In Corea, il cibo non è solo nutrimento. È storia, identità, affetto. È un modo di prendersi cura, di celebrare, di ricordare. Ogni piatto racconta qualcosa: del passato di un popolo, della sua terra, delle sue credenze, delle sue relazioni. È un linguaggio silenzioso, ma potente, che unisce le persone, anche quando non parlano la stessa lingua.
Mangiare con un coreano è uno dei modi più veloci per entrare nel suo mondo. Condividere un pasto, passarsi i piatti, bere dallo stesso bicchiere, accettare un’offerta con entrambe le mani: tutto questo va oltre la semplice alimentazione. È rispetto. È fiducia. È “정” (jeong), quel sentimento profondo e caloroso che solo chi ha vissuto la Corea riesce davvero a comprendere.
Radici profonde: la cultura alimentare coreana
Il cuore pulsante della cucina coreana nasce da un insieme armonioso di elementi: la geografia del Paese, la sua storia millenaria e le religioni che lo hanno attraversato.
Essendo una penisola circondata per tre lati dal mare, non stupisce che il pesce e i frutti di mare siano così presenti nei piatti coreani. “해물” (haemul), come viene chiamato il seafood, è protagonista in mille varianti: crudo, bollito, stufato, fritto. Ma anche le montagne giocano un ruolo importante: le erbe selvatiche e le verdure spontanee, chiamate “산나물” (sannamul), sono parte integrante di tante ricette.
Confucianesimo e buddhismo, poi, hanno inciso sulla tavola tanto quanto sulla mentalità. Il primo ha portato un rigoroso senso del rispetto, evidente anche nel modo di mangiare: il più anziano mangia per primo, e ci si serve con discrezione e cortesia. Il secondo ha diffuso una visione alimentare più spirituale e semplice, come accade nei piatti vegani dei templi (“사찰음식”, sachal eumsik), dove tutto è essenziale, curato, consapevole.
I fondamenti della cucina coreana
Se si volesse rappresentare la cucina coreana con tre parole, sarebbero: riso, banchan e fermentazione.
Il riso (“밥”, bap) non è solo un contorno: è il fulcro del pasto, tanto che in coreano la stessa parola significa anche “pasto”. Ma non parliamo solo di riso bianco. Esistono varianti più elaborate come il “bibimbap”, con verdure e carne, o il “bokkeumbap”, riso saltato in padella. Durante il Capodanno lunare, il “tteokguk” (zuppa di torta di riso) assume un significato simbolico: mangiarlo fa “invecchiare” di un anno.
Accanto al riso, c'è un'esplosione di piccoli piatti: i “banchan” (반찬). Sono il cuore conviviale del pasto coreano: kimchi piccante, japchae di noodles di patate dolci, zucca brasata, alghe, radici, germogli. Ogni banchan ha un ruolo: contrastare, accompagnare, pulire il palato. È un’armonia di sapori e colori che rende ogni pasto completo.
E poi c’è la fermentazione. In Corea non è solo una tecnica, è una filosofia. Il kimchi (김치), con la sua intensità acidula e speziata, è il re incontrastato. Ma anche il “doenjang” (pasta di soia fermentata) e il “gochujang” (pasta di peperoncino fermentato) sono pilastri insostituibili. Questi “jang” (장) danno profondità e carattere a qualsiasi piatto.
I pasti tradizionali: equilibrio e ritualità
Una tavola coreana ben apparecchiata non è mai casuale. Il “bapsang” (밥상) – letteralmente “tavola del riso” – è composto da riso, zuppa e una selezione di banchan disposti con attenzione, spesso seguendo il principio dei cinque colori (rosso, verde, giallo, bianco, nero) che rappresentano i cinque elementi cosmici.
Durante le festività, il cibo assume un valore ancora più sacro. A Seollal, il Capodanno Lunare, si mangia tteokguk tutti insieme, tra risate e auguri. A Chuseok, il Ringraziamento coreano, si preparano i “songpyeon”, tortini di riso ripieni. Ma c’è anche il “jesa” (제사), il rito ancestrale: una tavola viene imbandita con i piatti preferiti dagli antenati, per onorarli e sentirli ancora presenti.
Condivisione, rispetto e calore umano
Mangiare in Corea è un atto collettivo. Il centro della tavola è occupato da pentole fumanti o piatti abbondanti, da cui tutti si servono. Il pasto è un’occasione per stare insieme, parlare, ridere. I più giovani aspettano che gli anziani inizino a mangiare, e servire gli altri con due mani è gesto di rispetto.
Anche bere insieme ha un valore sociale. Il “soju” (소주), il liquore coreano per eccellenza, accompagna cene, confessioni e legami. Offrire da bere, riceverlo con entrambe le mani, voltarsi mentre si beve davanti a un superiore: ogni gesto racconta qualcosa.
Cibo moderno, street food e tendenze globali
Ma la Corea non è solo tradizione. Camminando per le strade di Seoul o Busan, è impossibile non fermarsi davanti a un carretto fumante. Tteokbokki piccante, twigim croccante, hotteok dolcissimi. Lo street food coreano è gioia pura, economica, veloce, irresistibile.
Negli ultimi anni, la cultura pop coreana (Hallyu) ha trasformato il cibo in un fenomeno globale. Il Korean BBQ ha conquistato i ristoranti di mezzo mondo, il “chimaek” (pollo fritto e birra) è diventato famoso grazie a drama e idol, e i piatti fusion – come bulgogi tacos o ramen burger – mostrano come la cucina coreana sappia evolversi senza perdere la propria anima.
Parole da imparare, sapori da ricordare
In tutto questo, anche la lingua gioca la sua parte. Dire “식당” (ristorante), “국수” (noodles), o “간식” (snack) ti fa sentire più vicino a chi ti sta servendo. E quando capisci che “밥 먹었어요?” (hai mangiato?) non è solo una domanda, ma un modo affettuoso per chiederti come stai, allora inizi a capire davvero la Corea.
Mangiare coreano non è solo questione di gusto. È un invito. A sedersi, a condividere, a conoscere. È un modo per sentirsi a casa, anche dall’altra parte del mondo.
E quando ti abitui a quei sapori nuovi, a quel riso più denso, al kimchi pungente o al caldo abbraccio di una zuppa fumante... allora non hai solo assaggiato un piatto. Hai abbracciato una cultura.
Fonte:
- https://mymileshinesmile.blogspot.com/2024/01/how-to-eat-like-korean-most-popular-food.html
- https://ling-app.com/ko/food-culture-of-korean-people/
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