26 maggio 2025

La ragazza cattiva nei K-Drama: icona o cliché da riscrivere?

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Ogni volta che in un K-Drama compare una donna bellissima, elegante e piena di sicurezza, noi fangirl lo sappiamo già: è lei.
La villain. La nemica. Colei che farà di tutto per rubare il protagonista alla nostra eroina (che magari è pure più simpatica, ma si veste molto peggio).

D’altronde, l’aspetto inganna. E se nei primi minuti ti sembra una dea, sappi che da lì a poco sarà la nemesi perfetta, con un passato misterioso e un piano malvagio in tasca.
O è la ex ricchissima tornata da New York,
o è l’amante perduta che spunta fuori tipo boss finale,
o peggio ancora... è entrambe.


💄 Come riconoscere una “bad girl” in un K-Drama?

È semplice: ha un look da sfilata e un carattere da pugno nei denti.
Ecco il kit completo della ragazza cattiva:

  • È ricca sfondatissima. Di solito ha studiato all’estero (America, grazie di tutto).

  • Era carina e innocente, ma qualcosa l’ha “spezzata” (o almeno così dicono).

  • È ancora innamorata del protagonista… e si vede.

  • L’ha lasciato lei, anni prima, ma ora è tornata per “riprenderselo”.

  • Si veste da paura. Fashion icon? Sì. Simpatica? Eh.

  • È maleducata con la protagonista e spesso con chiunque osi respirare attorno a lei.

  • È (ahimè) spesso più bella della protagonista.

  • Scopre segreti. Sempre. Ha un radar per il passato altrui.

  • È disposta a tutto – e intendo tutto – per allontanare la protagonista.

  • Anche se viene respinta cento volte, lei resta lì, aggrappata.

  • Magari c'è anche una “promessa d'infanzia” col protagonista. Ovviamente.

  • Sa benissimo che lui ama un’altra, ma se ne frega.

  • È fredda. Difficile parlarle. Difficile fermarla.

  • È ossessionata.

  • Dice “ti amo”, ma manipola, mente e ricatta.

  • Alla fine viene scaricata. E spesso se ne va piangendo, truccata perfettamente.

  • (Se va bene) si consola col second lead.


🎬 Alcuni esempi?

  • Wang Ji Hye in Birth of a Beauty (manipolatrice seriale con stile)

  • Kim In Hee in Personal Taste (la classica ex che non accetta la sconfitta)

  • Seol Hee in Cheese in the Trap (finta amica, vera serpe)

  • E potrei continuare per ore...


😤 Perché queste ragazze ci fanno impazzire?

Perché sono troppo prevedibili.
Belle, perfette, spietate... ma senza spessore. Spesso sembrano uscite da una stampa 3D: stesse battute, stessi vestiti, stessi finali.
E ammettiamolo: vederle implorare l’amore di un uomo che non le ricambia non fa pena. Fa fastidio.

E io mi chiedo:
Ma davvero ogni donna ricca e affascinante dev’essere presentata come il male incarnato?
Davvero non esistono donne belle, brillanti e gentili nei drama coreani?
Perché se la protagonista è dolce e un po’ maldestra, allora tutte le altre devono essere vipere in tacco 12?


👑 Ma... servono davvero?

Sì. Un po’ sì.
La bad girl ci fa arrabbiare, ci esaspera, a volte ci diverte pure.
E senza di lei… molte storie non funzionerebbero.
È il pepe nella minestra.
È la mina vagante.
È quella che odiamo ma non possiamo ignorare.

E se gli sceneggiatori osassero un po’ di più?


✨ La mia proposta? Riscattarle.

Basta con le cattive da cartolina.
Vogliamo vedere personaggi femminili complessi, ambigui, umani.
Donne competitive, sì, ma anche capaci di cambiare, crescere, emozionarci.

Una bad girl con un arco narrativo vero, che metta davvero in discussione la coppia protagonista. Una rivale che non sia solo “cattiva” per contratto, ma che ci faccia tifare anche per lei.
Perché a volte... le antagoniste sono più interessanti delle protagoniste perfette.


📝 In conclusione:

Sì, le “mean girls” ci servono.
Ma non vogliamo più pupazzi in tailleur e frasi di plastica.
Vogliamo donne vere. Imperfette. Intense. Che cadono, si rialzano, e magari – perché no – vincono.

E tu? Qual è la bad girl dei drama che hai più odiato?
O quella che, sotto sotto, un po’ tifavi?

