Quando ho iniziato The Tale of Nokdu, mi aspettavo un drama romantico in costume come tanti. E invece, mi sono ritrovata in un mondo molto più complesso, fatto di identità segrete, giochi di potere e… di donne. Donne forti, fragili, marginali. Donne come le kisaeng. Così, episodio dopo episodio, ho sentito il bisogno di andare oltre la finzione. Di capire davvero chi fossero queste figure che riempivano lo schermo con i loro sorrisi truccati e i loro dolori taciuti. Perché The Tale of Nokdu non racconta solo la storia di Nokdu che si traveste da donna per entrare in un villaggio di vedove. Racconta la storia di un intero sistema che ha usato e dimenticato le donne per secoli.
La trama tra realtà e invenzione
Il drama, andato in onda nel 2019 con protagonisti Jang Dong-yoon e Kim So-hyun, parte da un espediente narrativo brillante: un uomo che si traveste da donna per entrare in un villaggio proibito agli uomini. Il motivo? Scoprire la verità sulle sue origini. Ma finisce per imbattersi in Dong-joo, una ragazza dal passato doloroso che sogna vendetta e rifiuta il destino di diventare kisaeng.
Fino a qui, la fiction regna sovrana. Ma il contesto in cui si muovono i personaggi – il periodo Joseon – è tutt’altro che inventato. E il villaggio di vedove? Non esisteva davvero, ma affonda le radici in dinamiche sociali vere: in epoche in cui le donne sole, soprattutto vedove, erano escluse, isolate, eppure a volte anche alleate tra loro.
Kisaeng: tra arte, schiavitù e sopravvivenza
È impossibile guardare The Tale of Nokdu senza restare affascinati dalle kisaeng. Colorate, eleganti, ma anche malinconiche. Chi erano davvero? Non semplici prostitute, come molti pensano. Le kisaeng erano donne schiave, appartenenti alla classe più bassa della società, eppure educate alla poesia, alla musica, alla danza. Intrattenevano nobili, ambasciatori e ufficiali, ma spesso erano loro stesse le più colte della stanza.
Paradossalmente, erano considerate “con il corpo da schiava e la mente da nobile”. Erano artiste, letterate, a volte mediche. Ma mai libere. Potevano essere riscattate solo da un uomo ricco che ne acquistasse la libertà. Eppure, proprio per questo, molte di loro riuscivano a esercitare un potere invisibile: sapevano tutto di tutti, erano spie perfette, amanti indispensabili, ma anche voci poetiche che sfidavano i limiti della loro epoca.
L’arte di resistere (e risplendere)
Il mondo delle kisaeng era regolato come un’istituzione: registri governativi, esami, gerarchie interne. Entravano giovanissime, a volte vendute dalle famiglie, e studiavano per anni in scuole speciali. Le migliori appartenevano alla “prima categoria” (ilp’ae) e potevano scegliere i loro clienti. Le peggiori, invece, erano costrette a lavorare fin da giovanissime e spesso fino alla morte.
Alcune, però, sono passate alla storia. Come Hwang Jin-i, celebre per la sua bellezza e i suoi versi arguti, o Non Gae, che si lanciò da una scogliera abbracciando un generale giapponese per ucciderlo. E anche se i loro nomi sono pochi, la loro eredità è immensa. Perché le kisaeng hanno saputo trasformare il loro ruolo imposto in una forma di arte, di potere, di sopravvivenza.
Il peso del passato sulle spalle di Dong-joo
In The Tale of Nokdu, Dong-joo incarna questo conflitto. È una ragazza piena di rabbia, intrappolata in un ruolo che rifiuta. Non sa cantare, non sa ballare, ma sa costruire armi. E vuole vendetta. Non vuole essere vista come oggetto decorativo, ma come soggetto della propria storia. In questo, forse, è l’eroina più moderna di tutte.
Attraverso di lei, il drama restituisce voce a tante donne che non hanno mai potuto parlare. Racconta la dignità nascosta dietro ai veli di seta, le ferite dietro ai sorrisi smaltati, e le scelte difficili dietro ogni passo di danza.
La verità dietro i costumi
A rendere ancora più potente il messaggio del drama, c’è la cura dei dettagli. I costumi delle kisaeng, i rituali, le cerimonie, persino i canti: tutto è studiato per riflettere fedelmente la vita dell’epoca. Anche il personaggio di Nokdu, travestito da donna, diventa un ponte narrativo per osservare il mondo femminile dall’interno. Un mondo di restrizioni ma anche di complicità, di bellezza ma anche di dolore.
E oggi?
Il sistema delle kisaeng è stato ufficialmente abolito nel 1895, ma molte di loro hanno continuato a esistere anche durante il periodo coloniale giapponese, trasformandosi lentamente in intrattenitrici più moderne o, tristemente, in lavoratrici del sesso. Alcune hanno partecipato ai movimenti di resistenza contro i giapponesi, come Aengmu, che donò tutto per la causa. Altre hanno visto la propria arte svanire nel silenzio.
Oggi, le vere kisaeng non esistono più. Ma restano i loro canti, i loro versi, le danze imitate nei palchi teatrali e nei drama storici. E ogni volta che una Dong-joo alza la voce o un Nokdu attraversa i confini del possibile, una parte di quella storia torna a respirare.
Perché The Tale of Nokdu è più di un semplice drama
Alla fine, quello che colpisce di The Tale of Nokdu non è solo la storia d’amore, o le scene comiche ben scritte. È la forza con cui riporta alla luce un mondo dimenticato. È il rispetto con cui racconta vite spezzate ma mai vinte. È la poesia nascosta dietro un travestimento.
Guardarlo significa ridere, commuoversi, e soprattutto ricordare. Ricordare che dietro ogni leggenda c’è una verità. E che, a volte, la verità è ancora più affascinante della finzione.
Fonte:
- https://en.wikipedia.org/wiki/The_Tale_of_Nokdu
- https://en.wikipedia.org/wiki/Kisaeng
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