16 dicembre 2025

Dol e Doljabi: il primo compleanno coreano tra sopravvivenza, speranza e futuro


In Corea, nel 1920, i documenti raccontano che circa il 10% di tutti i bambini nati moriva entro il primo anno di vita. Uno su dieci. E questo è solo ciò che è stato registrato. Ancora più indietro, nel periodo Joseon, persino chi aveva accesso alle cure migliori non era al sicuro. Il re Yeongjo (regno: 1724–1776) ebbe 14 figli: cinque morirono prima di compiere quattro anni, un altro a 18. Se questa era la realtà nella corte, non serve molta fantasia per immaginare che cosa potesse significare per le famiglie comuni perdere un bambino per una febbre, una malattia, un’infezione che oggi considereremmo banale.

In questo contesto, l’idea che il primo compleanno fosse una barriera invisibile ma decisiva acquista un peso completamente diverso. Superare il primo anno di vita voleva dire, per un neonato, aver attraversato il tratto più fragile e pericoloso del proprio cammino. È un pensiero terribile da formulare, ma probabilmente, per secoli, è stato vissuto come una sorta di norma. E proprio per questo, nella cultura coreana, il primo compleanno è diventato il compleanno per eccellenza: non il sedicesimo, non il diciottesimo, non il ventunesimo… ma quel traguardo minuscolo e gigantesco allo stesso tempo, in cui un bambino si affaccia davvero alla vita.

Da qui nasce il dol (돌), il primo compleanno coreano, e il doljanchi (돌잔치), la grande festa che lo accompagna. Una festa importante, solenne, rumorosa e piena di significati, che affonda le radici in un tempo in cui sopravvivere al primo anno era un vero miracolo. Gli invitati, parenti, amici, conoscenti,  venivano accolti a un grande banchetto, un jahn-chi (잔치), e il bambino, per la prima volta, diventava ufficialmente protagonista riconosciuto della comunità.

Tra le tradizioni più dolci, c’era (e c’è ancora) quella degli anellini d’oro: piccoli cerchi preziosi da infilare sulle dita paffute del festeggiato, un po’ troppo grandi, un po’ troppo luccicanti, ma carichi di significato. Quegli anelli non erano solo un gesto affettuoso o un vezzo estetico: erano una forma concreta di risparmio e protezione. Da una parte dovevano contribuire all’istruzione futura del bambino, dall’altra costituire una riserva per i famosi “giorni di pioggia” che la vita familiare può sempre riservare. Ci sono genitori che hanno davvero conservato quegli anellini per decenni, incapaci di separarsene anche quando i giorni di pioggia sono arrivati davvero. È una forma di attaccamento, ma anche il simbolo di un filo invisibile che lega il bambino alle speranze riposte in lui fin dal primo compleanno.

In fondo, i bambini coreani erano “hip hop” molto prima che le star del rap americano trasformassero il bling-bling in status symbol: con le dita decorate d’oro, i loro primi accessori parlavano già di futuro, sicurezza e sogni proiettati in avanti.

Il dol, però, non è solo banchetto, oro e foto ricordo. C’è un momento preciso, al centro della festa, che tutti aspettano: la cerimonia del doljabi (돌잡이). Letteralmente, dol è il primo compleanno, jabi è il sostantivo che deriva dal verbo “afferrare”. È un gesto semplicissimo, quasi istintivo: al bambino viene presentato un tavolo o un vassoio con una serie di oggetti disposti davanti a lui e, lasciato libero di scegliere, ne afferrerà uno. Quel gesto, fatto con manine ancora incerte, diventa una piccola “profezia” giocosa su ciò che potrebbe essere il suo futuro.

Vale la pena dire che, prima di arrivare a questo momento, il festeggiato spesso è già esausto. Cambi di vestito continui, hanbok da indossare, cappellini da sopportare, una folla di volti che si avvicinano, ridono, chiamano, cercano di strappare un sorriso, un contatto visivo, una foto perfetta. Può capitare che, finita la festa, la stanchezza si trasformi in febbre o malessere: il corpo piccolo che ha dovuto reggere ore di stimoli, abbracci, rumori e luci.

