. Episodio 16: si guardano, si baciano, "Mi sei mancato/a", e vissero felici e contenti. Sul serio? Ancora peggio se ci buttano dentro:

  • un malinteso telefonico evitabile,

  • un personaggio che decide di sacrificare tutto “per il bene dell’altro” (senza chiederglielo),

  • o l’immancabile colpo di scena… con amnesia selettiva.

Se la rottura è preparata bene, con motivazioni profonde e coerenza narrativa, posso anche accettarla. Ma se è solo un modo per “tenere vivo l’interesse”... no, grazie. Il mio cuore ha una soglia di sopportazione.

3. Il matrimonio affrettato (perché evidentemente era obbligatorio)

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui sembrava che un drama non potesse considerarsi “finito” senza un matrimonio. Anche se i protagonisti si conoscono da tre settimane. Anche se hanno appena fatto pace. Anche se uno di loro ha appena finito il liceo. Chi se ne importa! SPOSIAMOLI!

Il problema non è il matrimonio in sé, ma la sua forzatura. Sembra che basti mettere un abito bianco e una musica lenta per convincerci che tutto sia andato bene. Ma l’amore non si conclude, inizia! E se il matrimonio viene inserito solo per dare un contentino, spesso risulta più una scorciatoia che una vera conclusione.

Eccezione: i marriage contract dramas

Se la coppia è stata costretta a convivere fin dall’inizio, a fare i conti con la vita quotidiana, le famiglie, i litigi, le differenze… allora sì, quel matrimonio finale ha un peso. Non è un “premio”, ma la naturale conseguenza di un percorso vissuto e meritato. E lì, ammetto, mi scappa pure una lacrimuccia.

4. Le sottotrame amorose lasciate a metà (e le coppie secondarie sprecate)

Tu mi presenti due personaggi adorabili, mi fai intuire una tensione romantica tra loro, mi dai pure due o tre momenti carini… e poi? Li dimentichi. Nessuna chiusura. Nessun bacio. Niente.

Capisco che il focus debba restare sui protagonisti, ma se scegli di accendere una fiammella, poi devi dargli ossigeno. Non puoi lasciarci con lo ship in mano e zero payoff. E no, non basta un sorriso complice nell’ultima scena collettiva.

Stessa cosa per le coppie secondarie inutili. Quelle inserite giusto per riempire il minutaggio, che non hanno né chimica, né peso nella trama. “Mr. Noioso” e “Miss Perché Sei Qui” stanno rubando tempo prezioso alla mia OTP. Mandateli in un drama tutto loro, grazie

5. I finali aperti (e i finali “ci siamo fermati qui per caso”)

Non è che i finali aperti siano di per sé un problema. Anzi, a volte sono perfetti. Ma devono essere intenzionali, coerenti con il tono e con il messaggio del drama.

Il problema è che spesso il finale aperto è solo il modo elegante per dire:

“Non sapevamo come finire la storia. Speriamo che nessuno se ne accorga.”

A volte sembrano finali scritti mentre scorrevano i titoli di coda. Sospesi. Incompleti. Frustranti. Come quei drama che sembrano urlare: “Aspettate la seconda stagione!”... quando tutti sappiamo che non ci sarà.

Menzione speciale: i drama con malattia terminale

In questo caso, i finali aperti assumono un’altra forma. Di solito si dividono in due:

  • Tipo 1: Il/la protagonista malato vive, ma è chiaro che il tempo è limitato. Il messaggio è: godiamoci il presente.

  • Tipo 2: Il/la protagonista muore, ma lascia un’eredità emotiva ai personaggi e agli spettatori. La vita va avanti, anche nel dolore.

In entrambi i casi, se scritti bene, sono finali poetici, pieni di significato. Forse amari, ma necessari.

Conclusione: finale bello o finale brutto? Dipende tutto dal viaggio

Ci sono drama che riescono a colpire al cuore nonostante un finale imperfetto. E ce ne sono altri che, pur con una chiusura perfetta sulla carta, non lasciano nulla. Perché il vero valore, alla fine, non è come finisce una storia, ma come viene raccontata.

E tu? Quali sono i finali che ti fanno gridare “NOOOO” davanti allo schermo? O quelli che ti lasciano un sorriso malinconico sulle labbra?

Fammi sapere, perché alla fine... i drama sono belli anche per questo: ci fanno sentire. E parlarne insieme è il nostro lieto fine personale.

