A volte ci innamoriamo di un’arte per caso. Una scena di un drama, un personaggio che si perde tra pennellate e silenzi, e all’improvviso nasce la curiosità. Se anche tu ti sei ritrovata a osservare Kyung Woo Yeon in More Than Friends mentre praticava la calligrafia con quella passione silenziosa e delicata, allora sai già di cosa parlo. È come se quel gesto lento, antico e pieno di grazia avesse parlato al cuore. E magari ti sei detta: “Voglio provarci anche io”.
Ma per capire davvero la calligrafia coreana, bisogna fare un passo indietro. Tornare alle radici. Perché in Corea, scrivere non è mai stato solo scrivere. È sempre stato un modo per raccontare la propria anima.
Le tre arti perfette degli studiosi
Calligrafia, pittura e poesia: erano considerate le tre arti pure del literati, gli studiosi della Corea antica. Con linee, versi e colori esprimevano emozioni che non trovavano spazio altrove. Eppure, tra queste arti, la calligrafia ha sempre avuto qualcosa di speciale. Perché racchiude tutto: il ritmo di un pensiero, la forza di una convinzione, la leggerezza di un’emozione che non osa dire il suo nome.
Hangeul calligraphy: la bellezza silenziosa dell’equilibrio
La calligrafia coreana (서예, seoye) è l’arte di scrivere. Nata dall’influenza della calligrafia cinese, si è evoluta in una forma espressiva unica e profondamente coreana, soprattutto attraverso l’uso dell’Hangeul (한글), l’alfabeto creato nel XV secolo.
Ogni carattere scritto è un piccolo mondo: perfettamente bilanciato, armonioso, circondato da spazi vuoti che non sono vuoti davvero. Sono pause, respiri. Ed è proprio in quegli spazi che si annida la poesia.
Anche oggi, in tempi dominati dal digitale, la calligrafia continua a conquistare cuori. Non solo come arte visiva, ma come pratica meditativa, come modo per ritrovare sé stessi. Scrivere diventa allora un atto di presenza, un gesto che radica nel momento. Una piccola ribellione al caos.
Oriente e Occidente: due modi di scrivere, due modi di sentire
Nel mondo occidentale, la calligrafia è spesso una questione estetica: creare lettere belle e armoniose. Ma in Asia è tutta un’altra storia. Qui, l’inchiostro non serve solo a scrivere, ma a rivelare. Ogni tratto svela qualcosa dell’anima di chi lo ha tracciato. Regalare un’opera calligrafica, in Corea, non è un semplice dono: è un’offerta del proprio cuore.
E non è solo tecnica: è anche una forma di meditazione. Come nel buddhismo, scrivere è lasciare andare. È svuotarsi di tutto ciò che pesa. È dare forma, con pochi tratti, a emozioni profonde, a desideri nascosti, a sogni che fanno fatica a diventare parole.
La storia che vive tra le linee
Dall’antico regno dei Tre Regni (57 a.C.–668 d.C.) alla dinastia Joseon, la calligrafia coreana ha attraversato secoli, dinastie, guerre e rinascite. All’inizio, erano i caratteri cinesi (Hanja) a dominare, poi arrivò l’Hangeul, e con lui uno stile nuovo, più accessibile, ma non meno profondo.
Figure come Kim Saing nell’VIII secolo o Kim Chong Hui, detto Ch’usa, nel XIX secolo, hanno lasciato un’impronta indelebile. Ch’usa, in particolare, creò uno stile personale fatto di linee ondeggianti, tratti vivi, spessori irregolari. Le sue lettere sembrano danzare sulla carta, leggere ma piene di forza. È come se ogni segno raccontasse un frammento di vita.
L’arte che resiste: Seoye oggi
Durante l’occupazione giapponese (1910–1945), la calligrafia coreana fu influenzata da nuovi stili, ma anche profondamente ferita. Eppure non si è mai spenta. Dopo la guerra, l’Hangeul ha preso il sopravvento, trasformando per sempre il volto della calligrafia coreana.
Oggi si parla di calligrafia moderna, ma l’anima è la stessa. Artisti come Ahn Sangsoo hanno cercato di avvicinare le nuove generazioni a quest’arte, creando font che sono vere e proprie opere d’arte. Anche se molti temono che le tradizioni si stiano perdendo, c’è ancora chi scrive per amore, per memoria, per bellezza.
Gli strumenti: i “quattro amici” della calligrafia
Per entrare nel mondo della calligrafia coreana, servono quattro compagni fedeli, chiamati Munbangsawoo (문방사우):
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Il pennello, sottile e appuntito, fatto di peli d’animale.
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La carta Hanji (한지), tradizionale, fatta con fibre di gelso, capace di assorbire l’inchiostro e restituirne la magia.
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Il bastoncino d’inchiostro, creato con fuliggine e colla naturale.
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La pietra per inchiostro, dove il bastoncino si sfrega con l’acqua per ottenere il liquido nero, denso, perfetto.
Ma non è solo una questione di tecnica. Questi strumenti sono estensioni dell’anima. Chi pratica davvero la calligrafia, li conosce, li ama, li rispetta.
Oltre le lettere: emozione, connessione, identità
La calligrafia non è solo scrivere. È raccontarsi. Come dice l’artista giapponese Kaoru Akagawa:
“La calligrafia è un’arte in cui inchiostro e pennello trasmettono l’anima delle parole sulla carta.”
In Corea, ogni tratto porta con sé una storia. Ogni spazio bianco è un silenzio carico di significato. È un’arte che va letta col cuore, non solo con gli occhi. Che chiede lentezza, rispetto, ascolto.
E forse, in un mondo che corre, è proprio per questo che ci affascina tanto.
Se sei arrivata fin qui, forse è perché anche tu senti quel richiamo. Quella voglia di immergerti in un’arte antica che profuma di silenzio e di tempo. E allora, non resta che prendere un pennello, respirare profondamente… e iniziare.
Magari sbaglierai qualche tratto. Magari l’inchiostro correrà dove non dovrebbe. Ma, in fondo, non è proprio questa l’essenza dell’arte? Cercare sé stessi dentro ogni imperfezione.
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