Poi, quando arriva il doljabi, il tavolo principale viene sgomberato, il bambino viene messo al centro della scena e una serie di oggetti viene disposta davanti a lui. I suoi occhi si illuminano, seguono i colori, le forme, le consistenze. Allunga la mano, afferra qualcosa, lo solleva. Tutti trattengono il fiato, qualcuno ride, qualcun altro commenta sottovoce. È tutto per gioco, certo, ma il gioco rivela speranze profonde.

Gli oggetti “classici” del doljabi, quelli che storicamente sono comparsi sui tavoli, raccontano già da soli una visione del mondo:

  • Un pennello da scrittura e un libro, o una matita e un libro: se il bambino afferra questi, si immagina che andrà bene a scuola e diventerà uno studioso.
  • Il ma-pae (마패), un medaglione rotondo con cavalli: nel periodo Joseon veniva portato ben nascosto dagli agenti segreti del re, che avevano l’autorità di punire i funzionari locali corrotti. Se un bambino sceglie questo, il messaggio è che diventerà un alto funzionario di governo, qualcuno con un ruolo importante nell’amministrazione.
  • Il martelletto del giudice (gavel): qui la “profezia” è chiara, richiama la magistratura, la legge, la giustizia.
  • Il gomitolo di filo bianco: simboleggia una vita lunga e sana, e per molto tempo è stato l’oggetto che i genitori speravano più di vedere nelle mani del bambino.
  • I fogli di carta a cinque colori (in genere con il bianco incluso, anche se a volte non compare nelle foto) indicano una persona versatile, capace in più campi, un “tuttofare” che può adattarsi a contesti diversi.
  • Le monete, di solito al centro, parlano di ricchezza, di un futuro da milionario o miliardario.
  • Il portamonete tradizionale, il bokjumeoni (복주머니, “sacchetto della buona fortuna”, usato anche perché l’hanbok non ha tasche), indica una persona baciata in generale dalla buona sorte.

A questi, nel tempo, si sono aggiunti altri oggetti molto popolari ma non sempre presenti in tutte le composizioni fotografiche: arco e frecce (che indicano una carriera militare o da condottiero), chicchi di riso (buona fortuna, abbondanza) e spaghetti crudi, un altro simbolo di vita lunga e sana. Con il passare degli anni, anche gli oggetti sul tavolo del doljabi si sono evoluti. L’ossatura simbolica è rimasta, ma il mondo intorno è cambiato, e i genitori hanno iniziato a inserire elementi che raccontano ambizioni più contemporanee. Mezzo secolo fa, certi oggetti sarebbero stati impensabili su un dolsang; oggi sono quasi la norma:

  • uno stetoscopio, che parla da sé e richiama la professione medica;
  • un microfono, che suggerisce una futura star del K-pop, un attore, un’attrice, qualcuno abituato al centro della scena;
  • una palla da baseball, un pallone da calcio, piccole mazze da golf di plastica, che rimandano all’idea di un atleta professionista;
  • uno spazzolino da denti, che apre la porta al mondo dell’odontoiatria;
  • un mouse e una tastiera per computer, che lasciano intuire un futuro da ingegnere informatico o sviluppatore software;
  • un passaporto, che evoca la figura del diplomatico, di chi attraversa confini e rappresenta il proprio Paese;
  • un joystick, ormai simbolo riconoscibile di un gamer professionista

Accanto a questa dimensione più “interna” e familiare, il dol e il doljanchi hanno anche un lato sociale e culturale che emerge soprattutto quando li si guarda da fuori, con occhi che arrivano da altre tradizioni.

