29 maggio 2025

Cose che odio (e amo) nei K-Drama: confessioni da spettatrice affezionata


Chi guarda drama da tanto tempo lo sa: l’amore per questo mondo è fatto di sospiri, di urla disperate davanti allo schermo, di momenti che ti spaccano il cuore e di altri che ti fanno pensare “ok, adesso basta, mollo tutto e divento sceneggiatrice io!”. Perché ci sono cose che non sopporto più, e altre che mi fanno ancora brillare gli occhi. Quindi eccole qui. Le cose che odio, che mi mandano ai pazzi, che mi fanno dire “di nuovo?”, e quelle che amo con tutto il cuore. Spoiler: se ti ritrovi in almeno tre punti… sei dei nostri.

ODIO QUANDO...


1. Il corpo della protagonista femminile viene umiliato

Questa è una delle cose che mi fa davvero salire la rabbia.
Perché mai si dovrebbe insegnare a una ragazza che deve cambiare per essere amata? Perché mostrarci donne che si sottopongono a chirurgia plastica o si trasformano completamente per attirare lo sguardo di qualcuno?

Il peggio è che il “lui” di turno si accorge di lei solo dopo la trasformazione, come se prima non valesse abbastanza.
Birth of a Beauty, Queen of the Ring, Dream High… potrei continuare.

Sì, lo so: in Corea gli standard estetici sono spietati. Ma anche noi spettatrici abbiamo bisogno di vederci rappresentate con dignità, forza e autenticità. Non vogliamo più messaggi che fanno sentire sbagliato il nostro corpo.

Ricordalo: gli specchi raccontano solo metà della storia.


2. La Second Lead Syndrome mi distrugge l’anima

Ogni fan esperto lo sa: la Second Lead Syndrome non perdona.
Arriva quando il secondo protagonista è più gentile, più empatico, più presente del protagonista “ufficiale”. È quello che resta, che consola, che capisce. È quello che ameremmo nella vita vera.

Eppure... finisce per essere rifiutato. Sempre.
Ed eccoci lì, a piangere per lui, a gridare davanti allo schermo:

"MA SCEGLI LUI! O ALMENO... DATEMELO A ME!"

Drama come Kill Me, Heal Me peggiorano la situazione perché ti regalano più di un personaggio che meriterebbe amore. E invece… nisba. E il nostro cuore si spezza. Sempre.


3. I protagonisti adulti si comportano come bambini capricciosi

C’è una bella differenza tra essere giocosi e risultare infantili.
E certi personaggi che dovrebbero essere adulti – parliamo di gente con un lavoro, una vita, magari anche dei figli – sembrano usciti da un cartone animato rumoroso.

Gridolini, reazioni esagerate, scatti d’ira immotivati, risatine fuori luogo… capisco che si voglia creare un tono leggero, ma così si finisce per rendere i personaggi irritanti e poco credibili.

Hwang Jung Eum è stata spesso criticata per questo tipo di interpretazioni, e purtroppo a volte ha davvero compromesso l’intero drama.
Essere simpatici ≠ fare i buffoni.


4. Quando non riescono a scegliere tra due amori (e ci trascinano con loro)

Hai due pretendenti. Non riesci a decidere.
Passano settimane, mesi, sedici episodi, e sei ancora lì a fare il gioco del “chi mi piace di più oggi?”. No, grazie.

È frustrante e a tratti persino ingiusto.
Perché alla fine c’è sempre un cuore spezzato e uno spettatore esausto.
E spesso, mentre i protagonisti si dibattono, gli sceneggiatori cavalcano il triangolo amoroso come se fosse un modo per allungare il brodo.

Drama come Just You, Devil Beside You, Doctor Stranger, Siege in Fog… li ho visti, li ho sofferti, e ancora mi domando:

“Non potevi scegliere prima? Magari senza farci odiare tutti?”


5. Quando uno dei due lascia l’altro “per amore”

Questa è la cosa che mi fa più arrabbiare in assoluto.
Il classico cliché del:

“Lo/la lascio perché non sono abbastanza.”
“Lo/la lascio per proteggerlo/a.”

No.
Il vero amore non scappa. Non si arrende. Non prende decisioni unilaterali in nome dell’altro.

Voglio coppie che lottano insieme, non che si arrendono da sole.
Voglio storie come quella di Siege in Fog, dove anche quando il mondo crolla, i sentimenti non vacillano.

E quando, dopo anni di separazione forzata, tornano insieme con un “Mi sei mancato”, io non piango. Mi arrabbio. Perché non dovevano separarsi affatto.

...MA AMO QUANDO:


1. Un personaggio viene spiegato, non solo mostrato

Non c’è niente di più potente di un buon villain con una buona storia.
Perché sì, nessuno nasce cattivo. E quando il drama ci mostra le ferite, il passato, le scelte dolorose dietro alla maschera, tutto cambia.

Comincio a capirli. A perdonarli. A volte, anche ad amarli.

Amo quando il male ha una motivazione profonda. Quando ti lascia un dubbio: “E se fossi stato io al suo posto? Avrei fatto di meglio?”.
Sono queste le storie che restano.


2. Le scene d’azione sembrano vere

Combattere non è solo dare pugni. È credere in ciò che stai facendo.
E quando una scena d’azione è ben girata, ben coreografata e soprattutto credibile, allora il drama acquista una forza completamente diversa.

Iljimae resta una delle mie serie preferite proprio per questo.
Ogni colpo sembrava reale. Ogni ferita era visibile. Ogni movimento aveva un peso.

Odio, invece, le scene in cui il protagonista sconfigge dieci uomini armati con una mano in tasca e l’altro sul ciuffo.
La spettacolarità non deve togliere verità. A meno che non sia un fantasy, ovvio.


3. Un drama ti cambia la prospettiva

Ci sono storie che non guardi solo per passare il tempo. Le guardi perché ti parlano. Ti svegliano. Ti spingono a riflettere.

Cruel City è stato così per me.
Uno di quei pochi drama che non addolciscono la realtà, ma te la mostrano per quella che è: sporca, difficile, a volte crudele.

Non era solo una serie. Era una lezione.
E anche ora, a distanza di tempo, alcune sue frasi mi risuonano dentro come promemoria.

La vita non è tutta amore e OST dolci. Ma proprio per questo, va vissuta con forza.


amiamo i K-Drama, nonostante tutto

Guardare drama è un viaggio.
Fatto di cose che ci fanno arrabbiare e altre che ci fanno piangere di gioia. Ma in fondo è proprio questo il bello: esserci dentro, con tutto il cuore.

E anche se a volte diciamo “basta, non ne guardo più”, sappiamo tutti che…
al prossimo “Oppa…” ci ricascheremo di nuovo.

Perché il drama perfetto non esiste. Ma esistono momenti perfetti.
Ed è per loro che restiamo.

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