C’è qualcosa nella mitologia coreana che non ti lascia andare. Non è spettacolare come quella greca, non è ricamata d’oro come quella egizia, e nemmeno scolpita nei templi come quella indiana. Eppure… vibra. Vibra di dolore, di vendetta, di amore eterno, di trasformazioni impossibili, di creature che ti seguono con occhi invisibili tra le ombre. È una mitologia intima e feroce, che profuma di terra, di fango, di pioggia e di neve. Che parla di spiriti dimenticati, donne respinte, alberi che crescono come padri, e animali che, un giorno, diventano più umani degli umani.
Oggi voglio portarvi in un viaggio lungo secoli — da antiche leggende sciamaniche sussurrate nelle foreste dell’isola di Jeju fino ai drama moderni che hanno trasformato questi racconti in storie d’amore da binge-watching.
🌌 Le origini: quando il cielo incontrò la terra (e nacque il caos)
La mitologia coreana comincia con il cielo che cade sulla terra — e con due gemelli divini, Daebyeol e Sobyeol, figli del re celeste Cheonjiwang, che si sfidano per decidere chi governerà gli umani e chi l’aldilà. Sembra l’inizio di una favola, ma è già tragedia. Sobyeol, invidioso, bara. Vince. Ma poi non riesce a governare quel mondo strano in cui gli alberi parlano, i fantasmi tormentano i vivi e ci sono due soli e due lune. Solo il fratello che ha mandato negli inferi può riportare l’ordine. Così nasce il mondo: da un tradimento, da una richiesta di aiuto e da un silenzio riconquistato con frecce di ferro.
Ma la terra non è ancora finita. A plasmarla ci pensa Magohalmi, la nonna gigante che trasporta il fango nel suo hanbok e con quello crea montagne, colline e fiumi. Una divinità dimenticata, messa da parte nei testi ufficiali, ma viva nella voce del popolo. Un po’ come le donne nella storia — troppo spesso lasciate fuori, troppo spesso indispensabili.
💧 Acqua, fuoco, e un diluvio che rifà l’umanità
Come ogni mitologia che si rispetti, anche quella coreana ha il suo diluvio universale. Ma dimenticate Noè. Qui c’è Namu Doryeong, figlio di uno spirito albero e di una donna celeste, che durante la grande inondazione sale sui rami del padre e… salva formiche, zanzare, e persino un bambino. Il karma lo ricompenserà: con l’aiuto delle creature che ha salvato, vincerà una gara e sposerà una delle due figlie di una vecchia sopravvissuta sul monte Baekdu. Insieme a loro, fonderà una nuova umanità. Una moraletta? Sì. Ma anche una metafora potentissima sulla gentilezza come seme del futuro.
E poi c’è Changsega, con il suo cielo sostenuto da colonne di rame e uomini creati da insetti d’oro. Una cosmologia fatta di simboli, in cui il caos arriva quando chi dovrebbe governare lo fa con l’inganno. Sì, anche gli dei sbagliano. E a volte paghiamo noi.
🧙♀️ La principessa Bari: abbandonata, salvata, divina
Tra tutte le leggende coreane, quella della principessa Bari è la mia preferita. Perché è una ferita che si ricuce, una figlia non voluta che diventa dea, una donna che parte da sola, senza niente, per trovare l’elisir che salverà i genitori che l’hanno rifiutata. Dopo anni di servitù, di sacrifici, persino dopo essere diventata madre, lei torna indietro. E li salva. Rifiuta la ricchezza, rifiuta il trono, e torna negli inferi, da dove guiderà le anime dei morti.
È un mito potente, femminista, doloroso. Un’allegoria della pietà filiale? Certo. Ma anche della forza di chi sceglie di non odiare. Un viaggio di sola andata nella dignità.
👹 Creature mitiche, vendicative, malinconiche
Poi ci sono loro: le creature, le anime, gli spiriti. I mostri. Che in realtà parlano più di noi che di loro.
C’è la Gumiho, la volpe a nove code che seduce e divora cuori umani. Ma anche lei ha le sue crepe: in alcune versioni vuole diventare umana, e per riuscirci deve smettere di mangiare organi per mille giorni. La vediamo nei drama (My Girlfriend is a Gumiho, Gu Family Book, The Thousandth Man) come creatura ambivalente, sensuale e tragica. Come se ogni gumiho fosse una donna che il mondo non ha mai saputo capire.