La prima volta che ci si ritrova al primo compleanno del figlio di un’amica coreana, soprattutto se si viene da un immaginario segnato da palloncini colorati, bambini che corrono e una torta pronta per essere distrutta da manine impazienti, lo shock culturale è forte. Si entra aspettandosi un’atmosfera da festa infantile e ci si ritrova invece in qualcosa che assomiglia molto di più a un matrimonio coreano.

In una grande sala, gli adulti sono seduti ai tavoli, impegnati a mangiare dal buffet. Davanti a loro, su un grande schermo, scorre un video che racconta i primi dodici mesi di vita del bambino: un mese, due mesi, tre mesi… fino al primo anno, in una carrellata di immagini montate una dopo l’altra. Il tavolo del festeggiato è allestito con cura, decorato, protagonista assoluto dello spazio. Il bambino viene portato di tavolo in tavolo per salutare gli invitati, un piccolo giro trionfale che può durare anche a lungo. Alla fine, arriva il momento del doljabi: gli oggetti vengono disposti, il bambino sceglie, le foto si moltiplicano.

Le aspettative occidentali su cosa “dovrebbe” essere il primo compleanno vengono sovvertite. L’attenzione non è tanto sul presente del bambino, ma su ciò che il bambino diventerà, sul suo futuro, sul ruolo che avrà nella famiglia e nella società. Il tono è un po’ più solenne, meno “giocoso” di quanto ci si aspetterebbe, proprio perché carico di questa stratificazione di significati.

Quando arriva il momento di organizzare il primo compleanno del proprio figlio, spesso ci si ritrova divisi tra due mondi. Da una parte, l’idea del “invitiamo chiunque conosciamo in una sala per il primo compleanno del bambino”, con tutto quello che comporta: grandi spazi, molti tavoli, buffet, video proiettati su uno schermo gigante, decine di invitati. Dall’altra, il desiderio di qualcosa di più piccolo, intimo, a misura del bambino e della famiglia più stretta. In Corea, alcune famiglie continuano a scegliere le grandi sale per eventi, dove parenti e amici si riuniscono per guardare il bambino portato in giro per la stanza, mentre sullo schermo scorrono i momenti salienti del suo primo anno e un buffet è a disposizione. Altre, invece, preferiscono soluzioni più contenute, economicamente e emotivamente: piccoli ritrovi in spazi ridotti, dove il bambino non è sovraccarico di stimoli e la festa è soprattutto un momento di vicinanza familiare.

Tutto questo continua a poggiare su una base storica importante, che non riguarda solo epoche lontane. Negli anni Cinquanta, in Corea, il tasso di mortalità infantile era ancora del 26%: significa che più di un bambino su quattro non arrivava al primo compleanno. Oggi, per fortuna, la situazione è completamente diversa: il tasso si è abbassato a circa 0,3%, ma la memoria di quei numeri continua a vivere nelle tradizioni. Il dol rimane una tappa enorme, un “ce l’abbiamo fatta” collettivo che non si è mai svuotato di senso.

Tradizionalmente, per il dol, il bambino viene vestito con il suo primo hanbok, spesso abbinato a un cappellino tradizionale: jobawi o gulle per le bambine, bokgeon o hogeon per i bambini. È un momento speciale, tanto che il primo hanbok diventa quasi un cimelio di famiglia. Se si decide di farlo indossare davvero durante l’evento, è importante abituare il bambino qualche volta in anticipo, perché non si senta a disagio soprattutto con il copricapo. In alternativa, si può anche rinunciare al cappello e scegliere qualcosa che non venga immediatamente strappato via da mani infastidite.

Accanto agli abiti, c’è il rito vero e proprio, che in passato aveva anche una dimensione profondamente spirituale. Sul tavolo vengono disposte ciotole di riso, miyeok-guk (미역국, la zuppa di alghe), acqua e una serie di torte di riso. I dolci di riso vengono impilati in strati colorati come un arcobaleno, la frutta viene sistemata a torre. Più in alto arriva il cibo, più grande è il simbolo di una vita prospera per il bambino.