Scrivimelo nei commenti! 💬

La vera storia dietro ai drama: Regni antichi e sangue reale – Kim Soo Ro e Soo Baek Hyang, tra mito e identità

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Prima di Joseon.
Prima di Goryeo.
C’era una Corea fatta di regni nascosti, principesse sconosciute e re leggendari.
Di città-stato che vivevano sul commercio e di imperi che nascevano da madri in sogno.
I drama Kim Soo Ro e King’s Daughter Soo Baek Hyang ci riportano proprio lì: all’origine di tutto.


⚒️ Kim Soo Ro – Il re del ferro e dei mari

Il drama del 2010 racconta la vita epica di Kim Soo Ro, il leggendario fondatore di Geumgwan Gaya, una delle città più influenti della confederazione di Gaya.

Figlio di una donna venuta dal cielo, secondo la leggenda, Soo Ro è cresciuto tra le tensioni di un potere conteso, in un regno giovane ma strategico, costruito sul commercio marittimo e sulla lavorazione del ferro.

Il drama ne fa un eroe carismatico, determinato, ma anche tormentato dalla necessità di proteggere il suo popolo e il suo destino.
Tra battaglie, alleanze e tradimenti, Kim Soo Ro non è solo un re: è il simbolo della nascita di un’identità collettiva.
Un sovrano che fonda un regno ma non dimentica mai da dove è partito.


👑 King’s Daughter Soo Baek Hyang – Una principessa cancellata dalla storia

Baekje è uno dei Tre Regni di Corea, ma la sua storia è spesso meno conosciuta rispetto a Goguryeo e Silla.
Ed è proprio in questo silenzio che si inserisce il drama King’s Daughter Soo Baek Hyang (2013), con una protagonista dimenticata: la figlia del re Muryeong.

Soo Baek Hyang cresce lontana dalla corte, ignara della propria identità reale. Quando scopre la verità, si trova coinvolta in giochi politici, lotte tra fratelli e pressioni dinastiche.
Ma sceglie di rinunciare al titolo per proteggere la sorella, sacrificando se stessa per il bene altrui.

Il drama mescola leggenda, politica e sentimento, ma soprattutto racconta una cosa chiara:

che anche una principessa può essere grande senza bisogno della corona.


✨ Due leggende, due volti del potere

Kim Soo Ro costruisce un regno.
Soo Baek Hyang lo protegge senza governare.
Lui rappresenta l’ascesa.
Lei, la rinuncia.
Ma entrambi, in fondo, parlano della stessa cosa:

di quanto il sangue reale conti meno della coscienza.

In un mondo antico in cui la storia si scriveva sulle pareti dei templi e nei sussurri di corte, questi due personaggi ci ricordano che le radici della Corea affondano nella scelta personale:
di guidare, di combattere, di sacrificarsi.

Due drammi profondamente diversi, ma che insieme raccontano un tempo in cui diventare re o principessa significava decidere chi volevi essere.


 

Le figlie dimenticate della dinastia Joseon: tra palazzi, matrimoni e solitudine

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Sappiamo quasi tutto dei re, delle regine e dei principi della dinastia Joseon, almeno se ci basiamo su ciò che ci hanno raccontato decine di sageuk – quei drama storici che trasformano la Storia in spettacolo, tragedia e sogno. Ma c’è una categoria che, nel passaggio tra documenti e fiction, sembra svanita come la nebbia all’alba: le principesse.

No, non quelle stile Disney. Le principesse di Joseon non avevano vestiti rosa, castelli da favola o lieto fine assicurato. La loro vita era un equilibrio precario tra adorazione paterna, doveri familiari, rigidità sociale e... un’inquietante solitudine. Eppure erano figlie del re. Eppure erano . Solo che la storia – e i drama – spesso le hanno dimenticate.

Un inizio in punta di piedi

Quando nasceva una figlia nella Casa Reale di Yi, il suo arrivo veniva registrato con attenzione maniacale: giorno, ora, persino il momento del parto. Tutto annotato nel Genealogico Reale. Ma tra guerre e invasioni, molti di questi documenti sono andati persi. A volte, l’annuncio ufficiale arrivava solo in occasione di un banchetto, un dono dei ministri o una cerimonia speciale. Come a dire: sì, è nata una principessa... ma non è che sia poi così importante.

Eppure, almeno nei primi anni, la sua vita sembrava quella di una piccola divinità domestica. Il padre – il Re – la adorava, la madre o la concubina reale la cullava, e intorno a lei si muoveva una piccola corte fatta di nutrici, dame e ancelle devote.

Ah, e poi c’era il vaso della placenta.

Sì, hai letto bene.

Secondo una tradizione iniziata in epoca Goryeo, la placenta del neonato reale veniva lavata con acqua (cento volte!) e con vino, avvolta in panni bianchi e deposta in una giara speciale. Questa giara veniva poi seppellita in un luogo ritenuto favorevole, spesso lontano dal palazzo. Un rituale delicato, poetico quasi, per augurare una vita lunga e serena. Ma che spesso, purtroppo, non bastava.