C’è il Dokkaebi, il goblin coreano, portato alla ribalta dallo splendido Goblin del 2016. Non è un demone, è un’entità che ama fare scherzi, punisce i malvagi, a volte si innamora. E proprio come l’eroe del drama, può solo morire se incontra la donna predestinata. Romanticismo soprannaturale coreano, che dire.
Poi ci sono i Gwisin: fantasmi vergini, fantasmi d’acqua, fantasmi-uovo. I primi tormentano i vivi per non aver trovato marito, i secondi ti afferrano la caviglia nella vasca da bagno. I terzi, i Dalgyal Gwishin, sono quelli senza volto, che uccidono chi li guarda. Spettri nati da anime senza radici, senza famiglia, senza identità. Forse, i più umani di tutti.
E i vampiri? In Corea si chiamano Jiangshi se arrivano dalla Cina, o vivono tra noi nei drama: Scholar Who Walks the Night, Blood, Orange Marmalade. Hanno sete, ma anche ricordi, traumi, perdite. I vampiri coreani sono meno aristocratici di quelli occidentali, ma molto più tragici.
💀 Quando arriva la morte, porta un hanbok nero
Un’altra figura ricorrente è Jeoseung Saja, il mietitore d’anime. Non ha falce, ma un cappello tradizionale. Non è cattivo, ma inesorabile. Lo trovi negli ospedali, o dietro le porte di chi sta per morire. Lo abbiamo conosciuto (e amato) anche grazie al drama Goblin, dove ha una tenerezza cupa e una bellezza triste. In un mondo che ha paura della morte, la mitologia coreana la rende un compagno di viaggio. A volte silenzioso. A volte ironico.
🧠 Le morali popolari: karma, astuzia e giustizia
Le leggende coreane non servono solo a spaventare: servono a insegnare. Come la storia del ragazzo che salva una gazza e viene ricompensato dalla sua progenie. O quella in cui una coppia sacrifica il proprio figlio per salvare un padre malato, e scopre che il figlio era un Ginseng magico. O ancora quella degli studenti che fingono di essere avvelenati per non essere puniti, e il maestro sorride: stanno imparando.
Sono storie che parlano di pietà filiale, ma anche di astuzia, di giustizia, di compassione. Non c’è un Dio onnipotente che punisce. C’è una rete di spiriti, anime, esseri che osservano e agiscono. Che non dimenticano. Che ti fanno pagare, o ti salvano.
📺 I drama che hanno ridato voce alle leggende
E infine, la cosa più affascinante: come queste leggende sono sopravvissute, e anzi, sono tornate in vita. Nei K-drama. Nei webtoon. Nei film. In The Legend of the Blue Sea, la sirena si innamora ancora. In Arang and the Magistrate, una ragazza fantasma cerca la verità. In 49 Days, una donna ha 49 giorni per trovare tre persone che piangerebbero sinceramente la sua morte. E in Goblin, un generale maledetto vaga da secoli cercando la sua sposa predestinata.
Non sono solo storie d’amore. Sono riti di guarigione collettivi, in cui il dolore si trasforma in poesia e i mostri diventano specchi.
La mitologia coreana non è fatta per stupire. È fatta per restare. Per vivere in mezzo alle persone. Per trasmettere paure, desideri, ingiustizie, e poi riscriverle sotto forma di favole. È un mondo in cui tutto ha un’anima, anche la roccia, anche il vento. Dove la voce di una nonna gigante può creare le montagne, e una volpe può imparare ad amare.
È un mondo in cui chi viene dimenticato — le donne abbandonate, i fantasmi senza nome, gli spiriti silenziosi — ritorna sempre, per raccontare ancora una volta la sua storia.
E forse, mentre guardiamo un drama o leggiamo una favola antica, quel mondo ci parla più del nostro.
Fonte:
- https://en.wikipedia.org/wiki/Korean_mythology#Founding_myth
- https://www.inspiremekorea.com/it
- https://titesilve.wordpress.com/
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