21 luglio 2025

Il cuore della cucina coreana: storia, magia e futuro del jang

Ci sono storie che si tramandano di madre in figlia, sapori che racchiudono secoli di memoria e gesti che resistono al tempo. Il jang (장), il condimento fermentato a base di soia che accompagna da sempre la cucina coreana, non è solo un ingrediente. È una vera e propria eredità culturale. Un racconto vivo, fatto di pazienza, di mani che impastano, di attese lunghe quanto le stagioni. Ed è proprio questa storia che voglio condividere con voi oggi.

Il 3 dicembre 2024, la tradizione del jang è stata ufficialmente riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. È la ventitreesima voce della Corea del Sud a entrare in questa lista prestigiosa, e per me – che amo profondamente tutto ciò che racconta la cultura coreana – è come se fosse stato premiato un pezzo di anima.

Ma cos’è davvero il jang?

Un mondo di sapori: doenjang, ganjang e gochujang

Dietro questa parolina si nasconde un universo. Il jang si presenta in tre forme principali:

  • Doenjang (된장) – una pasta di soia dal gusto profondo e terroso,

  • Ganjang (간장) – la salsa di soia, quella vera, dal sapore pieno e autentico,

  • Gochujang (고추장) – una pasta rossa e piccante che dà vita a mille piatti iconici.

Tre condimenti, tre personalità, ma un’unica radice: il rispetto per la terra e per i suoi ritmi.

Un rituale antico come la storia

La tradizione del jang affonda le sue radici nel periodo dei Tre Regni, tra il 57 a.C. e il 668 d.C. Già allora, fermentare la soia era un gesto carico di significato. Ma è durante la dinastia Joseon (1392-1910) che il jang diventa una vera istituzione. Pensate che esistevano magazzini reali appositi per custodirlo, gestiti da donne di corte, e gli ufficiali responsabili della sua produzione avevano un rango più alto di quelli della cucina del re. Incredibile, vero? Eppure, racconta perfettamente quanto questo alimento fosse considerato prezioso.

Fare jang: più di una ricetta, un atto d’amore

La magia del jang inizia dopo il raccolto autunnale. Le meju (메주), blocchi di soia bollita e modellata a mano, vengono appesi con fili di paglia per asciugarsi lentamente. Poi vengono puliti e sistemati in grandi giare di terracotta con acqua salata. E lì… si aspetta. Si aspetta che la natura faccia il suo corso. Mesi di fermentazione creano, dallo stesso meju, sia il doenjang che il ganjang: uno solido, l’altro liquido. Se invece il meju viene mescolato con peperoncino in polvere, riso, malto d’orzo e sale, si trasforma in gochujang.

Ogni ingrediente ha il suo posto, ogni passaggio il suo tempo. Non si può correre, non si può forzare. Il jang è un maestro di lentezza.

Un sapere che parla di famiglia, di donne, di comunità

In Corea, ogni famiglia ha la sua ricetta segreta. Un sapore che non si trova nei negozi, ma solo tra le mura di casa. Fare jang è un’eredità che le madri trasmettono alle figlie, un sapere che si custodisce con cura, un legame che tiene unite le generazioni. È anche un gesto collettivo, fatto insieme, che crea connessioni. È identità, è radice, è casa.

E non è solo cultura. È anche salute e sostenibilità. Il jang tradizionale è privo di additivi chimici, ricco di fermenti buoni e amminoacidi che si sposano perfettamente con una dieta a base di riso. È un esempio perfetto di come la saggezza antica sappia essere incredibilmente attuale.

Una sfida moderna: tra nostalgia e speranza

Eppure, oggi il jang rischia di diventare un ricordo. La vita in città, i ritmi frenetici, gli spazi ridotti: tutto spinge verso i prodotti industriali, comodi ma spesso privi di quella profondità di gusto e di significato che solo il jang fatto in casa possiede.

Ed è qui che entra in gioco il riconoscimento UNESCO. Perché forse, grazie a questa nuova visibilità, le persone inizieranno a riscoprirlo, a volerlo ricreare, a tramandarlo ancora. Perché non basta sapere che una tradizione esiste. Bisogna continuare a viverla.

il sapore della memoria

Ogni cucchiaio di jang racconta una storia. Non solo di chi l’ha preparato, ma di un popolo intero. Di mani che impastano, di stanze piene di vapore, di giare che riposano nel sole invernale. Di madri e figlie. Di case lontane ma vicinissime nel cuore.

E allora, la prossima volta che vi capiterà di assaggiare un piatto coreano condito con uno di questi preziosi fermenti, fermatevi un attimo. Chiudete gli occhi. E immaginate quella storia. Perché il jang non è solo un condimento. È un piccolo miracolo quotidiano.

Fonte: https://koreancultureblog.com/2024/11/14/jang-making-a-taste-of-korean-culinary-heritage/

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