I Giovani Re e Principi Ereditari di Joseon nei Drama Storici: tra realtà e rappresentazione

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Negli ultimi anni, i drammi storici coreani (sageuk) hanno mostrato una tendenza interessante: la rappresentazione di re e principi ereditari sempre più giovani e affascinanti. Se un tempo i sovrani venivano raffigurati come figure mature, con barbe imponenti e sguardi saggi, oggi assistiamo a una nuova era di sovrani giovani, spesso imberbi, che affrontano le sfide del potere con inesperienza e vulnerabilità.

Questa scelta stilistica non è casuale. Da un lato, risponde al desiderio di attrarre un pubblico più giovane, offrendo personaggi con cui identificarsi. Dall'altro, riflette una triste realtà storica: molti dei re e principi ereditari del tardo periodo Joseon morirono prematuramente, spesso prima di poter dimostrare appieno il loro potenziale.

📜 Il Principe Sado: una tragedia annunciata

Il Principe Ereditario Sado è forse uno dei personaggi più tragici della storia di Joseon. Figlio del re Yeongjo, fu nominato erede al trono in giovane età, ma la sua vita fu segnata da pressioni insostenibili e da un rapporto conflittuale con il padre. Isolato dalla madre e cresciuto principalmente da balie e eunuchi, Sado mostrò segni di instabilità mentale, culminati in comportamenti violenti. Alla fine, Yeongjo ordinò la sua esecuzione, facendolo rinchiudere in una cassa di riso dove morì a 27 anni.

👑 Re Jeongjo: il figlio devoto

Nonostante le circostanze tragiche della morte del padre, Re Jeongjo salì al trono determinato a onorare la memoria di Sado. Intelligente e riformista, cercò di migliorare la vita dei sudditi e di ridurre le discriminazioni sociali. Costruì la Fortezza Hwaseong a Suwon, dove trasferì le spoglie del padre, simbolo del suo desiderio di riabilitare la figura paterna. Tuttavia, anche Jeongjo morì prematuramente a 48 anni, lasciando incompiuti molti dei suoi progetti.

👶 Re Sunjo e la politica dei reggenti

Re Sunjo salì al trono a soli 11 anni, dopo la morte improvvisa di Jeongjo. La sua giovane età rese necessaria la nomina di reggenti, tra cui la regina vedova Jeongsun, che esercitò un forte controllo sulla corte. Questo periodo vide l'ascesa della "politica dei reggenti" (Sedo Politics), in cui le famiglie delle regine vedove acquisivano un potere significativo, spesso a scapito dell'autorità reale.

🧒 Il Principe Hyomyeong: speranza e disillusione

Figlio di Sunjo, il Principe Hyomyeong fu nominato reggente a 19 anni nel tentativo di contrastare l'influenza delle famiglie potenti. Nonostante i suoi sforzi per riformare la corte e promuovere talenti indipendentemente dall'origine familiare, morì a soli 21 anni. La sua morte prematura segnò un'altra occasione mancata per rafforzare l'autorità reale.

👑 Re Cheoljong e l'illusione del potere

Dopo una serie di successori deboli o prematuramente scomparsi, salì al trono Re Cheoljong, scelto per la sua lontana discendenza reale e la sua presunta malleabilità. Tuttavia, anche lui morì giovane, a 33 anni, senza lasciare eredi. La sua morte segnò la fine della linea diretta di discendenza di Sado.

👸 Le Regine Vedove: potere dietro le quinte

In questo contesto di re giovani e deboli, le regine vedove assunsero un ruolo sempre più centrale. Agendo come reggenti, esercitarono un'influenza significativa sulla politica di corte, spesso promuovendo gli interessi delle loro famiglie d'origine. Figure come la regina Jeongsun, la regina Sunwon e la regina Sinjeong furono protagoniste di questa era, guidando il regno attraverso periodi turbolenti.


La rappresentazione di giovani re e principi ereditari nei drammi storici non è solo una scelta estetica, ma riflette le complesse dinamiche di potere e le tragedie personali che hanno caratterizzato il tardo periodo Joseon. Attraverso queste storie, possiamo comprendere meglio le sfide affrontate da questi giovani sovrani e le influenze che hanno modellato la storia della Corea.

Fonte: https://thetalkingcupboard.com/2021/02/18/joseon-kings-crown-princes-dramas-late-joseon/