La madre o la nonna dà il via alla preghiera. Porta le mani giunte, sfrega i palmi, si concentra. Si rivolge a due figure fondamentali della tradizione coreana: Sanshin (산신), lo spirito della montagna, e Samshin (삼신), la dea della nascita. A Sanshin si chiede una vita lunga, resistente come le montagne; a Samshin si rivolge un ringraziamento per aver permesso al bambino di venire al mondo e di arrivare fino al primo compleanno.

Per capire perché proprio queste due divinità sono così centrali, bisogna guardare alle radici dello sciamanesimo coreano. Le montagne sono considerate sacre e, in tutta l’Asia nordorientale, rappresentano l’asse centrale del mondo, il punto in cui cielo e terra si connettono. La Corea è ricoperta di montagne, e non sorprende che Sanshin abbia assunto un ruolo così importante nelle cerimonie e nei riti. Questa figura nasce nello sciamanesimo, ma viene poi assorbita e integrata nel Buddhismo coreano quando questo arriva nella penisola.

Samshin, invece, significa letteralmente “Tre Dee”: viene rappresentata come tre nonne che insieme formano la dea del parto. Nello sciamanesimo coreano, Samshin protegge i bambini dalla nascita fino ai sette anni, quando il ruolo di protezione passa alla divinità delle Sette Stelle. È un modo per dire che la vita è costantemente accompagnata da presenze benevole, soprattutto nei suoi primi, delicatissimi, passaggi.

Oggi, nella pratica quotidiana, questa parte del rito non è sempre presente. Molte famiglie, soprattutto nelle città e tra le generazioni più giovani, tralasciano la componente esplicitamente religiosa e mantengono soprattutto gli aspetti simbolici e conviviali. È interessante notare, però, che mentre molti coreani cristiani non partecipano più ai riti tradizionali di jesa (le cerimonie in onore degli antenati) perché li considerano un culto pagano, continuano a partecipare al rito del dol. Nessuno impedisce, naturalmente, di reinterpretare la preghiera come si vuole: si può scegliere di considerarla una tradizione culturale, di rivolgersi ad altre figure spirituali o di non pregare affatto. In alcune famiglie, tutte le tradizioni, jesa, dol e altre, vengono vissute proprio come patrimonio culturale, come un modo per tenere vivo un filo con il passato.

Entrando in una sala per compleanni, spesso è proprio il dolsang a catturare per primo lo sguardo: un tavolo riccamente decorato, con cibi e oggetti disposti in modo armonioso, ognuno con il suo significato in termini di auguri per la vita futura del bambino. Tra gli elementi più presenti, ce ne sono alcuni che compaiono quasi sempre:

  • un gomitolo di filo bianco, che simboleggia, ancora una volta, una vita lunga e sana;
  • un assortimento di torte di riso (tteok, 떡);
  • le torte di riso bianche chiamate baeksulgi (백설기), che rappresentano un inizio di vita puro;
  • le torte di riso a cinque colori, le osaek songpyeon (오색송편), che rappresentano l’armonia con l’ambiente circostante e fungono da augurio affinché il bambino cresca sapendo andare d’accordo con persone e luoghi diversi; alcune di queste torte sono vuote, simbolo della speranza che il bambino sappia abbracciare gli altri con generosità, mentre quelle ripiene rappresentano il desiderio che sia colmo di conoscenza e saggezza;
  • il soosoo paht tteok rosso (수수팥떡), che ha il compito di allontanare gli spiriti maligni;
  • cinque sacchettini di seta colorati, che rappresentano una vita vivace e piena di energia;
  • i datteri, impilati in alto, che simboleggiano i futuri figli e una vita felice per l’intera famiglia;
  • i fiori, che decorano il tavolo ma, di solito, non sono veri, perché sarebbe considerato poco appropriato celebrare l’inizio della vita di un bambino con qualcosa che sta già morendo.

