Oggi torno a uno dei mondi profondamente radicato nella tradizione coreana: il bujeok, il talismano di carta che tiene insieme, in un solo gesto di inchiostro, paura, speranza, magia antica e vita quotidiana.
Che cos’è davvero un bujeok
La parola boo-jeok, 부적 (符籍), nella sua forma scritta più letterale significa semplicemente “documento”. Ma nel mito coreano porta addosso un significato completamente diverso. Nella mente dei coreani, l’immagine più immediata è quella di un rettangolo di carta gialla, con strani segni in rosso, un intreccio di caratteri cinesi e coreani, magari accompagnati da una figura un po’ rozza, qualcosa che a prima vista può sembrare perfino inquietante. Uno degli esempi più iconici è il gwi-shin-bool-chim boo (귀신불침부, 鬼神不侵符), un talismano che dovrebbe proteggere chi lo possiede dagli spiriti maligni. È un piccolo concentrato di simboli, linee e segni che, agli occhi di chi è cresciuto con queste immagini, non ha bisogno di spiegazioni; per chi arriva da fuori, invece, sembra quasi un codice indecifrabile.
Alla base del bujeok c’è un’idea che affonda le sue radici nel taoismo cinese, con credenze che risalgono al VI secolo a.C. Nel tempo, la pratica di scrivere o disegnare simboli su un foglio di carta specializzato si è diffusa anche tra i monaci buddhisti, tra i praticanti di culti locali, tra le superstizioni popolari e tra i lettori del destino. Si stima che più del 20% dei coreani abbia posseduto almeno una volta un bujeok nella propria vita: ne hanno avuti le nonne, le madri, le persone frequentate in gioventù, persino chi, all’apparenza, vive una vita religiosa “altissima e santissima”, come un ministro cristiano che ne porta uno regolarmente nel portafoglio.
Il materiale più tradizionale per creare un bujeok è la carta hanji (한지), la carta coreana fatta a mano. Viene tinta di giallo con i frutti dell’“albero del dotto cinese”, chiamato in coreano 회화나무 (hwae-hwa-namoo, sophora japonica). Questo albero, e in particolare i suoi frutti, sono ritenuti capaci di respingere gli spiriti maligni, e proprio su quella superficie gialla vengono poi tracciati i segni con inchiostro rosso. Il rosso non è un vezzo estetico: deve essere rosso, non un altro colore. Il giallo, o meglio, l’oro rappresenta la luce visibile e l’illuminazione, che i demoni odiano, mentre il rosso, nello sciamanesimo asiatico, è da sempre un colore usato per respingere il male. La vita di un bujeok non si esaurisce nel momento in cui viene creato. Il talismano può essere appeso alle pareti della casa, ripiegato con cura e tenuto nel portafoglio, custodito in un luogo intimo o esposto in vista. A volte, viene perfino bruciato e le sue ceneri vengono ingerite, con la convinzione che in questo modo se ne massimizzi l’efficacia. Un gesto che, a chi guarda dall’esterno, può sembrare estremo, ma che per chi ci crede rappresenta un modo per far entrare quella protezione dentro di sé, quasi fisicamente.
Se si osservano da vicino i vari bujeok, si nota subito come siano composti da un miscuglio di forme geometriche, caratteri cinesi, caratteri coreani, segni che sembrano privi di senso e, talvolta, la figura stilizzata di un essere o di un demone. Non esiste una “bibbia” del bujeok, nessun manuale ufficiale che detti un formato unico: il design dipende in larga parte dall’estro e dal linguaggio rituale di chi lo crea. Lo scopo principale di questi fogli gialli può essere riassunto in due grandi funzioni: portare fortuna oppure evitare sventure. Nella pratica, sono spesso più diffusi quelli destinati a respingere il male, anche per via dei materiali con cui sono realizzati: ciò che nasce per respingere gli spiriti maligni sembrerebbe avere più potere nel combattere il negativo che nell’attirare il positivo.
Dalle caverne alla carta gialla: radici antiche di un talismano moderno
Per capire quanto il bujeok sia radicato nella storia coreana, bisogna fare un salto indietro di millenni. Le sue origini vengono fatte risalire a oltre quattromila anni fa. Alcune delle prime tracce compaiono nel Samguk Yusa, una cronaca del XIII secolo che raccoglie leggende e memorie dei periodi mitici e proto-storici della Corea. In queste testimonianze si racconta che già durante il periodo di Dangun (2333 a.C.) esistessero rappresentazioni e iscrizioni dedicate alla fortuna e alla prosperità. Interpretazioni archeologiche suggeriscono che i coreani preistorici incidessero simboli e disegni sulle pareti delle caverne e sulle pietre, oppure ricamassero o dipingessero segni sugli abiti, per invocare benedizioni dagli spiriti naturali. Queste incisioni primordiali, nate su roccia e tessuti, si sono trasformate nel tempo fino a diventare le riconoscibili carte gialle con inchiostro rosso che ancora oggi popolano le case, le borse e le tasche dei coreani.
Il concetto di bujeok arriva dalla Cina, dove esisteva già una lunga tradizione di talismani taoisti. Nel corso dei primi scambi tra la penisola coreana e il continente, pratiche spirituali come la divinazione, l’alchimia e la scrittura di talismani hanno viaggiato verso est. Gli sciamani coreani, i mudang, hanno adottato questi simboli e li hanno intrecciati con le pratiche animistiche indigene. Col passare dei secoli, questa fusione ha dato vita a un sistema magico-protettivo profondamente coreano: al tempo stesso erede di influenze straniere e profondamente radicato nel terreno locale. Questo mondo si intreccia anche con la storia del buddhismo coreano. L’uso di matrici di legno incise per riprodurre immagini e testi sacri è una pratica ben nota nella stampa buddhista. Non stupisce, quindi, che lo stesso principio sia stato applicato anche ai talismani: leve di legno che conservano la forma esatta dei simboli, pronte a trasferirla, più e più volte, sulla carta.
