5 giugno 2025

La cultura del caffè in Corea


Può sembrare un’esagerazione, ma in Corea del Sud il caffè è molto più di una semplice bevanda: è un rifugio, un rituale quotidiano, un momento per respirare. E sebbene il concetto di “cultura del caffè” esista un po’ ovunque, in Corea ha assunto un’identità tutta sua, in continua evoluzione, fatta di creatività, intimità e – perché no – anche un pizzico di follia.

Secondo i dati ufficiali, Seoul – città che non dorme mai e continua a reinventarsi – ospita oltre 17.000 caffè per circa dieci milioni di abitanti. Tradotto: almeno 17 caffè ogni 10.000 persone. Un numero che racconta già da solo quanto siano radicati questi luoghi nella vita quotidiana coreana.

Ma com’è nato tutto questo? Come spesso accade, da una rivoluzione silenziosa iniziata dai più giovani.

Prima degli anni ’70, i caffè – all’epoca chiamati dabang (다방) – erano luoghi riservati a politici e uomini d’affari. Ci si riuniva, si discuteva, si stringevano alleanze. Un mondo riservato, rigido, distante.

(📌 Curiosità: i caffè potevano anche chiamarsi da-shil (다실) o chat-jib (찻집), entrambi termini che rimandano alle tradizionali case da tè.)

Poi qualcosa è cambiato. Con il tempo, quei locali iniziarono a popolarsi di volti nuovi: studenti universitari, giovani coppie, anime in cerca di uno spazio tutto loro. I dabang si trasformarono in rifugi urbani dove ascoltare musica dal vivo, sfuggire allo stress e, soprattutto, esprimersi liberamente.

Negli anni ’80 e ’90, però, arrivò una nuova sfida: i distributori automatici. Economici, ovunque, comodi. I dabang iniziarono a svuotarsi, schiacciati da una concorrenza silenziosa e impersonale.

Eppure, non scomparvero. Si reinventarono. Nacquero i primi caffè a tema, capaci di offrire molto più di una tazza calda: esperienze. Atmosfere. Emozioni. Oggi, passeggiando per le strade di Seoul, è facile imbattersi in caffè dedicati ai massaggi, alla cura della pelle, ai K-idol, ai Lego, ai K-drama, agli animali (gatti, pecore, procioni… perfino meerkat!). Ogni caffè è un piccolo mondo a sé, pronto ad accoglierti come sei.

Dagli anni ’90 in poi, la Corea ha anche iniziato a prendere sul serio la qualità del caffè. Si è passati dai semplici instant coffee ai metodi più sofisticati: espresso, drip, miscele importate da America Latina, India, Africa. I baristi si sono trasformati in veri e propri artisti, capaci di servirti la felicità in una tazza.

Il risultato? Una cultura del caffè che oggi non è solo fiorente, ma fondamentale: per l’economia, per il turismo, e per la quotidianità dei coreani. Si stima che ogni adulto consumi in media 1 tazza e mezza al giorno. Tradotto: circa 42 tazze al mese, 512 all’anno. E sì, c’è da crederci.

Perché come accadeva nei dabang degli anni ’70, anche oggi i caffè coreani sono piccoli santuari urbani, disseminati tra grattacieli e vicoli nascosti. Spazi dove studenti, impiegati, amici, coppie e viaggiatori si rifugiano per qualche attimo di pace. Dove lavoro e vita privata si sfiorano, si intrecciano, si confondono.

E per tanti giovani coreani, una semplice tazza di caffè è proprio questo: un piccolo frammento di felicità incastonato nella routine. Una pausa che ricarica il cuore.

Oggi, mentre caffè indipendenti continuano a sbocciare ovunque – da un angolo nascosto di Daejeon a una casa modesta di Busan, fino ai quartieri scintillanti di Seoul – la cultura del caffè continua a evolversi. Continua a raccontare storie. Continua a offrire calore.

Perché in fondo, in Corea, il caffè non è solo un drink.

È un gesto.
Un abbraccio.
Un luogo dell’anima.
È la felicità in una tazza.

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