Una vita appesa a un filo

L’infanzia nella Joseon non era facile, nemmeno per le principesse. Febbri, morbillo, inverni troppo freddi, estati troppo afose. Il tasso di mortalità infantile era spaventoso, e molte di loro morivano giovanissime. Come la principessa Jeongso, primogenita di Sejong il Grande, morta a soli 13 anni, lasciando dietro di sé un padre affranto e una cerimonia funebre che riempì le pagine degli Annali.

Eppure, se sopravvivevano all’infanzia, le attendeva una nuova tappa: il matrimonio. Un evento che non aveva nulla a che vedere con l’amore.

Sposarsi “verso il basso”: l’arte del Haga

Le principesse non sposavano principi. Non sposavano nemmeno alti funzionari. Perché? Perché il rischio era troppo alto: un suocero troppo potente, un marito troppo ambizioso… e la stabilità del trono poteva vacillare. Perciò il consorte veniva selezionato con cura tra giovani educati ma di rango medio. Il loro unico compito? Sposare una principessa. E poi... fare molto poco.

Già, perché il marito della principessa non poteva fare carriera politica, non poteva prendere concubine durante la vita della moglie, e se lei moriva, nemmeno risposarsi. Un ruolo d’onore, certo, ma anche una gabbia dorata. E se osavano deviare da queste regole? Potevano ritrovarsi nella bufera, come accadde più volte nel corso della dinastia.

Ma anche le principesse pagavano il prezzo di questa unione. Dovevano lasciare il palazzo, vivere con il marito (o con i suoceri) e adattarsi a una nuova casa, spesso enorme, spesso lussuosa… ma mai casa loro davvero.

Amate, ma dimenticate

C’era chi veniva coccolata fino all’eccesso, come la principessa Hwapyeong, a cui Yeongjo voleva regalare una residenza pari a un palazzo reale (lei rifiutò). E poi c’erano quelle che venivano trascurate, ignorate, persino umiliate.

Come la principessa Hyojeong, la cui madre morì presto. Suo marito prese come concubina una delle sue ancelle, la trattò male, la lasciò morire senza chiamare il medico. E lei, povera Hyojeong, difese quell’uomo fino alla fine. Come se fosse più importante la fedeltà che la dignità. Forse lo era, in quella società.

E poi c’era la principessa Hwasun, che, dopo la morte del marito, smise di mangiare. Morì di fame per seguirlo nell’aldilà. Il padre, il re, provò a fermarla. La implorò. Ma lei non si fermò. Morì 14 giorni dopo il marito. E solo molti anni dopo fu riconosciuta come “donna virtuosa”. Il cancello rosso della sua fedeltà esiste ancora, testimone silenzioso di un amore che oggi ci lascia più inquieti che commossi.

Tra palazzo e prigione

Alcune principesse furono vere testimoni della Storia. Come Jeongmyeong, che visse sotto sei re diversi. Fu imprigionata, osservata, temuta, rispettata. Non aveva voce in politica, ma la sua esistenza era politica. E poi c’era Hwawan, coinvolta in intrighi, deposta, esiliata. Eterna sorella, eterna figlia, eterna pedina.

Molte di loro finirono i giorni nella solitudine, vedove, senza figli, sepolte non con la famiglia reale ma con il marito. E se morivano nubili, finivano in cimiteri separati, quasi “invisibili”.

Eppure… avevano vissuto.

La dolce prigione dell’essere principessa

Essere una principessa Joseon non significava avere potere. Significava portare un titolo, vivere una vita tracciata da altri, ed essere allo stesso tempo adorata e ignorata. Ogni sorriso, ogni abito, ogni cerimonia, ogni parola era regolata da un rituale, da un’etichetta, da una tradizione.

Avevano la bellezza della calligrafia imparata dai genitori. I giardini più belli di tutta Seoul. I regali del re. Le dame a loro servizio. Ma non la libertà di scegliere.

Alcune furono fortunate. Altre no. Alcune amarono. Altre furono solo amate. Alcune sopravvissero. Molte no.

Ma tutte – tutte – hanno lasciato tracce. Nei documenti, nei vasi, nei cancelletti rossi. Nelle pagine dimenticate degli annali. E ora anche nei nostri cuori di spettatori romantici, che forse – per un attimo – riusciremo a guardare un drama storico e chiederci: dov’è la principessa? Qual è la sua storia?

Fonte:

  1. https://thetalkingcupboard.com/2020/05/20/joseon-princess-life/