Ci sono cibi che riempiono lo stomaco. E poi ci sono cibi che, con un solo morso, ti riportano indietro nel tempo. In Corea, il tteokbokki non è solo un piatto: è un pezzo di vita. Un profumo che ti accompagna nel cammino da scuola, un gusto che ti consola nei pomeriggi stanchi, una tradizione che sopravvive nei gesti silenziosi di chi continua a prepararlo ogni giorno, con le mani stanche ma il cuore pieno.
Una madre, un figlio, una bancarella
Tutto comincia in un mercato di Galhyeon-dong, nel cuore pulsante di Seoul. Non c’è nemmeno un’insegna. Solo una donna, una padella bollente e il desiderio di dare da mangiare ai tanti studenti affamati delle scuole lì intorno. È il 1980. Lei è la suocera di Kim Jin-sook. Una donna qualunque, invisibile forse, ma con la forza di chi sorregge da sola una famiglia numerosa, vendendo tteokbokki in pausa pranzo. Le ragazze delle superiori, finite le lezioni, corrono lì. E tornano anche da adulte, come se quel sapore fosse un porto sicuro. Uno di quelli che non smettono mai di aspettarti.
Kim Jin-sook arriva in questa storia anni dopo, quasi per caso. Il marito, uno dei figli della donna, un giorno le chiede: “Vuoi venire con me?”. È estate, il loro bambino è in vacanza. Lei dice di sì. E da quel giorno, senza neanche accorgersene, il banco diventa la sua vita.
Una ricetta semplice, un’eredità preziosa
Nel 2015, il mercato viene demolito. Ma la memoria no. Così aprono un piccolo negozio nello stesso posto. Lo chiamano “Il Tteokbokki della Nonna del Mercato Galhyeon”. E sebbene la suocera non abbia mai amato essere chiamata “nonna”, quel nome diventa simbolo. Di affetto, di riconoscenza, di radici.
Il menù? Sempre lo stesso: tteokbokki, sundae, mandu, uova sode e rotolini di alghe. Ma il segreto, quello vero, è nella salsa. Una miscela di circa dieci ingredienti. Peperoncino, pasta di peperoncino, sciroppo di amido e altro ancora, dosati con una precisione che non sta scritta da nessuna parte. Sta negli occhi, nel cuore e nei ricordi. È una “ricetta segreta” che non si insegna: si vive.
Ogni mattina il marito di Kim arriva alle 7 per preparare tutto. Lei lo raggiunge un’ora dopo. Non hanno ruoli precisi: fanno tutto insieme. Bollono 324 pezzetti di tteok al giorno, uno per uno, con pazienza. Aprono alle 9, chiudono alle 20. E dopo aver pulito, tornano a casa alle 22. Una routine senza orpelli, senza pausa, ma piena di vita. Di quella vera, fatta di mani consumate e occhi stanchi che brillano.
Dietro ogni piatto, una promessa silenziosa
Il negozio non è grande: 33 metri quadri. Non ci sono più tavoli, da quando il COVID ha cambiato il mondo. In un angolo, un fornello a induzione e un piccolo cuociriso. È lì che cucinano anche per loro, tra un cliente e l’altro.
Kim Jin-sook si concede un giorno libero a settimana, il lunedì. Ma da quando ha aperto, ha saltato il lavoro solo tre volte: dopo un intervento, il giorno in cui il figlio è partito per il servizio militare e il giorno in cui è tornato. Per il resto, c’è sempre. Anche quando fa male ai polsi, anche quando è stanca. Perché “i clienti vengono anche da lontano, non solo dal quartiere, e non voglio che arrivino qui per niente”. Una promessa silenziosa che sente di avere con chi entra, ordina e aspetta quel gusto che non cambia mai.
La gentilezza, il dolore, e la lezione della strada
Non tutti i clienti sono gentili. Alcuni le hanno lanciato sacchetti, altri piatti. Qualcuno ha urlato per mezz’ora per un uovo mancante. Dopo uno di questi episodi, hanno deciso che avrebbero accettato tutto. Ma poi ci sono quelli che portano bibite fresche nelle giornate di calore, o verdure dall’orto. E poi ci sono gli ex studenti, oggi genitori, che tornano con i loro figli. “Non vengono per il tteokbokki”, dice Kim. “Vengono per i ricordi”.
E ha ragione. Perché quel piatto rosso e bollente non è solo cibo. È l’infanzia, è la mamma, è una pausa dopo la scuola. È il sapore di una Corea che cambia, ma non dimentica.
La fine di un ciclo, e il valore di ogni giorno
Mr. Kim dice che tra dieci anni chiuderanno. E anche se è triste, non vuole obbligare i figli a prendere in mano una vita così dura. “Forse, se dopo aver provato altro, vorranno tornare, allora ci penseremo”. Ma per ora, vivono ogni giorno come se fosse il primo. O forse l’ultimo.
Perché preparare il tteokbokki è un’arte. Ma servire ricordi è un dono. E il loro negozio, piccolo e nascosto, è un angolo dove la memoria si fa sapore, e l’amore si fa salsa piccante.
Fonte: https://mymileshinesmile.blogspot.com/2024/01/tteokbokki-nostalgic-dish-for-koreans.html
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