Accanto al dolsang, o integrato in esso, si trova il tavolo con gli oggetti del doljabi, pronti per la cerimonia successiva. In molte realtà, esistono set completi pensati proprio per questo momento, come i Classic Doljabi Set o i Blessing Doljabi Set, che raccolgono in un’unica composizione oggetti tradizionali e moderni. Allo stesso modo, ci sono marchi che propongono hanbok specifici per il dol, set di oggetti in legno o materiali pregiati, buste porta soldi in stile bojagi: tutto contribuisce a trasformare il rito in qualcosa di curato e memorabile. Molte famiglie arricchiscono il tavolo con oggetti più personali, legati a passioni, valori o storie familiari. Altre scelgono di affidarsi a set già pronti, acquistando interi kit pensati proprio per il doljabi, o selezionando solo alcuni pezzi da conservare nel tempo come ricordo del primo compleanno.

Anche i regali seguono logiche culturali diverse. In Corea,  è molto più comune regalare denaro in buste eleganti; non è affatto la norma portare un oggetto. Alla fine, i bambini scelgono i loro oggetti, giocano per ore, i genitori mangiano, chiacchierano, si godono qualcosa da bere, e la festa scorre su questo doppio binario: da una parte la profezia giocosa del doljabi, dall’altra la convivialità di un momento condiviso.

Il primo compleanno, in ogni cultura, è un’occasione di gioia. Ma il modo in cui lo si immagina e lo si vive cambia moltissimo da un Paese all’altro. Nella versione “coreana”, il dol e il doljanchi mettono al centro non solo il bambino di oggi, ma soprattutto l’adulto di domani: ciò che sarà, il ruolo che avrà, le qualità che si spera possa sviluppare. Tutto, dalla disposizione del cibo al colore delle torte di riso, dagli oggetti sul tavolo fino agli anellini d’oro, è un “ti auguro…” trasformato in materia.

E, una volta archiviato il dol, la vita va avanti, con compleanni che tornano ogni anno, in forme più semplici e quotidiane. A Seoul, ad esempio, ci sono tanti modi per festeggiare i bambini anche oltre il primo compleanno:

  • si possono portare i piccoli a Lotte World, uno dei parchi divertimenti più famosi della città, facile da raggiungere e collegato alla metropolitana;
  • se i figli sono un po’ più grandi, si può organizzare una serata a teatro per vedere The Painters Show, uno spettacolo non verbale che punta tutto sull’impatto visivo ed è capace di divertire tutta la famiglia;
  • per una giornata intera immersa nella natura, si può scegliere un tour che includa il pascolo degli alpaca, Nami Island e il Garden of Morning Calm: un’opzione perfetta per chi ama gli spazi aperti e i paesaggi suggestivi;
  • per i piccoli appassionati di vita marina, c’è il gigantesco acquario del COEX, che permette di esplorare il mondo sottomarino rimanendo in città;
  • e per chi adora le fragole, c’è persino lo Strawberry Dessert Buffet al JW Dongdaemun Marriott Hotel, un paradiso di dolci a tema fragola dove i bambini possono assaggiare dessert uno più invitante dell’altro.

Il dol, con il suo carico di storia, paura, speranza e gioco, diventa il punto di partenza di un percorso che poi continua in forme più leggere: parchi divertimenti, spettacoli, gite fuori porta, buffet di dolci. Ma quel primo compleanno resta unico, perché porta sulle spalle tutto il peso di una memoria collettiva fatta di numeri che non vogliamo più vedere e di bambini che, per secoli, non sono arrivati a spegnere la prima candela. Forse è proprio per questo che oggi, in Corea, quel primo compleanno continua a essere celebrato con tanta intensità. È una festa per il presente di un bambino vivo e urlante, certo, ma è anche un abbraccio al passato e una dichiarazione ostinata di fiducia nel futuro.

Fonti:

  • https://thesoulofseoul.net/a-babys-first-birthday-korean-style-vs-american-style/
  •  https://laseoulite.substack.com/p/doljabi-a-korean-tradition-for-babies

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