C’è una scena che si ripete così spesso nei K-Drama da diventare quasi un cliché: personaggi seduti al tavolo, bottiglie verdi ovunque, bicchieri che si riempiono e si svuotano, e qualcuno che finisce inevitabilmente per barcollare sotto la pioggia o dichiarare amore eterno a cuore ubriaco. Eppure, dietro a queste immagini c’è molto più che un espediente narrativo: c’è una cultura, un’abitudine radicata e condivisa, che in Corea del Sud si chiama semplicemente “bere”.
Quando si viaggia in Corea, è impossibile non notarlo: le bottigliette verdi di soju campeggiano in ogni convenience store e si moltiplicano sui tavoli dei ristoranti. L’alcol, in Corea, è molto più di una bevanda: è un linguaggio sociale, un ponte tra generazioni, una valvola di sfogo. E secondo i dati, lo beve quasi tutta la popolazione: nel 2010, ben il 93,8% degli uomini e l'83,8% delle donne dichiaravano di consumarlo regolarmente. Praticamente... tutti.
L’alcol come collante sociale
In Corea, bere non è mai solo un atto individuale. È un’esperienza collettiva, quasi un rituale. Secondo un sondaggio del 2013, il 71,8% delle persone intervistate considerava il bere una componente fondamentale della vita sociale. E lo si capisce: si beve per rompere il ghiaccio, per fare amicizia, per chiudere un affare, per festeggiare, per sfogarsi. Si beve con i compagni di scuola, con i colleghi di lavoro, con gli amici, con la famiglia.
E non è una cosa nuova. La tradizione del bere affonda le sue radici nella storia antica: già nel III secolo a.C., i riti religiosi erano seguiti da giornate di canti, balli e bicchieri. Bere serviva a onorare gli dei, a benedire le unioni matrimoniali e a rendere più allegre le festività stagionali. Una tradizione sacra e profana insieme, che resiste ancora oggi.
Dai banchi di scuola al mondo del lavoro: bere come rito di passaggio
C’è chi dice che in Corea si inizia a bere già dalle superiori. Una credenza popolare suggerisce che, per avere fortuna all’esame universitario, bisognerebbe bere alcolici 100 giorni prima. Una sorta di anti-malocchio liquido, insomma.
Poi si entra all’università, e lì inizia il vero training: gli MT (Membership Training), le serate di benvenuto, i raduni studenteschi. Tutto ruota intorno al soju, al “one shot”, ai brindisi ripetuti.
Ma è nel mondo del lavoro che il bere diventa quasi una seconda professione. Le cene aziendali (hoesik) sono spesso obbligatorie, e il rituale è sempre lo stesso: si passa il bicchiere a turno, si versa per gli altri (mai per sé stessi!), si beve in segno di rispetto e cameratismo. Il bicchiere fa il giro del tavolo, e la serata si snoda in più “round”: ristorante, bar, karaoke, street food notturno. Fino a non ricordare più come si è tornati a casa.
Ma qualcosa sta cambiando
Negli ultimi anni, però, si nota un’inversione di tendenza. Il famoso binge drinking sta diminuendo, complice la maggiore attenzione alla salute e le campagne di sensibilizzazione del governo. I giovani bevono meno, preferiscono prodotti a basso contenuto alcolico, e passano da quattro tappe a sera a una o due. Il soju resta, ma in forma più moderata. Forse.
Le bevande alcoliche coreane più iconiche
🍶 Soju (소주): il re indiscusso
Chiunque abbia visto almeno un drama coreano sa di cosa stiamo parlando: bottigliette verdi da 360 ml, liquido trasparente, piccoli bicchieri da 50 ml. Il soju è il distillato coreano per eccellenza, ottenuto da riso o patate dolci, con un contenuto alcolico che va dal 16 al 25%.
Importato nel XIII secolo dai mongoli, è diventato parte della quotidianità coreana. Economico (circa 2.000 won a bottiglia), accessibile e incredibilmente popolare: nel 2012 il consumo medio pro capite era di 31 litri l’anno, ovvero 88 bottiglie a testa!
Tra i marchi più noti, Jinro Soju domina la scena. Ma più del brand, a contare è il gesto: quel piccolo bicchiere condiviso, che passa di mano in mano come pegno di fiducia e vicinanza.
E poi ci sono i mix. La bevanda più esplosiva? Il poktanju (폭탄주), la “bomb drink”: soju e birra insieme. Alcuni fanno il domino shot, allineando i bicchierini sopra le birre e facendo cadere il primo, innescando una reazione a catena. Più che un brindisi, uno spettacolo.
🥣 Makgeolli (막걸리): il ritorno della tradizione
Più rustico, più sano, più antico: il makgeolli è un vino di riso fermentato, di colore bianco latte, con una gradazione alcolica tra il 5% e il 7%. Si beve in ciotole, come una zuppa alcolica, e contiene vitamine, amminoacidi, fibre e fermenti lattici.
Un tempo bevanda degli agricoltori, era apprezzato per “dare energia” durante il lavoro nei campi. È stato il drink numero uno fino agli anni ’70, poi è stato sorpassato dal soju. Oggi però è tornato di moda, soprattutto tra i giovani attenti al benessere e amanti dello stile rétro.
Anju (안주): mai bere a stomaco vuoto
In Corea non si beve mai senza accompagnamento. L’anju è tutto ciò che si mangia mentre si beve: carne alla griglia, zuppe piccanti, jokbal (zampe di maiale), pajeon (frittelle verdi), bindaetteok, pollo fritto, frutta, tempura… ogni abbinamento è studiato. Il cibo non è solo contorno: è parte integrante dell’esperienza.
Haejangguk (해장국): la zuppa che ti rimette in piedi
Hai bevuto troppo la sera prima? Niente paura: in Corea c’è il haejangguk, la “zuppa per curare la sbornia”. Può essere fatta con germogli di soia (kongnamul haejangguk) oppure con ossa e carne di manzo o maiale. Ricca di ferro, vitamine e nutrienti, serve a rimettersi in sesto. E sì, esistono ristoranti che la servono apposta per i postumi. Praticamente, la sbornia è talmente comune da avere il suo menu dedicato.
Bere in Corea: tra regole e rituali
Non basta bere. Bisogna sapere come si beve, altrimenti si rischia di fare figuracce:
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Mai versarsi da soli. Qualcuno deve farlo per te.
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Mai versare in un bicchiere mezzo pieno. Si considera scortese.
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Mai lasciare il bicchiere vuoto. Chi versa, versa a tutti e riceve a sua volta.
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"One shot!" o "Bottoms up!": si beve tutti insieme, in segno di unione.
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Due mani per servire o ricevere, soprattutto se c’è una persona più anziana.
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Girarsi di lato per bere davanti a un superiore, come segno di rispetto.
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Dire “non bevo” non basta: meglio una scusa più solida, tipo religione, gravidanza, guida o allergia. E se proprio non vuoi bere... fai finta, ma non dirlo ad alta voce.
Bere in Corea: più che un’abitudine
La cultura del bere in Corea è un mondo complesso, fatto di storia, simboli, codici di comportamento e legami profondi. Non è solo alcol: è relazione, rito, identità. È un bicchiere che dice “siamo amici”, “siamo colleghi”, “posso fidarmi di te”.
E se ti capita di essere invitato a bere con dei coreani… adesso sai come reggere il bicchiere. E soprattutto, come reggere il colpo.
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